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martedì, 20 maggio 2025

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Tag: Putin

Il “piano Balan” e le origini della guerra in Ucraina. Come Putin ha salvato il Donbass e forse anche la Russia intera

28 Agosto 2024 8 commenti

Un’inchiesta sconvolgente – senza censure o stupidi pregiudizi culturali – sulle vere origini della guerra in Ucraina, cominciata nel febbraio […]

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  • Esteri

Massoneria ebraica e guerra in Ucraina. Come l’ebraismo massonico ha alimentato il conflitto. Tutta la verità

2 Marzo 2022 10 commenti

Contrariamente a quanto si possa pensare, l’Ucraina è dominata da una potente loggia massonica di matrice ebraica, la B’nai B’rith, […]

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  • Esteri

Le super armi di Putin e il “controllo delle folle”. L’esempio del Kazakistan

22 Febbraio 2022 3 commenti

Testimonianze esclusive hanno rivelato la presenza di armi a radiazioni elettromagnetiche e di “controllo mentale” durante i disordini di gennaio […]

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  • Esteri

Russia-Ucraina: guerra “massonica”? Una prospettiva inedita sul potenziale conflitto

12 Febbraio 2022 6 commenti

L’Ucraina è un campo di battaglia: da una parte, la massoneria occidentale, europeista e liberale; dall’altra, le logge massoniche russe, […]

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  • Esteri

Ultime Politica

  • Giuliano di Bernardo e l’Accademia degli Illuminati. La mano nascosta che muove i fili della politica italiana ed europea

    Dal celebre Ordine di Adam Weishaupt alla semisconosciuta “Accademia” di Giuliano Di Bernardo: la storia degli Illuminati come nessuno l’ha mai raccontata, senza censure o inutili complotti Si sente spesso parlare dell’Ordine degli Illuminati di Baviera o semplicemente degli Illuminati, senza però comprenderne le origini e, soprattutto, gli sviluppi. In merito vi sono infatti svariate “teorie del complotto” che, sebbene affascinanti e sensazionalistiche, non hanno nulla a che vedere con la realtà storica. Pertanto, sollecitati da alcuni fedeli lettori, abbiamo deciso di scrivere un breve dossier sugli Illuminati, mostrando come l’Ordine sia stato rifondato a Roma nel 2002 e continui ancora oggi ad operare dietro le quinte del potere politico – sia in Italia che all’estero – attraverso gli stessi metodi adottati nel XVIII secolo in Germania da Adam Weishaupt, pioniere dell’Ordine, e dai suoi uomini più fanatici. Per fare luce e comprendere tale argomento a trecentosessanta gradi, tuttavia, è necessario partire dalle origini, ossia dal visionario Adam Weishaupt, detto Spartacus, e dal suo «freddo, apocalittico programma di distruzione», (come lo definì nel 1941 il giornalista Raffaele Del Castillo), per poi giungere, con documenti alla mano, alla nuova e famigerata “Accademia degli Illuminati”, che – dal 2002 – pare eserciti una grossa influenza sulla politica italiana ed europea, tanto a destra quanto a sinistra, agendo in nome di una nuova etica universale. Ma andiamo con ordine, e partiamo dal principio. Le origini Il nucleo archetipico dell’Ordine degli Illuminati nacque in Baviera il 1° maggio 1776, prendendo il nome di Bund der Perfektibilisten, ossia “Lega dei Perfezionisti”. A fondarlo fu il ventottenne Adam Weishaupt, professore di diritto canonico all’università di Ingolstadt passato a idee liberali e anti-religiose, e quattro giovani studenti di giurisprudenza affascinati dall’occultismo e dalle teorie utopiche di Jean-Jacques Rousseau. Come simbolo del movimento – su suggerimento dello stesso Weishaupt – venne utilizzata la Civetta di Minerva, emblema esoterico di filosofia e saggezza, mentre ogni membro assunse presto uno pseudonimo. Fu così che Weishaupt, ossessionato dal gladiatore trace che oltre duemila anni fa cappeggiò una rivolta di schiavi contro Roma, divenne Spartacus. Gli studenti, invece, assunsero i nomi di Erasmo, Ajax, Agathon e Tiberio. Con la crescita del movimento – spiega Del Castillo – si cominciò a vociferare «che [la Lega] fosse l’erede della famosa setta eretica musulmana degli “Assassini” o “Ismaeliti dell’Est”, cappeggiata nel XII secolo in Asia Minore da Abdullah Ibn Maimun», anche se in realtà Weishaupt – da buon leader – ne aveva soltanto «copiato l’organizzazione interna». La «selezione dei nuovi adepti» era infatti «severissima»; ad essi «veniva per lungo tempo tenuto celato lo scopo reale della setta, scopo che si doveva conoscere soltanto negli ultimi gradi di una scala iniziatica». Inoltre – conclude Del Castillo – «si chiedeva ai neofiti dedizione assoluta e disciplina cieca agli ordini dei capi, i quali rimanevano almeno nominalmente occulti». Non vi erano ammessi ebrei, né monaci o membri di altre società segrete. Due anni dopo, nell’aprile del 1778, Weishaupt – ispirato soprattutto dalla mentalità degli enciclopedisti come Voltaire e dalla dottrina libertaria di Rousseau – decise di cambiare nome al movimento. Così, la Lega dei Perfezionisti – sempre più orientata verso il potere politico, piuttosto che alla crescita spirituale degli adepti – venne rinominata Illuminatenorden, ossia Ordine degli Illuminati. La setta – spiega del Castillo – cominciò tuttavia a reclutare personalità di rilievo, come «magistrati, ministri di Stato, ecclesiastici», impadronendosi di «parecchi gangli vitali» della Germania, anche se – contrariamente a quanto si possa pensare – «non arrivò mai all’aperta ribalta politica». Malgrado ciò – spiega la professoressa Elena Cuomo – l’Ordine di Weishaupt riuscì a divenire in breve tempo, con il supporto di personalità influenti (ma non solo), «un potente canale di socializzazione» che, negl’anni, plasmando «a suo uso e consumo» molte delle «idealità in fermento nel secolo», si trasformò «in una stringente maglia di potere». Idee e obiettivi L’obiettivo di Weishaupt, come ha dichiarato Del Castillo, era in sostanza quello di «preparare per mezzo dei suoi adepti le prime fasi di una rivoluzione mondiale»: una rivoluzione vòlta a «distruggere ogni e qualsiasi religione» e a indurre una lenta scomparsa della «falsa idea di diverse patrie», (ri)portando così l’uomo verso quello «stato selvatico» di cui parlava il filosofo Rousseau, quando ancora la razza umana «formava una sola famiglia senza bisogni artificiali, senza inutili scienze». Ma, «per arrivare a quella idilliaca “felicità umana”» – prosegue Del Castillo – «bisognava anzitutto fare tabula rasa di tutti i valori morali, religiosi, politici, economici, con i quali l’umanità aveva fino allora costruito le sue successive civiltà». Weishaupt proponeva quindi «l’abolizione della proprietà, dell’autorità sociale» e «delle nazionalità». Secondo le sue stesse parole – riporta del Castillo – «con l’origine di nazioni e di popoli, il mondo cessò di essere una grande famiglia, un solo reame: il grande legame della natura era spezzato. Il nazionalismo prese il posto dell’amore umano… Diventò una virtù il magnificare la propria terra alle spese di chiunque non fosse compreso nei suoi confini; come mezzo per questo angusto fine diventò lecito disprezzare e truffare lo straniero e anche di insultarlo. Questa virtù si chiama “patriottismo”». Secondo Weishaupt, «tutto doveva quindi scomparire: con le religioni i sacerdozi, con le patrie i governi e le monarchie […]. Il mondo doveva tornare allo “stato selvatico”, stato dal quale l’incontrastato potere degli Illuminati doveva poi trarre una nuova forma di società». Ma, come è noto, non tutto andò come previsto. Triste epilogo A porre ufficialmente fine all’attività degli Illuminati – spiega Del Castillo – fu «uno strano fatto di cronaca». Era il luglio 1785; un losco «predicatore evangelista di nome Lanze, fiduciario degli Illuminati, era stato mandato in Slesia in missione organizzativa; e nel corso del viaggio fu colto da un violento temporale e ucciso da un fulmine. Sul suo cadavere le autorità trovarono tutto un pacco di documenti, tra i quali figuravano diffuse istruzioni e lettere di Weishaupt. Il governo bavarese, avvertito, ordinò la soppressione della setta [considerata sovversiva] e al contempo fece eseguire perquisizioni nelle case degli Illuminati. […] […]

  • «Abbiamo sempre fatto ciò che ci diceva il cuore. Non siamo terroristi». Intervista esclusiva ad un membro della “Werwolf Division”

    «Eversione neonazista: una rete bolognese tra chat e Telegram. Indagate otto persone», scriveva il 29 maggio la giornalista Federica Orlandi sul quotidiano Il Resto del Carlino, facendo riferimento ad un gruppo denominato “Werwolf Division”, il quale – secondo la Procura di Napoli – avrebbe dovuto al più presto mobilitarsi per compiere «atti eversivi violenti» e «reclutare sempre nuovi membri, addestrandoli ad azioni violente, anche mettendo a disposizione armi». Ma è davvero così, o siamo dinanzi alla solita “propaganda” del Sistema? L’abbiamo chiesto direttamente a uno di loro, che – per ovvi motivi – ha deciso di rimanere anonimo, senza però rinunciare a dire la (sua) verità, che – come potevamo immaginare – non è quella scritta sulle carte ufficiali. Buona lettura! – Grazie per aver accettato questa intervista. Che cos’é e quando nasce la “Werwolf Division”? – La Werwolf Division era un gruppo Telegram nato nella primavera del 2022 e formato – come molti altri gruppi online ancora attivi – da appassionati di storia e politica, accomunati da ideali di patriottismo e nulla di più. Il Resto del Carlino – probabilmente su richiesta di qualcuno – ha fatto di una piccola scintilla un gigantesco incendio. È stato tutto ingrandito, quasi creato ad hoc. Certo, non lo nascondo: molti di noi erano affascinati dall’epoca del Terzo Reich e dal socialismo nazionale (soprattutto dalla sua interpretazione magico-esoterica), ma non siamo né terroristi, né criminali, né pericolosi sovversivi. Anzi, le sembrerà strano, ma uno degli indagati è addirittura completamente estraneo al gruppo della Werwolf Division e al mondo della politica. Probabilmente è finito nell’indagine a causa dell’incompetenza della forze dell’ordine o per errore. Ad ogni modo, spero con tutto il cuore che la sua posizione venga chiarita al più presto… – Su di voi pendono accuse pesantissime, come «associazione con finalità di terrorismo» e «incitamento in gruppo alla discriminazione razziale». L’articolo di Federica Orlandi pubblicato da Il Resto del Carlino fa inoltre riferimento ad alcune «armi» che avreste dovuto mettere a «disposizione» ai nuovi militanti per effettuare «atti eversivi violenti»… Cosa avete da dire a riguardo? – Sono fantasie! Sproloqui dei giornalisti! Probabilmente hanno letto troppo I diari di Turner, e ne sono rimasti interdetti! La Werwolf Division, contrariamente a quanto dicono le carte della Procura, non è mai stata un pericolo per il sistema democratico. Noi non abbiamo mai fatto azioni violente e, tantomeno, non abbiamo mai avuto armi… E le perquisizioni l’hanno dimostrato. L’unica nostra “colpa” – se possiamo definirla tale – è rappresentata soltanto da conversazioni private considerate «razziste» e dall’attacchinaggio di un volantino. Si: un volantino che riportava una frase di Dominique Venner! Nulla di più! Riguardo al gruppo Telegram, invece, si parlava di storia, politica e quant’altro e si condividevano articoli e contenuti letterari di contro-informazione di vari siti internet, senza comunque mai inneggiare esplicitamente alla violenza o all’odio. La Procura ci ha descritti come una vera e propria organizzazione terroristica, con una sua gerarchia interna, finanziamenti occulti e armi, ma non è affatto così. Chi ci conosce lo sa benissimo che siamo quattro disperati senza un soldo in tasca. Se il sistema democratico ha paura di noi, allora vuol dire che c’è qualche problema! Il fatto è che – come anche voi di Ardire avete dimostrato in un recente articolo – gridare al “pericolo neonazista” fa comodo a qualcuno… Già ci siamo capiti. E noi non siamo altro che vittime di questa grottesca e circense “caccia alle streghe”, che da anni ormai imperversa nell’Occidente liberale sempre più martirizzato e cosmopolita. – Secondo la Procura di Napoli, nel maggio 2022 vi sareste infiltrati «durante una manifestazione» in pieno centro a Bologna, «sotto le Torri», diffondendo «volantini inneggianti all’eversione». Può dirmi di più? – Altre fantasie della Procura! Noi non abbiamo mai fatto attività di volantinaggio nella zona del centro storico, anche perché sarebbe stato molto pericoloso: avremmo rischiato il linciaggio da parte dei migranti e, soprattutto, degli antifascisti (presenti ovunque nelle zone del centro storico di Bologna), se avessimo davvero diffuso «volantini inneggianti all’eversione» nazionalsocialista «durante una manifestazione sotto le Torri». Bologna è rossa: certe cose non si possono fare. Se avessimo fatto davvero una cosa del genere, saremmo tornati a casa con le gambe rotte e, come minimo, il giorno dopo tutti i giornali locali avrebbero gridato all’eversione “neonazista”. Ed invece, nulla è successo. Il nostro “peccato”?! Aver pensato differente, al di fuori dei confini del dogma della democrazia. E sappiamo fin troppo bene cosa succede a chi si allontana dal “sentiero” democratico… – Ha voglia di raccontarci nel dettaglio come sono andate le cose durante la perquisizione? – C’è poco da raccontare… Nella notte fra il 14 e il 15 maggio sono stato svegliato da sei uomini della Digos: cercavano armi, che ovviamente non avevo. In mancanza di esse, hanno sequestrato una dozzina di libri (tra cui il Mein Kampf e altri libri di politica) e alcune foto di Benito Mussolini che da anni tenevo appese in cucina. Si, delle fotografie! Mi contestano il fatto di essere la guida intellettuale della Werwolf Division, quando invece la Divisione non aveva un vero e proprio leader, essendo appunto un gruppo Telegram aperto a tutti. Ad ogni modo, i sei uomini della Digos erano accompagnati da un esperto di informatica, che ha passato la giornata ad estrarre dati dal mio computer e dal mio cellulare, quasi come un bambino in cerca di caramelle. Verso le quattro di pomeriggio, sono stato portato in questura a Bologna, dove mi hanno preso le impronte digitali e fatto la foto segnaletica. Che umiliazione! Il pomeriggio del 7 giugno sono poi tornati a farmi firmare una lunga serie di fogli, che ho aggiunto agli altri… Ma in fondo, che cosa abbiamo fatto? Siamo forse terroristi, perché abbiamo diffuso un volantino rivoluzionario?! Il fatto è che lo spettro del nazionalsocialismo e, soprattutto, del suo fondatore fa ancora paura. Così, chiunque propenda per una visione alternativa della vita e delle cose viene subito “squalificato” in quanto “fascista” o “nazista”. Parliamoci chiaro: è da anni che, […]

  • L’Europa sarà ebraica? Le origini occulte del Parlamento Ebraico Europeo e la farsa della lotta all’antisemitismo

    Sconosciuto ai più, il Parlamento Ebraico Europeo detiene attualmente le chiavi della politica dell’UE, manovrando come vere e proprie marionette i politici, i parlamentari e le istituzioni di tutti gli Stati europei al fine di “ebraicizzare” l’intero continente Oltre un secolo fa, il politico inglese di origini ebraiche Benjamin Disraeli, noto per essere stato Primo Ministro del Regno Unito per ben due volte, dichiarò che «il mondo è governato da personaggi diversi da quelli che immaginano coloro che non gettano lo sguardo dietro le quinte». E nel caso particolare dell’Europa, se si getta uno sguardo «dietro le quinte», si può constatare che l’affermazione di Disraeli è ancora valida, e che i «personaggi» occulti di cui egli parla non sono altro che gli stessi ebrei, la cui influenza in Europa ha raggiunto i suoi massimi storici con la fondazione del Parlamento Ebraico Europeo (EJP), oltre dieci anni fa. Non sappiamo molto sulle sue origini. Le poche fonti a nostra disposizione ci dicono che è stato fondato il 16 febbraio 2012 all’interno dello stesso Parlamento Europeo, a Bruxelles, su iniziativa della semi-sconosciuta Unione Ebraica Europea (EJU), una losca ONG senza scopo di lucro creata un anno prima dal politico ucraino-israeliano Vadim Rabinovich e dal filantropo e uomo d’affari ucraino di origini ebraiche Igor Kolomoyskyi (noto per essere il principale finanziatore di Volodymyr Zelensky), anche se l’idea di creare un Parlamento ebraico in Europa fu suggerita per la prima volta durante il Congresso Sionista di Basilea, nel 1897, e poi ripresa in seguito dal politico israeliano Shimon Peres. L’European Jewish Press, tuttavia, ci informa che l’inaugurazione dell’EJP, avvenuta all’interno dell’Euro-parlamento di Bruxelles, ha riunito ben centoventi parlamentari ebrei, tra cui gli italiani Roger Coianiz e Vittorio Pavoncello e «diverse figure di spicco dell’ebraismo europeo, come Pierre Besnainou dalla Francia, Cefi J. Camhi dalla Turchia, Nathan Gelbart dalla Germania, Oliver Mischon dal Regno Unito, Joel Rubinfeld dal Belgio, nonché un numero importante di giovani personalità e leader emergenti», tutti eletti – secondo East Journal – «in maniera semi-seria». I candidati, infatti, sono stati selezionati dall’EJU via internet «a loro stessa insaputa»; tra di essi, erano presenti anche «personalità controverse» che, con la politica, non hanno mai avuto nulla a che fare, come Sacha B. Cohen (attore), David Beckham (ex giocatore di calcio) e Stella McCartney (figlia del noto membro dei Beatles, Paul McCartney). In totale, vi sono stati circa 400.000 voti, anche se – dichiara East Journal – «non è certificato che i votanti abbiano votato una sola volta, o solo per i candidati del proprio paese», in quanto le elezioni si sono svolte online e non vi è stato alcun controllo da parte degli organi dell’UE. Malgrado ciò, secondo Tomer Orni (amministratore delegato dell’EJU), la fondazione dell’EJP ha rappresentato un «evento storico» e senza precedenti per la comunità ebraica in Europa, che – come ha fatto notare il professore e accademico ebreo Shlomo Avineri – in «un secolo di emancipazione» è riuscita a passare «dalla periferia al centro della società europea». Attraverso un Parlamento ebraico, infatti, Rabinovich e Kolomoyskyi – in sinergia ai lavori dell’European Jewish Congress – hanno voluto fornire «una struttura unificante per tutte le comunità e le organizzazioni ebraiche in tutta l’Europa occidentale, orientale e centrale», operando «attivamente per rafforzare la vita ebraica» nella UE e combattere razzismo e antisemitismo. In altre parole – dichiara lo stesso sito dell’EJP – l’obiettivo è stato quello di correggere «le imperfezioni del passato» e «continuare a costruire un’organizzazione ebraica europea veramente influente», in grado di contribuire «in maniera positiva allo sviluppo europeo» ed estinguere, una volta per tutte, ogni retaggio residuale di antisemitismo. Non è forse stato Vladimir Katsman, inviato speciale dell’EJP, a dichiarare esplicitamente che «gli ebrei vogliono avere un’influenza sull’Europa»?! A conferma di ciò, l’inaugurazione del Parlamento Ebraico Europeo ha coinciso con la visita a Bruxelles di una delegazione di quaranta membri di spicco della Conference of Presidents of Major American Jewish Organization (nota come “Conferenza dei Presidenti”) guidata dagli ebrei Richard Stone e Malcolm Hoenlein. Insieme ad altri membri dell’EJP, la delegazione – in rappresentanza della potente lobby ebraica a stelle e strisce – «ha tenuto colloqui con i funzionari dell’UE» e «della NATO» e ha discusso inoltre su «questioni come l’antisemitismo in Europa», stringendo solidi accordi e ponendo così le basi per la futura egemonia del continente. «La visione di un Parlamento ebraico europeo è finalmente una realtà», ha dichiarato Tomer Orni durante l’inaugurazione dell’EJP. «Si tratta di un evento storico in quanto il nuovo Parlamento è un’importante pietra miliare per la rappresentanza ebraica in Europa. Siamo profondamente convinti che il Parlamento sarà una forza positiva nell’affrontare le mutevoli condizioni e le grandi sfide che l’ebraismo europeo sta affrontando». Lotta all’antisemitismo Per espandere la propria influenza, l’EJP ha organizzato negli anni «riunioni di deputati ebrei con parlamentari di quasi tutti i paesi europei», al fine di «discutere questioni locali» e imporre – in collaborazione con la loggia ebraica B’nai B’rith e l’European Jewish Congress – le proprie direttive ai singoli paesi dell’UE. Appena un anno dopo la fondazione dell’EJP, infatti, è stato creato a Bruxelles, all’interno dello stesso Parlamento europeo, il “Gruppo di Lavoro contro l’antisemitismo”, una speciale struttura formata da deputati e politici ebrei che – come spiega il sito della loggia B’nai B’rith – «ha contribuito a integrare la lotta contro l’antisemitismo a livello dell’UE e negli Stati membri», imponendo a quest’ultimi di «sviluppare piani d’azione nazionali per affrontare l’odio antiebraico». Grazie all’operato degli agenti dell’EJP e del “Gruppo di Lavoro”, che hanno diffuso a macchia d’olio la convinzione secondo la quale l’antisemitismo sarebbe «parte del DNA dell’Europa» e quindi il nemico numero uno dell’UE, nel dicembre 2015 viene fondata – con il supporto diretto delle organizzazioni ebraiche militanti – la “Commissione europea per la lotta all’antisemitismo e la promozione della vita ebraica”, presieduta dalla coordinatrice Katharina von Schnurbein. Tale organo – come ricorda lo stesso sito dell’UE – si riunisce a Bruxelles «diverse volte all’anno», coinvolgendo – in collaborazione con il “Gruppo di Lavoro” – «le principali organizzazioni ombrello ebraiche» e […]

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  • Takeo Yoshikawa: il pittore-spia che rese possibile l’attacco giapponese a Pearl Harbor

    Il presente scritto, tratto da “7 anni di guerra” (23 maggio 1965), mostra come l’attacco a Pearl Harbor fu il frutto di studi accurati da parte di un solitario pittore giapponese presente proprio alle Hawaii, in contatto con i servizi segreti nipponici; una vicenda al limite dell’immaginabile, che mostra un lato dello spionaggio ancora inedito e sconosciuto ai più. Buona lettura! La più grande e più riuscita azione di sorpresa della Seconda guerra mondiale, cioè l’attacco giapponese a Pearl Harbor, non avrebbe mai potuto aver luogo senza la collaborazione di una spia, Takeo Yoshikawa. Sul finire del 1936, un ex ufficiale della Marina Imperiale nipponica venne richiamato in servizio per un normale periodo di addestramento; il capitano Yoshikawa all’epoca aveva trentacinque anni e si era creato una carriera come apprezzato pittore di paesaggi. Giunto al quartier generale di Tokyo, venne indirizzato verso un ufficio in fondo ad un corridoio del terzo piano, ed ogni ufficiale di Marina sapeva cosa si celava dietro quella porta. Ne uscì tre ore dopo e, dopo aver indossato abiti civili, si imbarcò su una nave di linea diretta alle Hawaii. Ufficialmente era stato destinato al Consolato nipponico in quella regione, ma dedicava ogni momento libero ad esplorare i dintorni della grande base navale americana, ospitata a Pearl Harbor. Ogni giorno realizzava inoltre numerosi quadri delle località visitate. Le opere meglio riuscite le vendeva, mentre teneva per sé quelle che a suo giudizio erano meno riuscite e che rappresentavano un “verismo” molto vicino alla fotografia. Nelle sue opere, inoltre, non venivano mai ritratte persone, e nemmeno le grandi navi americane, che, spiegava il pittore, interrompevano la meraviglia naturale di quei luoghi. Ogni settimana inviava un certo numero di opere ad una rinomata Casa d’Arte di Tokyo. In breve tempo, i servizi segreti giapponesi e l’Alto Comando della flotta imperiale poterono quindi disporre di una panoramica completa e dettagliata della base navale americana e dei dintorni. Per cinque anni, Yoshikawa ha aggiornato ogni settimana i rilievi sulla situazione della base navale, ha effettuato studi sul meteo, sulla visuale e sulla posizione del sole in certe ore. Si è impresso nella mente la sagoma delle navi americane, il loro nome, il loro armamento e i loro effettivi. Ad ogni cambio di comandante, in compagnia del console giapponese si è recato a bordo della nave ammiraglia per le dovute visite di cortesia. Verso i primi di novembre del 1941, ricevette da Tokyo l’ordine di stilare un piano di attacco dettagliato basato sulle sue osservazioni e conoscenze del luogo. Yoshikawa indicò che l’ora migliore, in quella stagione, era tra le 7 e le 8 del mattino; l’attacco doveva avvenire dal cielo, attraverso un vallone tra le montagne e dal mare, con sommergibili appostati all’uscita del porto in punti già designati. Non restava che attendere che un numero consistente di navi si raggruppassero nella rada di Pearl Harbor. L’occasione si presentò il 6 dicembre 1941, quando gli americani decisero di spostare parte della loro flotta, anche in ragione di una deriva negativa nelle trattative diplomatiche con il Giappone. Il giorno dopo, il piano d’attacco di Yoshikawa scattò nei tempi da lui previsti, ma l’ufficiale non ebbe modo di vedere l’azione, in quanto si era allontanato da Pearl Harbor la notte prima a bordo di un pescareccio giapponese. Di Anonimo

  • «Non c’è pensiero senza azione». La rinascita dell’uomo europeo. Di Drieu La Rochelle

    Considerato uno dei più affascinanti intellettuali del fascismo francese, Drieu La Rochelle volle col presente scritto (pubblicato nel 1940 col titolo ‘Notes pour comprendre le siecle’) mostrare finalmente l’essenza dell’uomo nuovo, le cui caratteristiche – in breve – dovevano edificarsi attorno a tre fondamentali assiomi di matrice fascista: sentimento, pensiero e azione. Buona lettura! Un certo pensiero della fine del XIX e l’inizio del XX secolo aveva preparato per gli europei gli strumenti di una rinascita quale non si era mai più vista da molti secoli, di una rivoluzione così completa da compiere un angolo di 360 gradi. Era nato un uomo nuovo, che reagiva contro la vita cittadina, che dominava la città e la campagna, che restituiva all’anima e al corpo i valori della forza, del coraggio, della conquista, che voleva essere messo alla prova, avere tutte le esperienze, creare un’unità fra il sentimento, il pensiero e l’azione. Questo uso della ragione, al di là dei limiti del razionalismo e del romanticismo, doveva inevitabilmente sfociare nell’ordine politico per cercarvi la sua logica conclusione. Fra la Russia, l’Italia e la Germania comparve quest’uomo che non si sperdeva nel dedalo delle vecchie dottrine del XIX secolo o che, volendo viverle nella loro essenza più autentica, le aveva frantumate conservandone solo gli elementi ancora utilizzabili. Quest’uomo rifece il cammino di Nietzsche. Prendendo le mosse dall’intellettualismo eccessivo dell’ultimo periodo, dopo un tuffo vertiginoso nei libri che avrebbe potuto essere fatale ma che invece lo temprò per tutta la vita, si scoprì infine nichilista davanti a una tabula rasa dove erano abolite tutte le categorie e le vecchie restrizioni di una ragione trasformatasi in pura ipocrisia. In un’epoca in cui le vecchie norme avevano completamente esaurito ogni efficacia, gli uomini più immorali diventavano logicamente i più morali. Gli uomini del nuovo tempo, nell’Europa orientale o centrale o meridionale, si scoprirono abbandonati dalla ragione e dalla morale. Si gettarono nella giungla che cresceva sulle loro macerie, in mezzo alle quali erano nati; non riconobbero più che il mito della Vita, poiché sapevano molto bene che la passione ricostruisce sempre la ragione, in quanto deve necessariamente ordinarsi attorno ad una forza dominante, mortificare la maggior parte dei suoi desideri a vantaggio del principale e graduare gli strumenti e gli effetti. Ricreando la ragione, l’uomo d’azione ricrea la morale, che è un aspetto della ragione. Così si videro uomini nati nel XIX secolo scuotersi di dosso la polvere delle meditazioni e delle dottrine. Il XIX secolo si era semplicemente stupito, aveva infine fantasticato e ragionato sulla nuova situazione creata dall’uomo con la scienza, l’industria, l’urbanesimo; il XX secolo doveva per forza dominare questa situazione. Si vide Mussolini sbarazzarsi in pochi anni del marxismo e dell’anarchismo; si vide Lenin adattare i temi talmudici di Marx ai bisogni un po’ sommari di un conquistatore tartaro; si vide Hitler non entrare nel marxismo, ma correre subito, più in fretta degli altri, verso una sintesi del socialismo e del nazionalismo. Queste due idee del XIX secolo furono equilibrate l’una con l’altra, diventarono qualcosa di diverso da ciò che erano originariamente, confondendo le loro personalità. E questo è diventato il sistema di vita del XX secolo. È apparso infine l’uomo nuovo in tutta la sua evidenza sia in Germania che in Italia. In Russia ci appare invece mutilato e compromesso, poiché i barbari – che sono dei primitivi influenzati e corrotti dalla decadenza che li circonda – cercano, come cani senza padrone, il cibo nelle pattumiere e quindi devono digerire gli avanzi peggiori. L’uomo nuovo parte dal corpo; egli sa che il corpo è l’articolazione dell’anima, la quale non può esprimersi, spiegarsi in tutta la sua ampiezza, trovare una base consistente se non nel corpo. Non c’è nulla di più spirituale che questo riconoscimento del corpo. L’anima, che cerca e chiede la salvezza, si salva ritrovandosi nel corpo. Niente è meno materialista di questo movimento. L’errore penoso dei nostri ultimi razionalisti, in cui si è rivelata la caduta, ossia l’imbastardimento del loro pseudo-umanesimo, è stato di gridare al materialismo di fronte ad una rivoluzione che, invece, salva e offre di nuovo le sorgenti e le basi dello spirito. La gioventù europea, che ha riscoperto, attraverso la pratica – spesso un po’ forzata e ridotta, commerciale e spettacolare – dello sport, i ritmi elementari della respirazione umana e della giornata umana, non era materialista. Nelle sue file si formavano i peggiori nemici del materialismo – sia del materialismo dei capitalisti dell’altro ieri, sia del materialismo dei socialisti di ieri. Cari signori della Borsa o del Parlamento, gli Scouts o i Wandervögel, che riscoprivano la marcia nel sole o nella pioggia, la notte allo scoperto, gli alberi, i ruscelli, il gioco e il coltello, non erano materialisti. Essi trascendevano la grande città, la fabbrica, il laboratorio, e preparavano nei corpi il vaso spirituale della collera contro la schiavitù di una scienza e di una industria ancora ferme alle prime forme di applicazione sociale dei loro prodotti o delle loro scoperte. Nel corpo restituito a sé stesso, i valori dell’anima ricominciavano a circolare generosamente. Erano il coraggio, lo spirito di decisione e di creazione. Non c’è pensiero senza azione. Non si pensa se non nella misura in cui si trasforma il pensiero in azione, lo si mette alla prova, lo si adatta, gli si assicura una base più solida per salire ancora più in alto. La gioventù europea, che aveva per lungo tempo pensato male, poiché le avevano tolto la metà del pensiero, stava ricostruendo il suo strumento, anzi, ricostruiva sé stessa. Si stava formando una forza irresistibile, la sola vera forza che sia mai esistita, la vera forza dello spirito coraggioso in un corpo coraggioso; questa forza avrebbe avuto facilmente ragione di tutto un mondo di macerie e di residui. Tutto ciò è avvenuto molto lontano dalla Francia e dall’Inghilterra, a due passi dall’Occidente invecchiato e sclerotizzato, a migliaia di leghe su un piano spirituale. Il distacco fra Roma, Mosca e Berlino da un lato, e Parigi e Londra dall’altro, si è fatto […]

  • Le virtù guerriere della razza italiana. Brevi considerazioni di Guido Landra

    Assistente di Sergio Sergi alla cattedra di Antropologia all’Università “La Sapienza” di Roma, Guido Landra pubblicò il presente scritto il 15 novembre 1938 sulla rivista ‘La difesa della razza’. Il suo intento fu appunto quello di approfondire “le virtù guerriere” degli italiani, considerati dall’antropologo una vera e propria «razza di soldati», nonché «una razza dura e volitiva» connessa da secoli agli antichi guerrieri romani e, dunque, all’antica Roma. Buona lettura! Le razze umane sono individualizzate non solo dai loro caratteri fisici, ma anche da quelli psicologici. Poiché la lotta ha rappresentato in tutti i tempi la necessità vitale per gli uomini, è anche dal modo col quale è stata accettata la lotta che possono essere distinte le razze umane. Vi sono state così razze poco adatte alla lotta e alla guerra, le quali hanno potuto vivere e prosperare finché non si sono urtate con altre più adatte, e razze invece che hanno vissuto fino ai nostri giorni appunto perché hanno saputo lottare e vincere. Ma il modo della lotta e della vittoria è molto diverso. Vi sono così razze che hanno potuto mantenersi in vita unicamente con l’astuzia e altre invece che hanno accettato la lotta a viso aperto. Soltanto a queste può spettare il titolo di razze guerriere. La razza italiana è stata in tutti i tempi una razza di soldati; e poiché l’essenza della romanità è appunto costituita dalla nostra razza, lo spirito guerriero si identifica con l’essenza stessa della romanità. Tutto questo era perfettamente sentito dai Romani, che fecero, più d’ogni altro popolo, oggetto di culto le divinità della guerra. Sempre, anche nei momenti più tristi della vita della patria, questo antico spirito guerriero fu presente negli Italiani; il che era del resto perfettamente naturale, dato che le qualità guerriere negli uomini di razza e di sangue italiano si ereditano e sono immortali. Possiamo aggiungere che in noi stessi sta la nostra immortalità, in queste qualità eroiche che hanno individualizzato gli Italiani d’un tempo, e quelli di oggi e quelli che verranno. Per quanto indietro rimontiamo nel corso dei secoli, troviamo l’Italia abitata sempre da guerrieri. Guerriere furono le popolazioni italiche che precedettero i Romani, guerriere e contadine sempre. Del resto, i veri Romani ebbero sempre tre sole occupazioni: l’agricoltura, la guerra, il governo della cosa pubblica. Sdegnarono il commercio e lo lasciarono ai liberti e ai forestieri; si curarono poco di promuovere le belle arti ed ebbero una meravigliosa religione che non era misteriosa, cupa e ristretta come le religioni asiatiche, ma pubblica e devota agli dei della guerra, del popolo e della terra. L’Impero romano fu conquistato e mantenuto finché durò in tutti i cittadini lo spirito fortissimo di dominio e di vittoria. L’impero andò in sfacelo quando – a causa degli elementi orientali che avevano inquinato il sangue romano – venne a mancare lo spirito militare. La fatalità delle leggi ereditarie ha fatto sì che nel corso degli anni questo elemento estraneo orientale fosse eliminato completamente e, man mano che l’Italia andava sempre più riacquistando la sua omogeneità razziale, riacquistava la sua attitudine alle armi. Questa omogeneità razziale – è bene ripeterlo – è stata riacquistata dall’Italia da almeno mille anni. In questo periodo di tempo gli Italiani si sono mostrati sempre più una razza di soldati, una razza dura e volitiva, che si è imposta all’attenzione di tutti. Una falsa educazione ci ha portato a sottovalutare o addirittura a trascurare alcuni periodi e alcuni personaggi della nostra magnifica storia. Eppure la storia italiana risuona delle gesta eroiche dei nostri soldati e dei nostri capitani. Valga per tutti l’esempio dei grandi Condottieri, di queste figure colossali di uomini che, spesso venuti dal nulla, arrivavano con la sola forza delle proprie armi alla conquista di intere regioni; abbiamo l’esempio dell’ininterrotta serie di principi di Casa Savoia col destino dei quali si confuse il destino d’Italia; quello infine dell’italianissimo Napoleone Buonaparte che si servì dei Francesi, come un tempo Cesare dei Galli, per i suoi disegni di illimitata conquista. Raggiunta la sua unità politica, l’Italia ha vinto successivamente un impero asiatico, un impero europeo, ed uno africano. Queste prove grandiose, meglio di qualsiasi dimostrazione scientifica, hanno mostrato la perfetta identità della razza italiana di oggi con quella che già ebbe il dominio del mondo. La razza italiana, oggi come sempre, ha trovato soltanto in sé stessa i mezzi di lotta e di vittoria. Tutto questo impone agli Italiani il preciso dovere di considerare sacra la purezza del proprio sangue e di esaltare sempre più l’orgoglio di razza nel mito eterno di Roma. Di Guido Landra

  • Quel rapporto oscuro fra ebraismo e massoneria. La denuncia di Radio Vichy (1943)

    Pronunciato da Radio Vichy martedì 4 maggio 1943 dalle ore 21:40 alle 21:50, il presente discorso rappresenta una chiara e radicale denuncia verso l’operato della massoneria e, in particolare, verso il suo legame occulto con l’ebraismo militante, rappresentato dal potente Ordine del B’nai B’rith. Riproponiamo qui l’intero discorso a titolo di studio. Buona lettura! La collusione della massoneria e del giudaismo è oggigiorno solidamente dimostrata, malgrado le proteste fin troppo interessate degli ebrei e dei massoni, che cercano di eludere il fatto, non potendo più negarlo. Segnaliamo, innanzitutto, la stretta parentela che unisce l’ideologia massonica all’ideologia ebraica e, a questo proposito, ecco un estratto di un libro, pubblicato da ebrei nel 1861, ossia in un’epoca in cui nessuno poteva interessarsi alla questione, poiché se ne ignorava l’argomento. Questo libro, diventato oggi rarissimo, era intitolato La Verité israelite. In esso vi si poteva leggere: «Da lungo tempo, grazie al progresso dei costumi e delle libertà pubbliche, la massoneria ha cessato d’essere una società misteriosa, costretta, per il timore e la tirannia degli antichi governi, ad una prudente oscurità; da troppo tempo i suoi principi e le sue forze sono conosciute al pubblico, anche se è difficile apprezzarne gli scopi e lo spirito. Ora questo spirito è lo spirito dell’ebraismo nelle sue credenze più fondamentali; sono le sue stesse idee; è il suo linguaggio; è pressoché la sua organizzazione. Quando mi avvicino al santuario dove si compiono i lavori dell’ordine massonico, sento risuonare da ogni parte i nomi di Salomone e le rimembranze di Israele. Queste colonne simboliche sono le colonne del tempio dove gli operai di Hiram ricevevano ogni giorno il loro salario. Tutta la tradizione massonica mi rimanda a quella grande epoca in cui il monarca ebreo, realizzando la promessa di Davide, suo padre, elevò al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe un monumento religioso degno del Creatore dei cieli e della terra; tradizione simbolizzata da sorprendenti immagini estese fuori dai limiti della Palestina e dell’intero mondo, ma conservanti l’indelebile traccia e la forte impronta della sua origine. […] La speranza che sostiene e fortifica la massoneria è quella che illumina e rinfranca la sua via dolorosa mostrandole nell’avvenire il sicuro trionfo. Vi sarà l’avvento dei tempi messianici, che non sono altro che la solenne constatazione e la proclamazione definitiva degli eterni principi di fratellanza, l’associazione di tutti i cuori e di tutti gli sforzi nell’interesse di ciascuno e di tutti, il coronamento di questa meravigliosa casa di preghiere di tutti i popoli, di cui Gerusalemme sarà il centro e il simbolo trionfante». Vi è, dunque, attualmente, una stretta collaborazione e, come ci si può rendere conto dopo una simile citazione, questa collaborazione è a beneficio degli ebrei. […] Scopriamo, dunque, nel giudaismo e nella massoneria, questa stessa tendenza alla divinizzazione dell’uomo, ed è possibile notare come queste convinzioni siano antitetiche a quelle del cristianesimo; così, ritroviamo dappertutto alleati contro la massoneria e gli ebrei, animati dallo stesso spirito di rivolta. Sia la massoneria che l’ebraismo hanno lo stesso antagonismo contro le monarchie e contro ogni governo di una sola persona che non raccoglie la sua unica giustificazione dalla volontà popolare del numero. […] Infine, nelle due tendenze della massoneria, razionalismo e occultismo, ritroviamo i due aspetti dell’anima ebraica, così come ci fa notare Bernard Lazare, uno degli scrittori di Israele che meglio ha conosciuto e fatto conoscere la questione ebraica. […] Oggi gli ebrei sono numerosi nella massoneria e la loro influenza è considerata in molti luoghi come onnipresente, soprattutto nell’Europa centrale. Aggiungiamo che esiste un ordine universale, l’Ordine del B’nai B’rith, che è una massoneria internazionale riservata esclusivamente agli ebrei. Fondato a New York nel 1843, esso comprende 492 logge e 10 grandi logge sparse per gli Stati Uniti, in Germania, in Austria, in Ungheria, in Cecoslovacchia, in Egitto e in Palestina. Esso è in collegamento con l’Alleanza Israelita e con tutte le altre organizzazioni ebraiche e rappresenta un’ordine segretissimo e particolarmente potente nella politica internazionale; i suoi dirigenti svolgono un ruolo preponderante in America, sede attuale della finanza internazionale, mentre la loro influenza viene esercitata sul presidente Franklin Delano Roosevelt attraverso il suo entourage, composto prevalentemente da magnati ebrei, quali: Henry Morgenthau, Felix Frankfurter, il rabbino Stephen Wise, Bernard Baruch e Samuel Rosenman. Asseriamo ancora che altri elementi ebrei più o meno legati all’ebraismo, affascinati dal suo spirito e dalla Cabala, hanno contribuito alla formazione della massoneria, ma sarebbe tuttavia prematuro affermare che essa sia di origine ebraica. Gli gnostici, gli alchimisti, i deisti protestanti della scuola inglese di John Toland, gli Illuminati di Baviera, gli enciclopedisti, ossia in una parola tutti i seguaci della “religione naturale”, parteciparono alla sua creazione. Per concludere, si può asserire che vi è dichiaratamente, tra gli ebrei e i massoni, una volontà d’azione anticristiana, talvolta con predominanza dell’influenza ebraica diretta e della dottrina massonica, talvolta con influenza indiretta proveniente dalle idee fondamentali che essa contiene e che sono originate dalla Cabala ebraica. Radio Vichy

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