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Tag: Decima Mas

1944: UFO su Milano. La testimonianza di un reduce della Repubblica Sociale Italiana

30 Marzo 2021 Lascia un commento

La presente testimonianza, firmata in forma anonima da un reduce della Repubblica Sociale Italiana e pubblicata sulla rivista Candido nel […]

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Ultime Politica

  • L’Europa sarà ebraica? Le origini occulte del Parlamento Ebraico Europeo e la farsa della lotta all’antisemitismo

    Sconosciuto ai più, il Parlamento Ebraico Europeo detiene attualmente le chiavi della politica dell’UE, manovrando come vere e proprie marionette i politici, i parlamentari e le istituzioni di tutti gli Stati europei al fine di “ebraicizzare” l’intero continente Oltre un secolo fa, il politico inglese di origini ebraiche Benjamin Disraeli, noto per essere stato Primo Ministro del Regno Unito per ben due volte, dichiarò che «il mondo è governato da personaggi diversi da quelli che immaginano coloro che non gettano lo sguardo dietro le quinte». E nel caso particolare dell’Europa, se si getta uno sguardo «dietro le quinte», si può constatare che l’affermazione di Disraeli è ancora valida, e che i «personaggi» occulti di cui egli parla non sono altro che gli stessi ebrei, la cui influenza in Europa ha raggiunto i suoi massimi storici con la fondazione del Parlamento Ebraico Europeo (EJP), oltre dieci anni fa. Non sappiamo molto sulle sue origini. Le poche fonti a nostra disposizione ci dicono che è stato fondato il 16 febbraio 2012 all’interno dello stesso Parlamento Europeo, a Bruxelles, su iniziativa della semi-sconosciuta Unione Ebraica Europea (EJU), una losca ONG senza scopo di lucro creata un anno prima dal politico ucraino-israeliano Vadim Rabinovich e dal filantropo e uomo d’affari ucraino di origini ebraiche Igor Kolomoyskyi (noto per essere il principale finanziatore di Volodymyr Zelensky), anche se l’idea di creare un Parlamento ebraico in Europa fu suggerita per la prima volta durante il Congresso Sionista di Basilea, nel 1897, e poi ripresa in seguito dal politico israeliano Shimon Peres. L’European Jewish Press, tuttavia, ci informa che l’inaugurazione dell’EJP, avvenuta all’interno dell’Euro-parlamento di Bruxelles, ha riunito ben centoventi parlamentari ebrei, tra cui gli italiani Roger Coianiz e Vittorio Pavoncello e «diverse figure di spicco dell’ebraismo europeo, come Pierre Besnainou dalla Francia, Cefi J. Camhi dalla Turchia, Nathan Gelbart dalla Germania, Oliver Mischon dal Regno Unito, Joel Rubinfeld dal Belgio, nonché un numero importante di giovani personalità e leader emergenti», tutti eletti – secondo East Journal – «in maniera semi-seria». I candidati, infatti, sono stati selezionati dall’EJU via internet «a loro stessa insaputa»; tra di essi, erano presenti anche «personalità controverse» che, con la politica, non hanno mai avuto nulla a che fare, come Sacha B. Cohen (attore), David Beckham (ex giocatore di calcio) e Stella McCartney (figlia del noto membro dei Beatles, Paul McCartney). In totale, vi sono stati circa 400.000 voti, anche se – dichiara East Journal – «non è certificato che i votanti abbiano votato una sola volta, o solo per i candidati del proprio paese», in quanto le elezioni si sono svolte online e non vi è stato alcun controllo da parte degli organi dell’UE. Malgrado ciò, secondo Tomer Orni (amministratore delegato dell’EJU), la fondazione dell’EJP ha rappresentato un «evento storico» e senza precedenti per la comunità ebraica in Europa, che – come ha fatto notare il professore e accademico ebreo Shlomo Avineri – in «un secolo di emancipazione» è riuscita a passare «dalla periferia al centro della società europea». Attraverso un Parlamento ebraico, infatti, Rabinovich e Kolomoyskyi – in sinergia ai lavori dell’European Jewish Congress – hanno voluto fornire «una struttura unificante per tutte le comunità e le organizzazioni ebraiche in tutta l’Europa occidentale, orientale e centrale», operando «attivamente per rafforzare la vita ebraica» nella UE e combattere razzismo e antisemitismo. In altre parole – dichiara lo stesso sito dell’EJP – l’obiettivo è stato quello di correggere «le imperfezioni del passato» e «continuare a costruire un’organizzazione ebraica europea veramente influente», in grado di contribuire «in maniera positiva allo sviluppo europeo» ed estinguere, una volta per tutte, ogni retaggio residuale di antisemitismo. Non è forse stato Vladimir Katsman, inviato speciale dell’EJP, a dichiarare esplicitamente che «gli ebrei vogliono avere un’influenza sull’Europa»?! A conferma di ciò, l’inaugurazione del Parlamento Ebraico Europeo ha coinciso con la visita a Bruxelles di una delegazione di quaranta membri di spicco della Conference of Presidents of Major American Jewish Organization (nota come “Conferenza dei Presidenti”) guidata dagli ebrei Richard Stone e Malcolm Hoenlein. Insieme ad altri membri dell’EJP, la delegazione – in rappresentanza della potente lobby ebraica a stelle e strisce – «ha tenuto colloqui con i funzionari dell’UE» e «della NATO» e ha discusso inoltre su «questioni come l’antisemitismo in Europa», stringendo solidi accordi e ponendo così le basi per la futura egemonia del continente. «La visione di un Parlamento ebraico europeo è finalmente una realtà», ha dichiarato Tomer Orni durante l’inaugurazione dell’EJP. «Si tratta di un evento storico in quanto il nuovo Parlamento è un’importante pietra miliare per la rappresentanza ebraica in Europa. Siamo profondamente convinti che il Parlamento sarà una forza positiva nell’affrontare le mutevoli condizioni e le grandi sfide che l’ebraismo europeo sta affrontando». Lotta all’antisemitismo Per espandere la propria influenza, l’EJP ha organizzato negli anni «riunioni di deputati ebrei con parlamentari di quasi tutti i paesi europei», al fine di «discutere questioni locali» e imporre – in collaborazione con la loggia ebraica B’nai B’rith e l’European Jewish Congress – le proprie direttive ai singoli paesi dell’UE. Appena un anno dopo la fondazione dell’EJP, infatti, è stato creato a Bruxelles, all’interno dello stesso Parlamento europeo, il “Gruppo di Lavoro contro l’antisemitismo”, una speciale struttura formata da deputati e politici ebrei che – come spiega il sito della loggia B’nai B’rith – «ha contribuito a integrare la lotta contro l’antisemitismo a livello dell’UE e negli Stati membri», imponendo a quest’ultimi di «sviluppare piani d’azione nazionali per affrontare l’odio antiebraico». Grazie all’operato degli agenti dell’EJP e del “Gruppo di Lavoro”, che hanno diffuso a macchia d’olio la convinzione secondo la quale l’antisemitismo sarebbe «parte del DNA dell’Europa» e quindi il nemico numero uno dell’UE, nel dicembre 2015 viene fondata – con il supporto diretto delle organizzazioni ebraiche militanti – la “Commissione europea per la lotta all’antisemitismo e la promozione della vita ebraica”, presieduta dalla coordinatrice Katharina von Schnurbein. Tale organo – come ricorda lo stesso sito dell’UE – si riunisce a Bruxelles «diverse volte all’anno», coinvolgendo – in collaborazione con il “Gruppo di Lavoro” – «le principali organizzazioni ombrello ebraiche» e […]

  • Azione massonica e dominio ebraico. Come l’ebraismo militante tira i fili delle logge e influenza la politica europea

    Considerata lo strumento dell’ebraismo militante, la Libera Muratoria continua ad essere la protagonista della politica europea, influenzando i parlamenti di tutto il continente Si è spesso affermato, senza mostrare alcun riferimento bibliografico valido, che «l’ebraismo controlla la massoneria» e che, a sua volta, «la massoneria influenza la politica», senza però mai svelarne il meccanismo e le dinamiche in maniera chiara ed esaustiva. Di conseguenza, si è diffusa la convinzione (soprattutto fra i cosiddetti “conservatori responsabili”) secondo la quale, in realtà, massoneria ed ebraismo non avrebbero nulla a che fare con il potere politico, ma si tratterebbe piuttosto di una delle tante “teorie del complotto”, che, soprattutto in questi tempi, invadono le pagine del web. Ma è davvero così? In internet, effettivamente, sono presenti decine di migliaia di scritti e articoli sulla massoneria e sull’ebraismo, ma ben pochi – se non nessuno – riportano le reali dinamiche connesse al potere politico in Italia e in Europa. Quasi tutti gli scritti, infatti, configurano i soliti stereotipi ebraico-massonici facendo leva sul sensazionalismo, senza mostrare alcuna dinamica di quel meccanismo occulto che, tramite la Libera Muratoria, influenza da decenni la politica dell’intero continente, compresa l’Italia. Il presente scritto, nel suo piccolo, nasce dunque per colmare questa lacuna e approfondire, nella maniera più obiettiva possibile, il legame fra massoneria, ebraismo e potere politico. Massoneria e democrazia Poiché, stando alle parole dell’intellettuale tedesco Rudolf von Sebottendorff, «la democrazia è una creazione giudaica», ne consegue che il gioco elettorale, in ogni sua forma, è necessario all’ebraismo militante per conseguire i suoi obiettivi. E ciò avviene grazie all’operato della massoneria. Secondo von Sebottendorff, infatti, «per regolamento, ogni uomo libero e irreprensibile può diventare membro della massoneria, in pratica però occorre anche essere abbienti», ossia influenti e benestanti. Ed è proprio «il reclutamento di accoliti in questi ambienti», ha spiegato von Sebottendorff, che consente «a Giuda di indirizzare i popoli [europei] ai suoi fini», sottomettendoli alla morale del Talmud. A conferma di ciò, l’intellettuale Giovanni Bitelli, nell’opera La Biscia massonica, ha rivelato che «i candidati alle elezioni politiche», indipendentemente dalla corrente che rappresentano (sia essa «conservatrice, liberale, democratica, repubblicana, socialista»), vengono scelti «nelle logge massoniche, le quali, attraverso questa subdola alchimia», rimangono «padrone del governo statale, provinciale, municipale», sia che vincano «i rossi oppure i neri». Attraverso questo «gioco elettorale», prosegue Bitelli, la «supremazia massonica» è «costantemente salva», e «i privilegi finanziari della banca e dell’industria» rimangono «in una botte di ferro», poiché la massoneria – ricorda l’intellettuale – «è manovrata dalla cricca ebraico-capitalista», i cui interessi – dal 2012 – sono tutelati a livello ufficiale dal Parlamento Ebraico Europeo, che – spiega il ricercatore Paolo d’Arpini – ha «la facoltà di essere “ascoltato” regolarmente dal Parlamento Europeo». «Noi [ebrei] dobbiamo favorire la democrazia ovunque e in tutti i modi possibili», ammise anni fa il giornale ebraico Judische Volksblatt. «Ma, nel medesimo tempo, dobbiamo operare con prudenza, poiché la massa non si deve accorgere che la democrazia è soltanto una tenda dietro la quale si nasconde Israele». Massoneria ed ebraismo Pertanto, sorge spontanea una domanda: in che modo l’ebraismo influenza la massoneria? Quali sono le dinamiche occulte che, nel tempo, hanno portato Israele ai vertici della piramide massonica, imponendo il proprio potere su tutte le democrazie europee? Stando alle parole di Rudolf von Sebottendorff (il quale venne iniziato al Rito di Memphis, per poi prenderne le distanze poco dopo), il potere ebraico-massonico è concentrato nelle mani dei membri dell’Ordine B’nai B’rith, «per i quali l’affiliazione alla massoneria, cui sono tenuti per potervi assumere quanto prima posizioni chiave ed incarichi direttivi, costituisce un obbligo inderogabile». È «prescritto», infatti, che «in tutte le logge d’Europa» (comprese quelle italiane) siano «presenti fratelli B’nai B’rith», i quali vengono «insigniti degli alti gradi», in modo tale da raggiungere i vertici delle logge massoniche e sottoporre l’intera Libera Muratoria «agli ordini emanati dal B’nai B’rith», che rappresenta «tutte le organizzazione giudaiche». Nel tempo – spiega von Sebottendorff – si è così costituito una sorta di «”circolo interiore” alla massoneria», che «ne coordina l’esecuzione sul piano internazionale», esercitando un «potere immenso» nella politica europea. Motivo per cui, l’ex massone Francesco Gaeta, nell’opera Che cosa è la massoneria?, è arrivato a dichiarare che la Libera Muratoria – con tutte le associazioni ad essa legate – rappresenta «l’organo di conquista del mondo da parte degli ebrei, a danno ed a spese dei goym [i non ebrei]». Come dargli torto?! Per concludere Giunti alla conclusione, è ora pienamente convalidato il vecchio convincimento di Julius Streicher (editore del famigerato settimanale Der Stürmer) secondo il quale «l’ebreo non ha un partito proprio, egli è in tutti». E si potrebbe dire lo stesso del massone, il quale – come viene rammentato nell’opera La tradizione segreta – si avvicina alla Libera Muratoria «soltanto per scopi di personale avanzamento», essendo appunto la massoneria uno «strumento di sfruttamento e di dominio in mano a una casta di politicanti». «Abbiamo diffuso lo spirito di rivolta e il falso liberalismo tra le nazioni dei gentili così da persuaderli ad abbandonare la loro fede, tanto da farli vergognare di professare i precetti della loro religione e di obbedire ai Comandamenti della loro Chiesa», ha dichiarato un rappresentante del B’nai B’rith. «Abbiamo portato molti di loro a vantarsi di essere atei e, ancor di più, a gloriarsi di essere i discendenti della scimmia. Abbiamo dato loro nuove teorie, impossibili da realizzare, come il comunismo, l’anarchia e il socialismo, che ora stanno servendo al nostro scopo. Gli stupidi gentili li hanno accettati con grande entusiasmo, senza comprendere che quelle teorie sono nostre, e che costituiscono il nostro più potente strumento contro loro stessi». È forse ancora valida l’antica espressione latina “homo homini lupus”? Di Javier André Ziosi

  • Dietro le quinte della rielezione di Mattarella. Come la massoneria muove i fili della politica italiana

    La rielezione di Sergio Mattarella è il risultato di un particolare “progetto massonico” che, tramite Mario Draghi, ha permeato nel tempo l’intera politica italiana, coinvolgendo persino il leader del Carroccio Mentre il Grande Oriente d’Italia ha salutato con entusiasmo la rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica, avvenuta il 29 gennaio, il Gran Maestro Stefano Bisi ha augurato al Capo di Stato «un nuovo settennato di grandi soddisfazioni e importanti risultati alla guida dell’Italia lungo il cammino di quei valori di libertà, uguaglianza e solidarietà contenuti nella nostra amata Carta costituzionale». Tuttavia, sorge spontanea una domanda: cosa unisce la massoneria a Sergio Mattarella? Per rispondere a tale domanda è necessario tornare al 2015, quando Mattarella – già membro della paramassoneria e compare intimo del «fratello massone contro-iniziato» Mario Draghi, all’epoca presidente della BCE – si candidò alla Presidenza della Repubblica italiana, vincendo con il 65,9 % dei voti. In quel frangente, fu proprio Mario Draghi, che, su ordine della massoneria europea, suggerì a Matteo Renzi di candidare Mattarella come Presidente della Repubblica italiana. La sua vittoria, come ha spiegato Gioele Magaldi (Gran Maestro del Grande Oriente Democratico e fondatore del Movimento Roosevelt), rientrò nel contesto di un «disegno massonico» portato avanti dalla massoneria europea al fine di accreditarsi la politica italiana. Ha dichiarato Magaldi: «Il paramassone Mattarella deve la sua elezione al Quirinale proprio ad un intervento specifico di Mario Draghi su Matteo Renzi, nel 2015». Renzi, d’altro canto, essendo un vero e proprio «aspirante massone», assecondò le aspirazioni di Mario Draghi (e quindi della massoneria) per avvicinarsi al «salotto buono delle massonerie aristocratiche europee ed atlantiche», al fine di favorire il proprio partito e la propria carriera politica, non certo l’Italia. Mattarella 2.0 Quando nel 2021, grazie ad una precisa «operazione massonica», Draghi diviene Capo del Governo italiano, la massoneria “sovversiva” giunge ai vertici dello Stato. Draghi rappresenta i poteri forti europei, il gruppo Bilderberg e le società segrete, e le sue decisioni rispecchiano in tutto e per tutto le decisioni delle logge massoniche d’Europa. Tuttavia, alle elezioni per la Presidenza della Repubblica del 2022, è stato proprio Draghi, tramite il gregario Matteo Salvini, a riconfermare – secondo le prerogative occulte della massoneria europea – Mattarella come Presidente. Le dinamiche sono analoghe a quelle del 2015. Ma parte delle responsabilità, questa volta, non sono di Renzi, ma di Salvini. Il 28 gennaio, quando Salvini, Letta e Conte – alle ore 18 – si sono incontrati per discutere sui potenziali candidati, vi era molta indecisione e incertezza. Si discusse su una lista che conteneva cinque nomi (tra cui quelli di Pier Ferdinando Casini e Sergio Mattarella), ma alla fine si optò per la candidatura di Elisabetta Belloni, direttrice del DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza). Ciò che Letta e probabilmente Conte non sapevano, però, è che Salvini, poche ore prima, si era incontrato con Mario Draghi, ma – come rammenta Il Post – «non è chiaro di che cosa abbiano parlato». Con ogni probabilità, durante l’incontro Draghi ha imposto a Salvini d’impegnarsi e fare di tutto per riconfermare Sergio Mattarella come Presidente. Salvini, durante la riunione con Letta e Conte, avrebbe poi fatto finta di niente, recitando la parte dell’indeciso e appoggiando, con Conte, l’idea di candidare Elisabetta Belloni, per poi alla fine, però, puntare tutto su Mattarella, giustificandosi: «Sono sereno e orgoglioso di tutte le proposte fatte, soprattutto donne. Alla quinta donna sulla quale è arrivato il no, ho pensato fosse più serio chiedere al presidente Mattarella l’impegno e il sacrificio di continuare di restare al Quirinale». Scegliere Mattarella, ha concluso Salvini, è stata «la scelta migliore». Tuttavia, il 29 gennaio, «nei minuti in cui si sbloccava definitivamente la partita», Salvini ha ricevuto una chiamata: era Draghi. Il contenuto della telefonata è rimasto perlopiù riservato, ma un giornalista ha udito chiaramente il leader del Carroccio asserire: «Va bene. Allora ti vengo a trovare appena finisco qui». Che cosa dovevano dirsi?! Draghi’s Apocalypse Il piano massonico, dunque, è andato a buon fine. Ancora una volta, Mario Draghi è riuscito ad affermare la propria leadership e, per altri sette anni, tramite Mattarella (che alle elezioni ha ricevuto il 75,2% delle preferenze), la massoneria europea può esercitare la propria autorità ai vertici dello Stato italiano. Ma, come ha dichiarato il filosofo Adriano Scianca, «l’avvento sulla scena politica di Mario Draghi, del resto, ha svuotato i partiti di ogni contenuto e di ogni significato. Le tradizionali agende politiche non vogliono più dire nulla, i principali leader politici non hanno più nulla di sensato da raccontare o su cui dividersi. Cosa resta, allora, per mostrare agli elettori di essere vivi, per far finta di essere diversi dai dirimpettai politici con cui si divide lo stesso governo?». Il fatto è che l’arrivo di Draghi ha provocato una vera e propria apocalisse politica, le cui conseguenze si faranno sentire per ancora molto tempo, influendo sulla democrazia e sui diritti civili dei cittadini. Di Amedeo Cavazzoni

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  • «L’oro è l’avvenire». I protocolli segreti del rabbino Reichorn

    I “protocolli di Reichorn” – qui riproposti in versione integrale a titolo di studio – apparvero per la prima volta nel 1868 nel romanzo “Biarritz” di Sir John Retcliffe, pseudonimo dello scrittore tedesco Hermann Goedsche, il quale – come afferma un testo del 1938 – «rielaborò il contenuto» di una riunione segreta di ebrei svoltasi nel cimitero di Praga «facendolo figurare come il discorso tenuto in un’adunanza fantastica di rabbini e di cabalisti», anche se è stato «esaurientemente dimostrato che Goedsche non ha inventato, ma adattato il contenuto del discorso», che fu «effettivamente tenuto a Praga dal rabbino Reichorn presso la tomba di Simeon-Ben-Jihuda», in data non precisata. In seguito, i protocolli apparvero sul giornale Le Contemporain del 1° luglio 1886 (col titolo “Resoconto degli avvenimenti storico-politici avvenuti negli ultimi anni dieci anni”), che però fece risalire la riunione degli ebrei di Praga al 1869, ossia un anno dopo la pubblicazione del romanzo “Biarritz”, nel quale i protocolli erano già presenti, benché presentati dall’autore come fantastici. Pertanto, la precisa datazione dei “protocolli di Reichorn” è sconosciuta, anche se – a rigor di logica – essi possono essere datati intorno ai primi anni della seconda metà del XIX secolo, ossia circa cinquant’anni prima dalla pubblicazione dei celebri Protocolli dei Savi Anziani di Sion, coi quali condividono moltissimi particolari. Buona lettura! Protocollo I I nostri padri hanno imposto agli eletti di Israele il dovere di riunirsi una volta ogni cento anni attorno alla tomba del Gran Maestro “Caleb”, il santo rabbino Simeon-Ben-Jihuda, la cui dottrina insegna agli eletti di ogni generazione il potere e l’autorità da esercitare su tutta la terra e su tutti i discendenti di Israele. È da diciotto secoli che dura la guerra di Israele per impossessarsi di quel potere promesso ad Abramo, che oggi invece è stato carpito dalla Croce. Calpestato, umiliato dai suoi nemici, costantemente minacciato di morte, il popolo di Israele non è perito, e si è disperso su tutta la faccia della terra, poiché tutta la terra gli deve appartenere. Da diversi secoli i nostri sapienti lottano coraggiosamente contro la Croce con una perseveranza che mai può esaurirsi. Il nostro popolo s’innalza grado per grado, e la sua potenza s’ingrandisce sempre di più. A noi appartiene quel Dio che Aronne innalzò nel deserto, quel “vitello d’oro” che è la divinità dell’epoca nostra. Quando saremo divenuti gli unici possessori di tutto l’oro della terra, il vero potere passerà nelle mani nostre, e allora si compiranno quelle promesse che sono state fatte ad Abramo. L’oro, la più grande potenza della terra; l’oro, che è la forza, la ricompensa, lo strumento di ogni potenza; l’oro, quel tutto che l’uomo teme e desidera: esso è il solo mistero, la più profonda scienza, lo spirito che regge il mondo. Esso è l’avvenire. Diciotto secoli sono appartenuti ai nostri nemici; il secolo presente e i secoli futuri dovranno invece essere nostri! A noi, popolo di Israele, dovrà appartenere l’avvenire, e a noi senza dubbio apparterrà. Questa è la decima volta che, nella lotta millenaria ed incessante contro i nostri nemici, gli eletti di ogni generazione del popolo di Israele si riuniscono in questo cimitero [ebraico di Praga], al fine di discutere su come far prevalere la propria causa e sugli sbagli e le nefandezze che continuano a commettere i nostri nemici, i cristiani. Ogni volta, il Gran Sinedrio ha proclamato e predicato la lotta senza tregua contro i nostri nemici, ma in passato nessuno dei nostri antenati era riuscito a concentrare nelle nostre mani così tanto oro e, di conseguenza, così tanta potenza come il XIX secolo ha potuto darci. Possiamo dunque sentirci lusingati, senza temerità, di raggiungere ben presto il nostro obiettivo, gettando uno sguardo sicuro sul nostro avvenire. Diamo infatti un’occhiata allo stato materiale dell’Europa ed analizziamo l’influenza che, dall’inizio del secolo presente, si sono procurati gli israeliti con la sola concentrazione nelle loro mani degli immensi capitali dei quali dispongono in questo momento. A Parigi, a Londra, a Vienna, a Berlino, ad Amsterdam, ad Amburgo, a Roma e a Napoli, gli israeliti possiedono moltissimi miliardi e sono dappertutto padroni della situazione finanziaria (come i Rothschild), senza tener conto che, anche nelle località secondarie e di terz’ordine, essi sono detentori dei fondi in circolazione e che, dappertutto, senza l’influenza dei figliuoli di Israele, nessuna operazione finanziaria, nessun lavoro importante potrebbe essere eseguito. Al giorno d’oggi, tutti gli imperatori, i re, i principi regnanti sono oppressi dai debiti, poiché devono tenere in piedi eserciti numerosi e permanenti, necessari a sostenere i loro troni barcollanti. La Borsa regola quei debiti e noi siamo padroni di gran parte di essa, in tutte le piazze. Conviene quindi cercare di moltiplicare i prestiti per rendere gli israeliti “regolatori” di tutti i valori e, infine, per prendere possesso – come garanzia dei capitali che noi forniamo ai vari paesi – delle ferrovie, delle miniere, delle foreste, delle grandi officine e delle grandi fabbriche, nonché di tutti gli immobili e della riscossione delle imposte. Protocollo II L’agricoltura sarà sempre la grande ricchezza di ogni paese, mentre il possesso delle grandi proprietà terriere apporterà sempre in ogni epoca grandi onori e grande influenza ai loro titolari. Di conseguenza, i nostri sforzi sono da indirizzare in questa direzione, mentre i nostri fratelli in Israele devono svolgere importanti acquisti terrieri. Per quanto sia possibile, dunque, noi dobbiamo secondare il frazionamento delle grandi proprietà, affinché sia più facile farle nostre. Con il pretesto di venire in aiuto delle classi lavoratrici, conviene far sopportare ai grandi proprietari di terre tutto il peso delle imposte. Quando poi quelle proprietà saranno finalmente nelle nostre mani, il lavoro dei proletari cristiani diverrà per noi una sorgente di immense ricchezze. Noi dobbiamo operare con perseveranza al fine di limitare l’influenza della Chiesa cristiano-cattolica, la quale è uno dei nostri più pericolosi nemici. Conviene quindi lavorare con determinazione per diffondere fra i cristiani idee di libero pensiero, di scetticismo, di scisma e provocare dispute religiose, le quali portano a divisioni e a settarismo. Inizialmente, a […]

  • «Dalla parte del diavolo». Filosofia per una rivoluzione nazionalista. Di Ernst Jünger

    Pubblicato nel maggio 1926 sulla rivista tedesca Standarte, il seguente scritto – seppur breve – si propone di mettere a nudo l’essenza della filosofia nazionalistica tedesca, mostrandone gli obiettivi e, soprattutto, lo spirito combattentistico, le cui radici affondano in quella “volontà di potenza” di nietzschiana memoria, che soltanto i soldati dell’epoca – tedeschi e non tedeschi – seppero personificare. Buona lettura! Con il titolo d’onore di nazionalisti non intendiamo solo prendere le distanze dal gruppo più agguerrito di coloro per i quali questa parola è per eccellenza la più maledetta, bensì dai pacifici borghesi in generale. Un movimento che intende combattere con i mezzi della guerra per i valori della vita e che a tal fine si schiera dalla parte del diavolo – che quei mezzi siano approvati o meno dalla morale comune – è affidato a guerrieri, a uomini valenti e davvero animati dal sangue, che sposano la causa con slancio e con amore. Non si tratta certo di quei bottegai e fabbricanti di marzapane con cui un’epoca del servizio militare obbligatorio per tutti ha annacquato l’esercito, bensì di uomini che sono pericolosi perché il pericolo è per loro un piacere. Né certo si tratta di tipi dall’indole accomodante, che reputano salvo lo Stato quando si può portare per le strade un’uniforme da generali o quando vi si possono sventolare bandiere nere, bianche e rosse, e ai quali sembra che, con il crollo del trono, la storia universale abbia perduto il suo senso. Proprio così, se i rappresentanti della quiete, dell’ordine e della pazienza cui il liberalismo dovette pagare le pensioni per il trasporto dell’inesauribile materia prima della propria attività – se costoro scendessero in campo come combattenti del nazionalismo, sarebbe in tutti i casi garantito il patrimonio della Repubblica di novembre. Non sarebbe necessario alcuna legge ausiliaria, e con reciproco disdegno fra conservatori e democratici, il liberalismo dovrebbe dirsi soddisfatto dell’esigenza di movimento, se non dovesse sperare in qualche sporadico approvvigionamento di sangue fornito dai comunisti. Non si può, però, contare troppo a lungo su tale ingenuità. Con sorprendente chiarezza si profila in quest’epoca la possibilità di una rivoluzione nazionale e si presenta quindi al liberalismo il pericolo di vedersi d’un colpo derubato del grosso e apparentemente definitivo bottino del 1918, e precisamente per mezzo di un gesto di rinnovata illegalità. Lo stesso nazionalismo si stupisce di questa possibilità, che sarebbe stata impensabile senza i precedenti che la favoriscono: senza la guerra, il tracollo e il rapporto di forze che ne è derivato. I suoi fautori, cioè i nazionalisti, erano talmente abituati al legame della loro volontà con un grandioso apparato tradizionale che, con la scomparsa di quell’apparato, anche la loro forza di volontà sembrò andare perduta. Il nazionalismo non ha infatti rimosso tutto questo così come ci si toglie un’uniforme, ma impiegò lungo tempo per superare anche interiormente il complesso di forme di un antico Stato: molto tempo dopo che esse smisero di appartenere al mondo reale. Al suo primo, ancora poco chiaro insorgere a Monaco, il nazionalismo si trovava nel mezzo di questo processo. Man mano che procedeva, però, si destavano sentimento del tutto nuovi. La volontà di potenza non si vide più vincolata, né obbligata, bensì del tutto libera: tanto libera quanto la volontà tedesca non è forse mai stata. Si presenta così al nazionalismo una situazione assolutamente chiara. L’edificio formale del passato è compiuto. La sua cura può essere affidata a piccoli borghesi da una parte e alla scena del mondo dall’altra. Il primo – e ovvio – dovere del nazionalismo è quello di volgere le spalle a questo campo di battaglia poggiante su un piano subordinato, senza risentimento di sorta. Il suo compito è piuttosto quella di allestire con ogni mezzo la battaglia contro l’edificio attuale, che è esattamente quello del 1919, cui si aggiungono poche concessioni di facciata a beneficio dei piccoli borghesi. Non dovrà restarne una sola pietra. Aver reso il nazionalismo capace di affrontare questo compito è l’autentico senso della rivoluzione del 1918. Grazie ad essa, non si è solo infranto il timore che i tedeschi provano di fronte a qualsiasi rivoluzione, ma si è anche sgomberata la strada da tutte quelle pietre che avrebbero potuto opporre ostacoli ad una volontà nazionalistica illuminata. Dare a quella strada la forma di un percorso assolutamente rivoluzionario è inevitabile, non solo per assestare al liberalismo il colpo mortale rovesciandone tutte le sciocchezze legali, bensì inevitabile anche per forgiare la stessa volontà nazionalistica. Il nazionalista non deve neanche intravedere una possibilità diversa da questa. Egli ha il sacro dovere di donare alla Germania la prima vera rivoluzione: vale a dire quella spinta da idee capaci di aprire nuove strade senza scrupoli. «Rivoluzione, rivoluzione!». È quanto deve essere incessantemente predicato, astiosamente, sistematicamente, spietatamente possa pure questa predica durare dieci anni. Ancora pochi hanno riconosciuto questa esigenza nella sua grande nettezza, ed è ancora in piena fioritura la chiacchera sentimentale della fratellanza e di unione con tutte le possibili e le impossibili forme di spirito. Sulla forca o in parlamento: ovunque vi sia posto. In tutto il mondo finito non esiste alcuna possibilità di unione fraterna tra gli opposti: non vi è che la lotta. La rivoluzione nazionalistica non sa che farsene di chi predica tranquillità e ordine. Ha bisogno di chi annuncia: «Il Signore scenderà su di voi con la durezza della spada». Dovrà liberare il nome della rivoluzione da quel ridicolo che in Germania le sta attaccato da quasi cento anni. Nella Grande guerra si è formato un nuovo, pericoloso tipo umano: conduciamolo all’azione! Perciò, al lavoro, camerati! Cerchiamo di rafforzare il nostro influsso nelle associazioni dei combattenti, perché rivoluzionarle è una primaria necessità. Meno agio, meno membri, più attività! Preparazione centrale! Suvvia, al lavoro! Basta con le pigre lusinghe della tranquillità economica. Non siamo i mandanti della classe lavoratrice. I sindacati combattenti nazionalisti vanno trasformati e centralizzati. Alla loro guida succederanno lavoratori di stampo nazionalistico. Sulle barricate nazionaliste saranno in grado di realizzare obiettivi più grandi di quelli che in cinquant’anni il […]

  • La rivoluzione nazionalsocialista. Appunti politici di Joseph Goebbels

    Nel 1943, fu consegnato ai nuovi membri dell’NSDAP il libro ‘Ich kämpfe. Die pflichten des parteigenossen’ (‘Io combatto. I doveri del camerata di partito’), un breve volumetto destinato a fortificare la Weltanschauung nazionalsocialista e dare ai nuovi membri gli strumenti ideologici adeguati al fine di rinnovare la fede nel Führer e nel Reich tedesco. Fra i brevi scritti contenuti al proprio interno, vi è ‘La rivoluzione nazionalsocialista’ , scritto dal Ministro della Propaganda Joseph Goebbels, il quale riproponiamo qui in forma integrale al fine di far comprendere, in tutta la sua nudità, la rivoluzione hitleriana, vista dall’autore come «il processo del “diventare popolo”». Buona lettura! La rivoluzione che abbiamo compiuto è una rivoluzione totale. Essa ha coinvolto e trasformato da cima a fondo tutti i settori della vita pubblica. Ha completamente cambiato – dando poi loro nuova forma – i rapporti degli uomini tra loro, i rapporti degli uomini verso lo Stato e verso le problematiche dell’esistenza. È stata davvero l’apparizione di una giovane Weltanschauung che per quattordici anni aveva combattuto all’opposizione per conquistare il potere, per poi dare al popolo tedesco – con l’ausilio di tale potere – un nuovo senso dello Stato. Ciò che è accaduto dal 30 gennaio 1933 in poi è soltanto l’espressione visibile di questo processo rivoluzionario. Ma non è in quel momento che è iniziata la rivoluzione in quanto tale. Infatti, in tal modo essa è stata soltanto portata a conclusione. Si trattava della lotta per l’esistenza di un popolo che, per il suo stile di vita arcaico e le idee superate, sarebbe stato altrimenti maturo per il tracollo. Le rivoluzioni hanno le proprie leggi e anche le proprie dinamiche. Quando esse hanno oltrepassato una determinata fase del loro sviluppo, si sottraggono al potere degli uomini e obbediscono esclusivamente alla legge in base alla quale esse sono iniziate. Sta nella natura di ogni vera rivoluzione il fatto che essa vada fino in fondo, e che non conosca alcun compromesso. O intende spingersi fino all’ultimo obiettivo – e allora essa sarà permanente e duratura – oppure si accontenta di un processo a metà – e in tal caso sarebbe stato meglio che non fosse mai iniziata. Le rivoluzioni non si limitano mai al campo puramente politico; partendo da tale campo, esse coinvolgono tutti gli altri settori della convivenza umana. Economia e cultura, scienza e arte, non ne sono assolutamente risparmiate. Tutto ciò è politica in un senso più elevato di quello che comunemente noi intendiamo. Ogni rivoluzione ha la sua tendenza; ha un obiettivo che si prefigge e verso il quale tende con uno sforzo appassionato. Non potrà fermarsi fino a quando questo obiettivo non sarà raggiunto; e, una volta raggiunto, deve vegliare gelosamente affinché esso venga rafforzato e salvaguardato. Qui, tuttavia, la parola “tendenza” viene elevata ad un significato più elevato di quello che solitamente gode nel linguaggio comune. La tendenza in quanto tale non è né buona, né cattiva; non ha valore affermativo, né negativo. Si tratta sempre dell’obiettivo che essa vuole. È la grandezza dell’obiettivo che dà grandezza alla tendenza; e l’insignificanza dell’obiettivo fa sbiadire la tendenza, riducendola una semplice ombra. Le rivoluzioni che realizzano un sovvertimento di grande portata storica propugnano una tendenza la cui grandezza è analoga alla loro. Si deve approvare la tendenza, se si dà una risposta affermativa alla rivoluzione. Se invece la si rifiuta, non ci si oppone alla tendenza, bensì alla rivoluzione stessa, e prima o poi quest’ultima scomparirà nel suo turbine. Il significato della rivoluzione che abbiamo compiuto è il “diventare popolo” della nazione tedesca. Questo “diventare popolo” è stato per duemila anni il desiderio e l’anelito di ogni buon tedesco. Molte volte si è cercato di realizzarlo con mezzi legali: ciascuno di questi tentativi fallì. Solo in questa focosa eruzione di fervore nazionale del nostro popolo è diventato possibile esaudire questo sogno. La sua attuazione fu tanto più esaltante, spontanea e selvaggia quanto più a lungo si era cercato di fermarla con delle dighe artificiali. Ciò che dall’alto non si era potuto fare – e che il più delle volte non si era neppure voluto fare – noi l’abbiamo realizzato in maniera concreta agendo dal basso. Il popolo tedesco – in passato, quello in assoluto più ferito al mondo; quasi atomizzato da partiti politici e opinioni; smantellato e disperso nelle sue parti, e pertanto condannato all’impotenza nella politica internazionale; dal 1918 senza armi e, quel che fu ancora peggio, senza volontà di affermarsi tra gli altri popoli – si rialzò in piedi, dando una straordinaria dimostrazione del suo senso di forza nazionale, realizzando quindi un’unificazione che fino ad allora solo pochi uomini forti e fiduciosi avevano ritenuto possibile, ma che era stata sbeffeggiata e respinta da tutti gli altri, dato che la ritenevano improbabile e contraria ad ogni esperienza e lezione della storia. Oggi, noi non possiamo ancora valutare la portata storica di questo processo del “diventare popolo”. Noi stessi, che abbiamo preparato tale processo, restiamo di fronte ad esso in profonda ammirazione, senza renderci assolutamente conto della sua grandezza e del suo significato, che influenzerà anche il futuro. Tramite la nostra rivoluzione, noi abbiamo superato un passato di impotenza tedesca; in essa, il popolo ha ritrovato sé stesso; la rivoluzione ha impresso nell’essenza tedesca un nuovo tratto del carattere. Per tutti i tempi a venire non si potrà più parlare di Germania, senza partire da essa. Di Joseph Goebbels

  • «Il fascismo è socialismo». Pensieri eretici di un fascista di sinistra. Di Pierre Drieu La Rochelle

    Discostandosi dal paradigma dominante che vede il fascismo come un fenomeno sostanzialmente di destra, l’intellettuale francese Pierre Drieu La Rochelle pubblicò nel 1934 Socialisme fasciste, un breve saggio in cui la dottrina fascista viene messa a nudo e infine interpretata come una sorta di nuovo «socialismo riformista», nel quale non vi è più posto per l’«invidia». Esso, spiega La Rochelle, «non è certo il socialismo che desideravano fino a ieri i socialisti», ma, anzi, è un «socialismo vivo, volontario, elastico, pragmatico», la cui dottrina assume «un aspetto completamente differente: un aspetto di consolidamento, di conservazione, di restaurazione dello spirituale». Il tutto, in antitesi al quel capitalismo sfrenato e a quella “mistica della materia” tipica dei socialismi marxisti. Buona lettura! In ogni fascismo esiste, come base di ogni energia morale, un’attitudine al sacrificio, una volontà di combattere che sarebbe pericoloso negare. E sarebbe altrettanto pericoloso supporre che queste qualità siano state distrutte dalle vittorie conseguite. Quando un movimento ottiene il trionfo, sono molto pochi coloro che ne traggono vantaggio. La massa rimane a bocca asciutta e quindi, almeno per un certo periodo di tempo, è nervosa e tesa. D’altra parte, nel fascismo la forza morale si basa anche su un altro fatto essenziale nella nostra civiltà delle grandi metropoli: sul socialismo che ha fatto proprio. Lo si voglio a no, nel fascismo di Berlino si è trasferita gran parte della genuinità del sindacalismo dell’anteguerra e la maggior parte dell’energia morale che si trovava nel marxismo dell’Europa occidentale e centrale nei primi anni di questo secolo. Dirò anche di più: il fascismo ha approfittato della crisi morale provocata nel mondo dagli avvenimenti del 1917. Ne ha approfittato molto di più dei vecchi partiti socialisti, chiusi nella prudenza e nella diffidenza, e molto di più dei partiti comunisti, costituitisi sotto il segno di una stretta imitazione e di un conformismo assoluto. Le marce su Roma e su Berlino non si spiegano semplicemente come reazione alle ondate dell’ottobre 1917. Sono derivazioni più che controcorrenti. È d’altronde sorprendente notare che questa interpretazione viene negata nello stesso tempo da certi uomini di destra che si uniscono al fascismo per i peggiori motivi e dagli uomini della più vecchia sinistra liberale o libertaria, camuffati da socialisti o da comunisti (non parlo qui dei comunisti di Mosca, che invece comprendono molto bene il Fascismo e giustamente si guardano dal sottovalutarlo): gli uni e gli altri sorpresi dalla novità politica, incapaci di guardare in faccia la realtà storica, pronti semplicemente alla negazione pura e semplice. Eppure, dalla Storia non possiamo aspettarci che delle sorprese. Sorprese sordide e nello stesso tempo magnifiche. Magnifiche perché l’imprevisto arricchisce spiritualmente. Sordide perché, per ottenere novità, la Storia crea legami illeciti, scandalosi (che in un’altra prospettiva umilierebbero lo spirito umano) fra elementi che in principio sembravano inconciliabili. Lo spirito aveva fatto alcuni piani che adesso vengono mandati all’aria nella misura in cui si sono realizzati su strade impreviste e un po’ complesse. Lascio agli pseudo-rivoluzionari la vergogna di considerarmi un paradossale, ma io sostengo che la mia fiducia nel socialismo nasce dallo spettacolo che offrono oggi i paesi fascisti. Se non ci fosse questo spettacolo complesso ma ricco di segni indicativi, sarei senza speranza, poiché avrei sotto gli occhi solo la triste agonia del socialismo ufficiale delle vecchie democrazie. Si, c’è molto socialismo in fermentazione nel mondo fascista. E non si tratta solo di quel socialismo che è fatale ed è previsto dal fatalismo di Marx, dalla lenta discesa al socialismo che avviene col cambiamento graduale delle strutture capitaliste, secondo quella legge forgiata dal determinismo perentorio dei dottori marxisti del secolo scorso. Ma si tratta soprattutto del socialismo vivo, volontario, elastico, pragmatico che era quello di Owen in Inghilterra, di Proudhon in Francia, di Lassalle in Germania, di Bakunin in Russia, di Labriola in Italia: esso è sempre stato tenuto a freno dai successi apparenti di un marxismo che rivela forse l’acutezza e la lucidità mostrata da Marx negli istanti di maggiore genialità, ma che in generale è dominato da un’opacità e da una pesantezza senza rimedio. Attraverso il fascismo, invece, si sta risvegliando, sia a Berlino che a Roma, il socialismo non marxista. Marx aveva tentato di abbeverare il suo genio alle sorgenti fluide dello spirito del XVIII secolo. C’è in Marx un tentativo di raggiungere Heine. Ma è un tentativo ed uno sforzo che quasi sempre fallisce. Marx non è riuscito a superare la corrente epica, che si è formata in Europa alla fine del ‘700 e che durante tutto il secolo successivo ha trascinato con sé la maggior parte degli animi, e fra questi i più grandi, verso teorie enormi, gigantesche, insomma non è riuscito a sfuggire al romanticismo. In Marx c’é anche una personalità viva, accorta, liberale, ma quasi sempre viene dominata dal temperamento romantico che si esprime in tesi e postulati pseudoscientifici, astrusi, colmi di passione emotiva. Il marxismo è uno dei momenti più caratteristici della seconda ondata romantica, quella del naturalismo e del positivismo. Per questo motivo la sua opera ha avuto un maggior successo in Russia, paese candido e ingenuo, piuttosto che in Germania o in Francia o in Inghilterra. E nella stessa Russia ha avuto un’applicazione pratica solo grazie all’intervento di un genio astuto come Lenin, che l’ha manipolata e adattata ai tempi. Ma fino a che punto l’energia socialista del fascismo, che è davanti ai nostri occhi, può svilupparsi? Quali obiettivi può raggiungere? A mio parere, i progressi del socialismo a Berlino e a Roma saranno proporzionali alla persistenza del nazionalismo in Europa e al progressivo aumento dei suoi misfatti. Ancora un paradosso della Storia! Due movimenti, che sembravano irrimediabilmente ostili per una mente di fine ‘800, si avvicinano e si aiutano a vicenda: socialismo e nazionalismo. Marx aveva dimenticato che esisteva non solo il materialismo delle forze di produzione, ma anche un altro, quello della geografia. Alla base del nazionalismo c’è un materialismo che, come ci hanno insegnato questi ultimi anni, non ha ancora finito di produrre i suoi effetti: il materialismo del […]

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