Hans F. K. Günther e la religiosità indoeuropea. Alla riscoperta delle nostre origini

Hans F. K. Günther scrisse nel 1934 un interessante saggio sulla religione degli antichi indoeuropei, col titolo di Frömmigkeit nordischer Artung. Le copie giacenti in magazzino andarono distrutte nella barbarie della guerra, ma una seconda edizione venne pubblicata nel 1963, e nel 1970 apparve anche una traduzione italiana, ristampata nel 1980, col titolo di Religiosità indoeuropea. Lo studio del Günther, anche se datato per certi aspetti, risulta ancora attuale per mettere a fuoco alcuni concetti chiave sulle religioni pagane anticamente diffuse tra le popolazioni indoeuropee di origine ariana.

Non è facile il compito di chi indaga sui primi tempi storici dei popoli ariani: occorre desumere da testimonianze letterarie superstiti certi aspetti della cultura e della mentalità che verosimilmente erano consolidati nella cultura dell’epoca. I poemi omerici e le saghe nordiche sono i riferimenti più significativi di queste indagini, ma lo studioso deve saper discernere quanto in questi testi sia testimonianza attendibile e quanto, invece, abbia il sapore di invenzione letteraria. In particolare la letteratura nordica è una creazione poetica islandese e norvegese dei secoli vichinghi ed è pertanto una testimonianza assai tarda sul piano cronologico. Günther ritiene che la stessa figura di Odino-Wotan sia una divinità della nobiltà vichinga originariamente assente in area germanica. Analogamente la figura di Freya, la dea dell’amore, è una divinità il cui culto proviene dall’area danubiano-balcanica, e che il Günther definisce come una dea “semiasiatica”.

Più ricche di dati sono le indagini sulla religiosità della Grecia antica: il Günther ritiene che il più genuino spirito religioso greco si manifesti nella letteratura ellenica da Omero a Eschilo, i cui caratteri eminenti sono la fede nel senso del dovere, nell’importanza della nascita, nel pregio ereditario come fattore di costruzione di civiltà. Gli indoeuropei, infatti, avevano un solido senso della famiglia monogamica, mentre nella cultura semitica era assai diffusa la poligamia. Inoltre la fede nella vita, nonostante il sentimento della tragicità dell’esistenza, appare come un tratto distintivo delle popolazioni ariane che si manifesterà anche dopo la diffusione del cristianesimo. C’era negli indoeuropei anche una propensione a un misticismo temperato da un innato senso dell’autocontrollo che darà di sé potenti manifestazioni nel corso dei secoli cristiani. Analogamente Günther ritiene che nella Persia islamizzata, la corrente mistica del sufismo debba farsi risalire a sopravvivenze del sentimento religioso indoeuropeo.

La diffusione del monoteismo può portare a valutazioni fuorvianti rispetto alle culture pagane. Infatti la mentalità dominante è portata a valutare i fenomeni religiosi col metro della cultura giudaico-cristiana. Günther mette opportunamente in chiaro alcuni concetti in merito. Innanzi tutto nel paganesimo non ci sono entità che hanno creato il mondo e rispetto alle quali l’uomo si sente in condizione di sudditanza, non c’è pertanto il “timor di Dio”. Nella concezione pagana uomini e dèi vivono in un ordine cosmico fuori dal tempo e devono adempiere ciascuno i propri doveri. Platone in alcuni suoi scritti aveva accolto concezioni creazionistiche, ma Aristotele, dopo di lui, era tornato alle originarie concezioni ariane di un mondo increato. Il monoteismo introduce il concetto di peccato originale inculcando nelle coscienze un senso di colpa che genera una drammatica scissione tra anima e corpo. Da qui nasce nel monoteismo l’esigenza di pratiche penitenziali e di mortificazione della carne che sono del tutto assenti nel paganesimo. Gli antichi indoeuropei praticavano, anzi, una cura del corpo e un’abitudine alle pratiche sportive che sacralizzavano tutti gli aspetti della vita biologica. Sulla base di questi presupposti, per la cultura pagana appariva dunque insensato il concetto cristiano di redenzione. Infatti mentre nel paganesimo ariano il concetto di colpa è legato alla responsabilità dell’uomo, nel monoteismo l’uomo attende l’aiuto divino per essere liberato dalla colpa, con tutti i rischi di deresponsabilizzazione della coscienza insiti in quest’atteggiamento. Sotto questi aspetti il paganesimo indoeuropeo era diverso anche dal paganesimo diffuso in area mediorientale, soprattutto babilonese, dove la religione era essenzialmente di derivazione astrologica e quindi induceva nei fedeli un atteggiamento fatalistico che restringeva fortemente la libertà di coscienza.

Le religioni monoteiste, inoltre, essendo frutto di una “rivelazione” inducono i fedeli a propagandare il loro credo con uno zelo che troppo spesso sconfina nel fanatismo e nell’intolleranza. Nulla di tutto ciò esisteva nelle popolazioni pagane, che non conoscevano la guerra di religione e che avevano nei confronti di tutte le culture un atteggiamento curioso, libero da pregiudizi e ispirato a una lucida razionalità che tuttavia non escludeva l’apertura all’esperienza mistica e il gusto per il linguaggio simbolico. Come si vede, dunque, la religiosità indoeuropea si manifesta con presupposti autonomi, come dettata da comandamenti interni, e non per imposizione di divinità esterne all’uomo.

Günther conclude il libro affermando che i valori del paganesimo ariano sono un importante punto di riferimento in un mondo che ha scelto la strada di un materialismo al servizio delle masse che disumanizza la persona e la riduce a ingranaggio di un sistema produttivo. Un libro dunque, quello del Günther, utilissimo per una presa di coscienza identitaria delle etnie oggi eredi della cultura ariana, che rappresentano ancora la più larga fetta di popolazione in Europa e in Nord America.


Di Michele Fabbri (da: C. S. La Runa)

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