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martedì, 24 maggio 2022

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Tag: Futurismo

Che cos’è il futurismo? Nozioni elementari per aspiranti futuristi

12 Aprile 2021 Un commento

La Redazione di Ardire, al fine di approfondire la corrente filosofica del futurismo, ha scelto di pubblicare uno scritto sconosciuto […]

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Ultime Politica

  • Dietro le quinte della rielezione di Mattarella. Come la massoneria muove i fili della politica italiana

    La rielezione di Sergio Mattarella è il risultato di un particolare “progetto massonico” che, tramite Mario Draghi, ha permeato nel tempo l’intera politica italiana, coinvolgendo persino il leader del Carroccio Mentre il Grande Oriente d’Italia ha salutato con entusiasmo la rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica, avvenuta il 29 gennaio, il Gran Maestro Stefano Bisi ha augurato al Capo di Stato «un nuovo settennato di grandi soddisfazioni e importanti risultati alla guida dell’Italia lungo il cammino di quei valori di libertà, uguaglianza e solidarietà contenuti nella nostra amata Carta costituzionale». Tuttavia, sorge spontanea una domanda: cosa unisce la massoneria a Sergio Mattarella? Per rispondere a tale domanda è necessario tornare al 2015, quando Mattarella – già membro della paramassoneria e compare intimo del «fratello massone contro-iniziato» Mario Draghi, all’epoca presidente della BCE – si candidò alla Presidenza della Repubblica italiana, vincendo con il 65,9 % dei voti. In quel frangente, fu proprio Mario Draghi, che, su ordine della massoneria europea, suggerì a Matteo Renzi di candidare Mattarella come Presidente della Repubblica italiana. La sua vittoria, come ha spiegato Gioele Magaldi (Gran Maestro del Grande Oriente Democratico e fondatore del Movimento Roosevelt), rientrò nel contesto di un «disegno massonico» portato avanti dalla massoneria europea al fine di accreditarsi la politica italiana. Ha dichiarato Magaldi: «Il paramassone Mattarella deve la sua elezione al Quirinale proprio ad un intervento specifico di Mario Draghi su Matteo Renzi, nel 2015». Renzi, d’altro canto, essendo un vero e proprio «aspirante massone», assecondò le aspirazioni di Mario Draghi (e quindi della massoneria) per avvicinarsi al «salotto buono delle massonerie aristocratiche europee ed atlantiche», al fine di favorire il proprio partito e la propria carriera politica, non certo l’Italia. Mattarella 2.0 Quando nel 2021, grazie ad una precisa «operazione massonica», Draghi diviene Capo del Governo italiano, la massoneria “sovversiva” giunge ai vertici dello Stato. Draghi rappresenta i poteri forti europei, il gruppo Bilderberg e le società segrete, e le sue decisioni rispecchiano in tutto e per tutto le decisioni delle logge massoniche d’Europa. Tuttavia, alle elezioni per la Presidenza della Repubblica del 2022, è stato proprio Draghi, tramite il gregario Matteo Salvini, a riconfermare – secondo le prerogative occulte della massoneria europea – Mattarella come Presidente. Le dinamiche sono analoghe a quelle del 2015. Ma parte delle responsabilità, questa volta, non sono di Renzi, ma di Salvini. Il 28 gennaio, quando Salvini, Letta e Conte – alle ore 18 – si sono incontrati per discutere sui potenziali candidati, vi era molta indecisione e incertezza. Si discusse su una lista che conteneva cinque nomi (tra cui quelli di Pier Ferdinando Casini e Sergio Mattarella), ma alla fine si optò per la candidatura di Elisabetta Belloni, direttrice del DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza). Ciò che Letta e probabilmente Conte non sapevano, però, è che Salvini, poche ore prima, si era incontrato con Mario Draghi, ma – come rammenta Il Post – «non è chiaro di che cosa abbiano parlato». Con ogni probabilità, durante l’incontro Draghi ha imposto a Salvini d’impegnarsi e fare di tutto per riconfermare Sergio Mattarella come Presidente. Salvini, durante la riunione con Letta e Conte, avrebbe poi fatto finta di niente, recitando la parte dell’indeciso e appoggiando, con Conte, l’idea di candidare Elisabetta Belloni, per poi alla fine, però, puntare tutto su Mattarella, giustificandosi: «Sono sereno e orgoglioso di tutte le proposte fatte, soprattutto donne. Alla quinta donna sulla quale è arrivato il no, ho pensato fosse più serio chiedere al presidente Mattarella l’impegno e il sacrificio di continuare di restare al Quirinale». Scegliere Mattarella, ha concluso Salvini, è stata «la scelta migliore». Tuttavia, il 29 gennaio, «nei minuti in cui si sbloccava definitivamente la partita», Salvini ha ricevuto una chiamata: era Draghi. Il contenuto della telefonata è rimasto perlopiù riservato, ma un giornalista ha udito chiaramente il leader del Carroccio asserire: «Va bene. Allora ti vengo a trovare appena finisco qui». Che cosa dovevano dirsi?! Draghi’s Apocalypse Il piano massonico, dunque, è andato a buon fine. Ancora una volta, Mario Draghi è riuscito ad affermare la propria leadership e, per altri sette anni, tramite Mattarella (che alle elezioni ha ricevuto il 75,2% delle preferenze), la massoneria europea può esercitare la propria autorità ai vertici dello Stato italiano. Ma, come ha dichiarato il filosofo Adriano Scianca, «l’avvento sulla scena politica di Mario Draghi, del resto, ha svuotato i partiti di ogni contenuto e di ogni significato. Le tradizionali agende politiche non vogliono più dire nulla, i principali leader politici non hanno più nulla di sensato da raccontare o su cui dividersi. Cosa resta, allora, per mostrare agli elettori di essere vivi, per far finta di essere diversi dai dirimpettai politici con cui si divide lo stesso governo?». Il fatto è che l’arrivo di Draghi ha provocato una vera e propria apocalisse politica, le cui conseguenze si faranno sentire per ancora molto tempo, influendo sulla democrazia e sui diritti civili dei cittadini. Di Amedeo Cavazzoni

  • «La gente chiede rassicurazioni e riceve insulti». Intervista all’ex presidente RAI, Marcello Foa

    Alla luce dei nuovi sviluppi politici e delle misure anti-pandemiche adottate il 6 dicembre, abbiamo ritenuto opportuno pubblicare la coraggiosa intervista di Giorgio Gandola a Marcello Foa, apparsa sul quotidiano La Verità il 15 novembre 2021 e non ancora presente nel web. Buona lettura! Da presidente della RAI a politologo, opinionista e docente. Marcello Foa, che Italia vede dopo tre anni trascorsi al settimo piano di viale Mazzini? Vedo un’Italia litigiosa, disunita, proprio quando sarebbe fondamentale unità d’intenti e coesione sociale per uscire definitivamente dalla pandemia. Un paese civile e maturo dovrebbe riuscire a conciliare la lotta al virus con le garanzie costituzionali. Come si fa? Basta non rinunciare alle libertà fondamentali, ai pilastri che hanno sempre fatto la differenza rispetto ai regimi non democratici. Non bisogna escludere o ghettizzare chi non è d’accordo, ma trovare il modo di includere e ottenere il consenso dentro la società. Opinione sufficiente per far dire ai guardiani del vaccino che lei è un “no green pass”. Sorrido. Indro Montanelli ci ha lasciato una lezione straordinaria. Partendo da posizioni liberali, moderate, ragionevoli, ebbe il coraggio di andare contro il rumore assordante del pensiero unico. Il concetto va approfondito. Da grande giornalista qual era, riteneva suo dovere interrogarsi e trovare risposte non convenzionali alle problematiche politiche del suo tempo, dal terrorismo al crollo del muro di Berlino, dalle trappole della prima repubblica agli scandali della politica. Il contrario di ciò che accade oggi, allorché dobbiamo fare i conti con un approccio fideistico su vaccini e green pass. Perché monta la diffidenza nei confronti delle istituzioni? Perché le persone diffidano da chi si sottrae al confronto. Ci sono domande che il pubblico no green pass pone e vorrebbe ottenere risposte. Ma questo non accade. Quando emergono domande fondate, equilibrate e oggettive, chi le fa merita risposte. Invece in Italia chi solleva dubbi viene domonizzato come nemico della scienza. Si esasperano tensioni che minano la convivenza civile. Passando dalla teoria alla pratica, servono esempi. Il più recente riguarda il cosiddetto Pfizergate, rivelato dal British Medical Journal, secondo cui una società incaricata di testare il vaccino avrebbe commesso diverse gravi irregolarità. Vogliamo approfondire questi aspetti? Invece zero. Pochi giornali ne hanno parlato. Eppure, chi si vaccina ha il diritto di essere certo che tutto venga fatto a regola d’arte e senza rischi per la sua salute. Secondo lei, questa cappa di conformismo è alla base della diffidenza? La gente chiede rassicurazioni e riceve insulti. Così, una società sempre più polarizzata, basata sulla diffidenza reciproca, si contrappone, invece che cercare punti di contatto oggettivi. Questo è contagio culturale e sociale, invece serve una conciliazione nazionale. Il sistema mediatico è governista come non mai. Non è sorprendente? La stampa dovrebbe svolgere il suo ruolo naturale di verifica responsabile. Su Pfizer e altro, le rivelazioni ci devono preoccupare oppure no? Io non ho risposta, ma da giornalista so per certo che l’unica cosa da non fare è ignorare la domanda. Lei ha scritto un saggio sulle manipolazioni dei media dal titolo Gli stregoni della notizia. Ci si ritrova? In questo scenario la responsabilità dei media è grande e le analisi fatte a suo tempo trovano conferma. I giornali tendono a verificare le notizie con le istituzioni; quando queste prendono certe posizioni, i giornali le riflettono, soprattutto se si crea un frame collettivo basato sulla paura. Praticamente un cortocircuito. Come si ottiene? La letalità iniziale del Covid-19, più le bare sui camion in tv, più i drammi famigliari o degli amici, più l’angoscia sociale. Difficile nella prima fase della pandemia evitare che l’emotività avesse un ruolo significativo. Ma oggi è fondamentale che istituzioni e media si impegnino su basi più riflessive, ponderate. Invece siamo rimasti alla suddivisione della società in buoni e cattivi. Stato d’emergenza e green pass possono essere prorogati senza colpo ferire? In democrazia, uno stato d’emergenza non può essere rinnovato automaticamente come una carta d’identità, nelle redazioni lo sanno. La stampa ha la funzione primaria da cane da guardia della democrazia, non del potere. Questo non significa assumere atteggiamenti complottistici, ma saper porre domande anche scomode, svolgere correttamente, ma coraggiosamente il ruolo di coscienza critica. L’obiezione è sempre la stessa: così fan tutti. Non è vero. La Corte costituzionale spagnola ha ritenuto incompatibile il certificato verde con la Carta dei diritti e dei doveri. Negli Stati Uniti i giudici hanno fermato Joe Biden sull’obbligo vaccinale per le aziende che ricevono commesse pubbliche e molti Stati americani hanno fatto ricorso contro il green pass per difendere le libertà individuali. In Gran Bretagna non c’è certificato. La faccenda non è così scontata. Da noi c’è un unanimismo preventivo… Davanti a temi così delicati, un governo che rappresenta quasi tutte le forze politiche rappresenta un’anomalia che priva il paese di un forte confronto maggioranza-opposizione. Proprio per questo la stampa dovrebbe avere un ruolo costruttivo, ma terzo, non ancillare. Vedere i media schierati acriticamente su un’unica posizione non è normale e non fa parte di quello spirito democratico in cui credo fermamente. Da ex presidente del servizio pubblico, come se ne esce? Ci vorrebbe una riflessione da parte della categoria. La tutela del pluralismo è necessaria. Il servizio pubblico, ad esempio, deve essere messo al riparo dalle pressioni della politica. In genere, ci rendiamo conto che una parte importante dell’opinione pubblica diffida sempre di più dei media? Vogliamo chiederci perché, con onestà intellettuale, e tentare di riconquistare la fiducia? Sono domande da porre a tutti noi, dai direttori ai praticanti. I cittadini sono anche elettori, e puniscono il sistema voltando le spalle alle urne. Concordo. Queste distorsioni stanno minando il rapporto fra politica e società civile. Alle ultime amministrative la partecipazione è stata del 54%. Di questa fetta, il 60% ha votato liste civiche e solo il 21% del corpo elettorale ha scelto i partiti. Uno su cinque… Allarme rosso. Alcuni partiti, come il PD, tendono a rappresentarsi senza il simbolo. Un paradosso… Se fossi un leader politico al tempo del Covid-19 sarei molto preoccupato, anche se è vero che le amministrative […]

  • È possibile fermare l’immigrazione clandestina? Tutto quello che non ti dice la sinistra

    Si sente spesso affermare che non vi è alcun rimedio all’immigrazione clandestina, che essa è un fenomeno naturale e del tutto spontaneo e che nessun tipo di politica – sia essa di destra o di sinistra – sarebbe in grado di portare ad una soluzione duratura. Queste sono solo mezze verità. In realtà, contrariamente a quanto si possa pensare oggi, vi sono diverse “manovre” che potrebbero contrastare, nonché limitare l’immigrazione clandestina. «La ricetta è semplice, ha dichiarato Francesca Totolo, esperta d’immigrazione e geopolitica, «ma fino ad ora è mancata solo la volontà politica». Gli immigrati non sono profughi Innanzitutto, è necessario comprendere che, come ha ricordato poco tempo fa l’ONU, la maggioranza dei migranti che approdano sistematicamente sulle nostre coste (circa il 90%) sono di tipo economico, i quali «partono per cercare fortuna e mandare soldi ai parenti». «Se chiedete [ai migranti]», ha scritto molto coraggiosamente il blogger Alessio Mannino, autore dell’inchiesta Mare Monstrum, «vi diranno che sono partiti dall’Africa, dall’Asia, dall’Est Europa per migliorare le proprie condizioni di vita. Materiali, si capisce. Vogliono diventare come noi, con i comfort di un’esistenza garantita da paghe crescenti e diritti da abitanti del global village». Dunque, non stiamo parlando di profughi, ossia di persone costrette ad abbandonare la propria terra a causa di guerre, persecuzioni o catastrofi naturali (come spesso vuol far credere la sinistra), ma di veri e propri immigrati economici, che, in quanto tali, hanno il dovere di sottostare alle leggi italiane concernenti le condizioni dello straniero, le quali impongono all’immigrato non europeo che vuole entrare in Italia di possedere un passaporto valido e un visto d’ingresso regolarmente rilasciato dalle autorità diplomatiche o consolari (vedi: D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 4, commi 1 e 2). Scrive esplicitamente il sito del Ministero dell’Interno: «Il cittadino straniero [non europeo] può entrare in Italia se è in grado di documentare il motivo e le condizioni del soggiorno, oltre alla disponibilità di mezzi sia per mantenersi durante il soggiorno, sia per rientrare nel paese di provenienza […]. Non è ammesso in Italia chi non soddisfa questi requisiti, o è considerato una minaccia per la sicurezza nazionale o di uno dei paesi con cui l’Italia ha siglato accordi per la libera circolazione delle persone tra le frontiere interne». La permanenza in Italia, tuttavia, è consentita solamente in seguito alla concessione di un permesso di soggiorno con indicati i motivi d’ingresso, i quali devono essere uguali a quelli del visto. Tale permesso, che viene rilasciato dalla questura, ha di norma la stessa durata prevista dal visto d’ingresso, la quale varia a seconda dei motivi per i quali lo straniero è entrato in Italia. Limitare le richieste d’asilo Una volta compresa la differenza fra profughi e immigrati economici, occorre instaurare controlli più severi e articolati nell’ambito delle richieste di asilo. Un’inchiesta de Il Giornale ha rivelato infatti che i richiedenti asilo, al fine di farsi accettare come “profughi” dalle commissioni che giudicano i migranti, «s’inventano storie di sofferenze e persecuzioni che non hanno mai subito», ingannando così le autorità italiane ed europee. «La maggior parte delle storie sono inventate, costruite», ha dichiarato un’interprete che lavora a stretto contatto coi migranti e che preferisce non rivelare la propria identità. «Mi capita spesso di sentir raccontare la stessa identica storia da diversi immigrati». Tale fenomeno – spesso ignorato dalla sinistra e dalle organizzazioni umanitarie – è stato confermato anche dalla ricercatrice ed esperta di questioni africane Anna Bono, che, in un importante intervento a La Bussola Quotidiana, ha rivelato che migliaia di migranti «hanno raggiunto l’Europa illegalmente e per non essere respinti hanno mentito, sostenendo di essere profughi in fuga da guerre e persecuzioni». Investire sui rimpatri Pertanto – cosa più importante – è necessario investire molto più tempo, denaro e risorse sui rimpatri, i quali, fino ad oggi, sono stati invece un vero e proprio flop. Ogni anno, è stato documentato che «500mila migranti irregolari che si trovano nell’Unione Europea ricevono l’ordine di lasciare il suolo UE e di tornare nel proprio paese d’origine». Ma di essi, solamente il 19% «è effettivamente ritornato nel proprio paese al di fuori dell’Europa». In sostanza, meno di uno su cinque viene rimpatriato! E l’Italia, assieme alla Grecia, è uno di quei paesi che sta riscontrando «maggiori difficoltà nel rimpatrio degli irregolari». La Corte dei Conti Europea (CCE), in un recente dossier, ha non a caso parlato di gravi «inefficienze nella cooperazione con i paesi non-UE per il rimpatrio dei migranti», come la «mancanza di accordi di riammissione», la «durata della procedura di asilo» e l’assenza di collegamenti «tra le procedure di asilo e il rimpatrio», che ostacola «il coordinamento e la condivisione delle informazioni». Ma, secondo il dossier, un’altra grande «debolezza» è costituita «dalla mancanza di sinergie all’interno dell’UE stessa». Accordi coi paesi d’origine Per far fronte a queste «inefficienze» e rendere funzionante e più dinamica la macchina dei rimpatri, occorre tuttavia stipulare nuovi accordi stabili e duraturi coi governi dei paesi d’origine dei migranti (come l’Africa), adottando – quando è possibile – il metodo dei «respingimenti assistiti dei barconi», molto in voga in Australia. Inoltre – per tagliare la testa al toro – vi è la necessità di istituire vere e proprie campagne informative in tutti i paesi d’origine, al fine di dissuadere le persone dai propositi migratori e consapevolizzarle sul fatto che rimanere in patria è la cosa più giusta da fare, sia per loro che per noi. Parallelamente, occorre dare un importante e significativo contributo allo sviluppo delle economie locali, soprattutto a quelle africane, la cui sorte – ha spiegato lo storico francese Dominique Venner – è strettamente «legata a quella dell’Europa». Creazione di hotspot Ma non è tutto. Sempre rimanendo nell’ottica del contrasto extra-nazionale dell’immigrazione clandestina, occorre cominciare ad investire nella creazione dei cosiddetti hotspot, ossia strutture allestite per identificare, registrare, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti nei paesi di transito (come la Libia). Tali strutture, gestite da un personale altamente qualificato (come gli agenti della polizia di frontiera, insieme ad esperti locali e di Europol, Eurojust, Frontex), […]

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  • «Il nostro obiettivo è distruggere la Chiesa cattolica». Il piano occulto della massoneria ebraica

    Pubblicato nel febbraio 1936 sulla Catholic Gazette di Londra col titolo The Jewish Peril and the Catholic Church (Il pericolo ebraico e la Chiesa cattolica), il presente scritto – ancora oggi più che mai attuale – riporta alcune affermazioni estrapolate segretamente da una riunione privata di una società segreta ebraica (poi identificata con la loggia massonica B’nai B’rith) di Parigi, mostrando il piano occulto dell’ebraismo militante e sionistico nei confronti della Chiesa cattolica. Buona lettura! Che ci sia stato, e ci sia ancora, un problema ebraico è un fatto che non si può negare. Sin dal rifiuto di Cristo da parte degli ebrei, duemila anni fa, gli israeliti sono stati dispersi in ogni direzione, e nonostante le difficoltà e le persecuzioni, essi si sono affermati come una potenza in quasi tutte le nazioni d’Europa. In considerazione a tale problema, che riguarda in modo particolare la Chiesa cattolica, pubblichiamo i seguenti incredibili estratti provenienti da una serie di discorsi recentemente pronunciati sotto l’egida di una società ebraica a Parigi. Il nome del nostro informatore deve rimanere nascosto. Egli è a noi noto, ma a causa dei suoi rapporti particolari con gli ebrei, abbiamo acconsentito di non rivelare la sua identità, né di aggiungere, oltre ai contenuti che seguono, ulteriori dettagli della riunione di Parigi. Benché liberamente tradotti, tali estratti trasmettono sostanzialmente il significato delle affermazioni originali. «Finché rimane tra i gentili qualsiasi concetto morale dell’ordine sociale, e finché tutta la fede, il patriottismo e la dignità non saranno sradicati, il nostro regno sul mondo non verrà». «Abbiamo completato una parte del nostro lavoro, ma non possiamo ancora affermare che tutto il nostro lavoro sia stato fatto. Abbiamo ancora una lunga strada da percorrere prima di poter abbattere il nostro avversario principale: la Chiesa cattolica». «Dobbiamo sempre tenere a mente che la Chiesa cattolica è l’unica istituzione che si è opposta, e sempre si opporrà, finché esiste, al nostro cammino. Con il suo lavoro metodico e i suoi edificanti insegnamenti morali, la Chiesa cattolica terrà sempre i bambini in uno stato mentale tale da renderli troppo rispettosi di sé stessi per cedere al nostro dominio e per inchinarsi davanti al nostro futuro Re d’Israele… Questo è il motivo per il quale ci siamo sforzati di scoprire la via migliore per scuotere la Chiesa cattolica fin dalle sue fondamenta. Abbiamo diffuso lo spirito di rivolta e il falso liberalismo tra le nazioni dei gentili così da persuaderli ad abbandonare la loro fede, tanto da farli vergognare di professare i precetti della loro religione e di obbedire ai Comandamenti della loro Chiesa. Abbiamo portato molti di loro a vantarsi di essere atei e, ancor di più, a gloriarsi di essere i discendenti della scimmia. Abbiamo dato loro nuove teorie, impossibili da realizzare, come il comunismo, l’anarchia e il socialismo, che ora stanno servendo al nostro scopo. Gli stupidi gentili li hanno accettati con grande entusiasmo, senza comprendere che quelle teorie sono nostre, e che costituiscono il nostro più potente strumento contro loro stessi». «Abbiamo diffamato la Chiesa cattolica con le calunnie più ignominiose, abbiamo macchiato di sangue la sua storia e disonorato persino le sue attività più nobili. Abbiamo imputato a lei gli errori dei suoi nemici e, in tal modo, abbiamo portato questi ultimi a stare più vicini al nostro fianco… Così ora stiamo assistendo, con nostra grande soddisfazione, ad azioni di ribellione contro la Chiesa in molti paesi… Abbiamo trasformato il suo clero in oggetto di odio e di ridicolo, li abbiamo assoggettati allo spregio delle masse… Abbiamo fatto in modo che la pratica della religione cattolica sia considerata antiquata e una perdita di tempo». «E i gentili, nella loro stupidità, si sono rivelati più babbei di quanto ci aspettassimo. Ci saremmo aspettati più intelligenza e più senso pratico, ma essi non sono migliori di un gregge di pecore. Lasciateli vagheggiare nei nostri campi finché non diventeranno abbastanza grassi per essere degni di essere immolati al nostro futuro Re del mondo». «Abbiamo fondato molte società segrete che lavorano per il conseguimento del nostro obbiettivo, sotto i nostri ordini e nella direzione da noi voluta. Ai gentili abbiamo concesso l’onore, il grande onore, di aderire alle nostre organizzazioni, che sono, grazie al nostro oro, fiorenti ora più che mai. Tuttavia, rimane un nostro segreto il fatto che quei gentili, i quali, associandosi ai nostri complotti, tradiscono i loro più preziosi interessi, non dovranno mai sapere che queste associazioni sono di nostra creazione e che servono la nostra causa». «Abbiamo indotto alcuni dei nostri figli ad unirsi al corpo cattolico, con l’accenno esplicito che essi operino in modo ancora più efficiente per la disintegrazione della Chiesa Cattolica, attraverso la creazione di scandali all’interno di essa. Abbiamo così seguito il consiglio del nostro Principe, che così ha detto saggiamente: “Lasciate che alcuni dei vostri figli diventino canonici, in modo che possano distruggere la Chiesa”. Sfortunatamente, non tutti si sono dimostrati fedeli alla loro missione. Molti di loro ci hanno addirittura tradito, ma, d’altra parte, altri hanno mantenuto la promessa e onorato la parola data. Così il consiglio dei nostri anziani si è rivelato vincente». «Siamo i padri di tutte le rivoluzioni, anche di quelle che a volte capita che si rivoltino contro di noi. […] Possiamo vantare di essere i creatori della Riforma! Calvino era uno dei nostri figli, era di origini ebraiche, ed è stato incaricato dall’autorità ebraica e incoraggiato con la finanza ebraica a redigere il suo piano di Riforma». «Martin Lutero ha ceduto all’influenza dei suoi amici ebrei, e inoltre, appoggiato dalle autorità ebraiche e dalla finanza ebraica, il suo complotto contro la Chiesa cattolica ha avuto successo». «Grazie alla nostra propaganda e alle nostre teorie sul liberalismo e ai nostri travisamenti della Libertà, le menti di molti gentili sono state preparate ad accogliere la Riforma. Essi si sono separati dalla Chiesa per cadere nella nostra trappola. E così la Chiesa cattolica è stata indebolita notevolmente, e la sua autorità sui vari re delle nazioni è stata ridotta quasi a zero». «Siamo grati ai protestanti per la loro fedeltà ai nostri desideri, anche se la maggior parte […]

  • Razza, Suolo, Lavoro, Reich, Onore. Le fondamenta giuridiche della Germania nazionalsocialista. Di Hans Frank

    Pubblicata a Milano nel 1939 da Giuffré Edizioni, l’opera Le fondamenta giuridiche della Germania nazionalsocialista di Hans Frank – riproposta qui a titolo di studio – rappresenta la summa del pensiero giuridico e ideologico del nazional-socialismo, nel quale si integrano postulati e assiomi differenti rappresentati dalla Razza, dal Suolo, dal Lavoro, dal Reich e dall’Onore. Con la denazificazione attuata in Germania dopo il 1945, tutte le copie in lingua tedesca di quest’opera – assieme a molti altri libri – andarono distrutte. La riproponiamo qui, a più di ottant’anni di distanza, in forma integrale. Buona lettura! 1. L’ora solenne, nella quale noi festeggiamo il quinto anno di vita dell’Accademia per il diritto tedesco, ci offre l’occasione di occuparci, esaminandone gli aspetti fondamentali, di uno dei più gravi problemi fra quelli che la nostra Accademia ha lo scopo di studiare, e cioè della scienza giuridica tedesca nelle sue relazioni con la storia culturale del nostro tempo. Proprio i compiti assegnati dal Führer al nostro Ente e quanto questo ha fatto ci autorizzano a constatare che la scienza giuridica di Adolf Hitler esercita un’influenza sulla legislazione del Reich e sui principi dell’applicazione del diritto che prima non poteva esserle riconosciuta. E l’Accademia per il diritto tedesco può affermare che la ragione di questo felice sviluppo risiede proprio nella correlazione fra i postulati scientifici e le necessità della legislazione. In nessun sistema statale del mondo vi è oggi questa comunità di lavoro, legislativamente assicurata, fra scienza e legislazione, quale noi la possediamo stabilmente in Germania in forza delle strette relazioni di tutti gli uffici del Reich e del Partito con le istituzioni dell’Accademia per il diritto tedesco. Noi lo dobbiamo alla personalità del nostro Führer Adolf Hitler se anche i punti di vista più divergenti sono stati subordinati al motivo dominante dell’interesse della collettività. Da ciò deriva che, mediante la profonda indagine storica della scienza del diritto, la chiara formulazione e la formulazione unitaria, logica e armonica, dell’edificio legislativo, vengono ad essere eliminate tutte le difficoltà che la vita, nelle sue multiformi prove, oppone al legislatore. La posizione storico-culturale della scienza del diritto nel Reich di Adolf Hitler è condizionata dalla nuova formulazione rivoluzionaria dei principi fondamentali della vita sociale, che rappresenta, per il suo punto di partenza, oltreché per il suo contenuto e i suoi fini, la più grande rivoluzione della storia universale. È intuitivo pertanto che la scienza del diritto, nell’occuparsi delle gigantesche creazioni del legislatore rivoluzionario, deve procedere con sistemi e da concetti diversi da quelli di prima. Il legislatore si ispira ai bisogni dell’epoca, di cui egli deve realizzare le finalità. La scienza del diritto è, nei suoi presupposti ideali e nell’impostazione dei suoi compiti, un’entità costante. Essa presuppone senz’altro, nella sua indagine storica, la mutevolezza delle leggi dello Stato e la ricerca nel fondamento indistruttibile e permanente dell’idea del diritto, del sentimento giuridico e dell’aspirazione alla giustizia della comunità nazionale. Le leggi passano, il diritto è eterno, per quanto lo può essere l’umana cultura. Una scienza del diritto, nel senso più elevato, sussiste perciò soltanto quando, anche nel suo lavoro formale, nel commento delle leggi, nell’interpretazione degli articoli, essa sappia mantenere il contatto con l’eterna idea del diritto e con l’immortale idea di giustizia. L’Accademia per il diritto tedesco ha considerato fin dall’inizio la posizione della scienza giuridica tedesca con orgoglio, con grandezza e con dignità. All’idea del diritto è stato assicurato in questa Accademia un posto degno della grandezza storico-culturale veramente unica del pensiero giuridico. Conseguentemente, l’esame della posizione storico-culturale della scienza giuridica tedesca di oggi si inizia col solenne riconoscimento dell’idea del diritto, quale una delle più nobili espressioni dello spirito umano. Il senso giuridico pervade tutti i popoli di buona razza e la storia universale delle nazioni, come una forza invisibile, ma che si apre la via con decisa volontà. Il Führer ha basato la sua lotta per la libertà del popolo tedesco sull’immortale sentimento giuridico del nostro popolo. Questo è un elemento veramente germanico della Rivoluzione del Nazionalsocialismo. Il mondo puramente formale, il vuoto commentare e l’improduttivo lavoro cartaceo ci sono estranei. Noi non abbiamo nulla in comune con coloro che, della cultura del diritto, hanno fatto un culto dell’astrazione, e della necessaria sistematica elementare, un giuoco di soprastrutture formalistiche. Dietro le leggi del nostro Reich sta pertanto l’idea del diritto come grande ordinamento direttivo della nostra collettività nello Stato. In questa idea del diritto, Governo e popolo devono sentirsi indissolubilmente uniti. Sventura a quello Stato che, infrangendo il sentimento giuridico del popolo, deve costituire, basandolo sull’arbitrio e sulla violenza, un regime di costrizione, forse abbastanza saldo nel senso tecnico-materialistico, ma all’interno moralmente fradicio. Ciò distingue la Rivoluzione Nazionalsocialista dal suo più accanito antagonista, il bolscevismo ebraico; lì, l’atto violento viene elevato a principio della formazione statale e, come sempre si è reso necessario nella storia, si tenta di tenerlo vivo con violenze sempre maggiori. Qui in Germania, sorge dall’aspirazione del popolo per la libertà e la parità di diritti nella lotta delle nazioni, la figura giuridica del Legislatore della Rivoluzione Nazionalsocialista, Adolf Hitler, che, nella sua qualità di plenipotenziario generale di questo popolo, garantisce il sicuro trionfo dell’ordinamento giuridico in un forte impero. Quanto il Führer sia compreso di questa idea del diritto, lo dimostra magnificamente il costante favore col quale egli segue i lavori dell’Accademia per il diritto tedesco. Su questa base – e noi siamo lieti di poterlo affermare – il Nazionalsocialismo riconosce l’esistenza di una scienza del diritto. È un’opinione da gran tempo superata, e del resto mai seriamente sostenuta, che non esista una vera scienza del diritto. I maggiori esponenti del pensiero giuridico tedesco hanno invece sempre esattamente riconosciuto che anche il diritto è oggetto e contenuto di indagine e di teorie scientifiche nel quadro della struttura generale del lavoro scientifico. Il diritto è per noi l’ordinamento autoritario della vita sociale che promana dal popolo e alla cui realizzazione partecipa lo Stato impiegandovi la propria organizzazione d’imperio. Il primo fondamento della scienza del diritto è dato per noi dall’idea […]

  • La guerra del sangue contro l’oro. Riflessioni del soldato del Regio Esercito Gaetano La Rosa

    La Rassegna di Cultura Militare di Roma, nell’ottobre del 1941, pubblicò un interessante saggio del soldato del Regio Esercito Gaetano La Rosa, concernente le origini del Secondo conflitto mondiale e i motivi per cui l’Italia e la Germania entrarono in guerra, dal titolo La guerra del sangue contro l’oro. Lo presentiamo qui, in forma integrale, per la prima volta dalla fine del conflitto. 1. La lotta in atto tra le potenze totalitarie e le nazioni plutocratiche rappresenta l’urto violento tra le forze di due mondi decisamente opposti. Due concezioni di vita, due ordini di morale, due principi fondamentali stanno di fronte in un cozzo mortale, dall’esito del quale dipende l’avvenire del mondo e dell’umanità. Se dovessero malauguratamente prevalere i plutocrati anglosassoni, alleati al Comunismo e alle forze oscure dell’Ebraismo internazionale, i destini del mondo resterebbero inevitabilmente ancorati per parecchi secoli a sistemi ormai del tutto sorpassati. Solo la vittoria dell’Asse, solo il pieno e assoluto trionfo dei principi propugnati dall’Italia e dalla Germania possono dare ai popoli un avvenire consono al processo evolutivo che, dai primordi sino ad oggi, contrassegna lo sforzo creativo delle masse umane. Ma il passato tenta di arginare con ogni mezzo la travolgente marcia dell’avvenire, per impedire che una nuova etica proietti sull’umanità i suoi benefici. Non si tratta tanto di conseguire, dall’esito vittorioso di questa guerra, rettifiche o acquisizioni territoriali, quanto di cancellare dalla vita del mondo le tare di un indirizzo che non risponde più alle esigenze politiche e sociali di popoli sani e forti. Per questo la lotta è mortalmente totalitaria, senza possibilità di compromessi; per questo la guerra che infuria in Europa rappresenta la sanguinosa fatica e il duro travaglio dei popoli che, coscienti delle loro necessità, reclamano una reale giustizia distributiva, un’adeguata valorizzazione del loro diuturno sacrificio e, più di tutto, la soppressione di ogni interesse particolaristico, affinché trionfino indirizzi nuovi, capaci di riformare tutta la prassi su cui è stata, fino ad  oggi, imperniata l’esistenza dei nuclei nazionali dei paesi diseredati. La teoria dello “spazio vitale”, il problema delle materie prime, il lavoro umano che da oggetto diviene soggetto nel campo economico, costituiscono i termini della contesa che ha condotto all’attuale conflagrazione. Un nuovo capitolo si apre dunque nella Storia dell’umanità con la presente battaglia tra l’oro e il sangue, ad opera delle nazioni dell’Asse, paladine di un Nuovo Ordine Mondiale nel campo delle varie posizioni territoriali e nell’ambito dei valori morali. Per quanto i popoli delle nazioni totalitarie conoscano queste sacrosante verità, per quanto essi sentano nel sangue il cocente bruciore della vasta gamma d’ingiustizie alle quali furono fatti segno da troppo lungo tempo, i vari organi statali competenti non tralasciarono mai occasione per proclamare le vere finalità per le quali l’Italia e la Germania, unitamente ai loro alleati, hanno combattuto e combattono l’immane guerra. Particolarmente espressiva è stata, al riguardo, la sintetica proclamazione del carattere e delle finalità del presente conflitto fatta dal Duce in occasione del suo discorso alla nazione italiana nel primo anniversario dell’intervento. Conclusa vittoriosamente la campagna di Grecia, stroncata la malafede jugoslava, cacciati ignominiosamente da Creta i superstiti nuclei inglesi, nonostante le vanterie del Primo Ministro di Sua Maestà Britannica Winston Churchill, con la conclusione della primavera dell’anno in corso calava il sipario sul dramma aperto il 28 ottobre 1940 dall’intervento italiano contro l’Ellade del generale Metaxas. La trionfale conclusione di questa campagna, che aveva determinato, negli ambienti ostili all’Italia, tante assurde calunnie, e il compimento di un anno di ostilità condotte dal nostro paese contro il primo impero del mondo, erano avvenimenti tali da indurre il Duce ad illuminare direttamente il popolo italiano sugli avvenimenti verificatisi e sulla situazione derivata dal primo anno di aspra e gloriosissima lotta. Effettivamente, malgrado le stupide ironie apparse in Inghilterra all’epoca del nostro intervento, un anno di guerra italo-inglese ha duramente pesato sulle spalle del truculento John Bull. Ad un anno di distanza dal Suo memoriale discorso col quale aveva annunziato all’Italia e al mondo la decisione di infrangere le catene che tenevano prigioniero il nostro paese nel suo mare e realizzare il trionfo delle aspirazioni morali e materiali del nostro popolo, il Duce poteva, con legittimo orgoglio, affermare che le mire e le aspettative italiane circa il sud-est europeo, nei riguardi dello spazio vitale dell’Italia, erano realizzate. La cancellazione degli ingiusti trattati imposti dal precedente conflitto, l’eliminazione dalla vita ellenica degli elementi che avevano avvelenato per lungo tempo i rapporti italo-greci, la rinascita dell’antico Regno di Croazia, la riequilibrazione delle situazioni albanese e bulgara rispetto alla Grecia e alla Jugoslavia, la resurrezione del Montenegro e i nuovi successi ungheresi erano avvenimenti tali da porre l’Italia, all’alba del 10 giugno dell’anno 1940, in una situazione paragonabile soltanto a quella raggiunta da Roma dopo la Prima guerra punica, alla vigilia del ciclo delle campagne annibaliche. In queste condizioni era naturale che la parola del Duce, dopo aver elencato i successi riportati dalle armi nazionali che avevano inchiodato importantissime aliquote di truppe imperiali inglesi in Africa, che avevano svalorizzato la possibilità mediterranee della Gran Bretagna e che, in unione ai camerati tedeschi, cooperavano al blocco totale delle isole britanniche, accennasse, per quanto sobriamente, alla posizione internazionale dell’Asse e, oltre le ben note mete italiane in rapporto al conflitto, additasse al popolo – memore e cosciente – l’essenza e le finalità di questa lotta mortale con la semplice, lineare, efficacissima frase esprimente la sua assoluta certezza di vittoria: In questa immane battaglia fra l’oro e il sangue, l’Iddio giusto che vive nell’anima dei giovani popoli ha scelto. VINCEREMO! 2.                         Effettivamente, i discorsi e le azioni del Presidente Roosevelt e dei suoi accoliti, nel corso del primo semestre del 1941, erano valsi a delineare, in tutta la loro evidente chiarezza, le vere caratteristiche e le autentiche finalità di questo conflitto. Le potenze anglosassoni, detentrici della maggior parte delle ricchezze della terra e dei beni-base dei cicli lavorativi e produttivi indispensabili alla vita dei popoli, costituivano ormai un blocco unico di volontà e di forze, deciso a puntellare il traballante edifizio […]

  • Weltanschauung. I valori spirituali della Germania nazionalsocialista. Di Werner Eicke

    Dopo il successo del breve saggio La nostra Weltanschauung. Appunti di un giovane hitleriano di Heinz Kraemer, la redazione di Ardire ha scelto di pubblicare anche Weltanschauung. I valori spirituali della Germania nazionalsocialista di Werner Eicke, un prezioso scritto risalente al 1937 (Dottrina fascista, n. 9) che mostra quel lato spirituale e metafisico della Germania di Hitler molto spesso ignorato o addirittura distorto dalla moderna storiografia accademica. Buona lettura! Quando noi, oggi, parliamo degli indirizzi del pensiero contemporaneo in Europa, escludiamo subito tutto quello che si riferisce all’ideologia bolscevica, negazione brutale di ogni pensiero europeo e di ogni cultura umana; e consideriamo come il nocciolo della vera e unica “mistica” europea quella che vogliamo chiamare l’interferenza o l’interdipendenza di due elementi o, meglio, di due valori: cioè del valore latino e di quello germanico, e delle loro manifestazioni più dirette e immediate, che sono il genio italiano, da un lato, e quello tedesco, dall’altro, essendo queste le due espressioni più vere e autentiche, l’uno della latinità, l’altro del germanesimo. L’Europa, come la vediamo noi, e come esiste realmente e storicamente, non è né esclusivamente una concezione germanica, né esclusivamente una concezione latina; essa è una concezione che si può chiamare dialettica, cioè una sintesi strutturale e ideale – strutturale perché deriva dal comune ceppo razzistico ariano, mediterraneo, nordico, europeo, e ideale perché si è realizzata e concretizzata nel corso della storia di questo nostro Occidente. Questa sintesi si è venuta a determinare nel linguaggio politico odierno come l’Asse Roma-Berlino, che non vuol essere e non è solamente uno strumento diplomatico delle relazioni politiche ed economiche fra i nostri due paesi, ma vuol essere ed è una realtà e, più precisamente, il contenuto spirituale e politico dell’Europa futura. Individuare, di questa realtà e di questo contenuto, il lato tedesco, è il compito di questo mio scritto. Lo spirito delle due concezioni, fascista e nazionalsocialista, è uguale e, con esso, lo scopo verso cui esse tendono. Ciò che è differente è il loro contenuto dottrinale e il processo di sistematizzazione – e, qui, occorre precisare che “dottrina” non vuol dire “dottrinarismo”, né “sistema” vuol dire “schema di marca intellettualistica”. La vera Europa, quella che noi abbiamo chiamato “dialettica”, da quali valori ha preso la propria vitalità e il proprio slancio? Li ha presi dalla sua profonda coscienza della comune origine e dalla sua grande tradizione, una manifestazione che si è manifestata attraverso la storia dell’Impero romano, del Medioevo romano-germanico, del Rinascimento umanistico e riformatore e di quel secolo filosofico per eccellenza che è stato l’Ottocento e che oggi si manifesta in questo clima nazionalsocialista e fascista, che è e sarà il clima del nostro grande secolo. Perciò – e qui entriamo nel vivo del nostro discorso – individuando la compagine spirituale e morale della nuova Germania hitleriana, ci proponiamo di procedere punto per punto. Popolo, Nazione, Stato, Razza Noi riconosciamo – ed è questo il primo punto della mia esposizione – come base e valore supremo della nostra mentalità nazionalistica, della nostra realtà politica e sociale, il popolo; non il popolo inteso nel senso del liberalismo e del marxismo, nel senso, cioè, di massa o di classe, ma nel senso di unità di sangue, nel senso, dunque, della comune origine razzistica. Tale comunità o unità presuppone non soltanto il medesimo principio biologico per questo popolo (secondo noi importantissimo per ogni cultura umana e per ogni sviluppo della civiltà occidentale); essa garantisce anche e soprattutto una perfetta armonia e una profonda uguaglianza di visioni spirituali e morali e di sentimenti. Questa unità, intesa come realtà biologica e spirituale, costituisce la Nazione. La Nazione, per noi, non è un concetto astratto o più o meno giuridico, ma è la realizzazione, il contenuto ideale e concreto del popolo. E lo Stato, infine, cos’è? Lo Stato, in questa concezione, è l’espressione organizzata e formale del contenuto nazionale. Ed è sempre ed esclusivamente lo Stato che risponde alla Nazione. Lo Stato concepisce e abbraccia solo gli elementi di comune origine nazionale. Esso è quindi omogeneo e non imperiale, nel senso che esso non potrebbe mai conciliare gli elementi eterogenei di altri popoli e di altre nazioni. Esso è – come noi diciamo – völkisch, poiché si rivolge al popolo, al Volk. E la politica che si adatta a questo Stato (inteso nel senso sopradetto) è una völkische politik, una politica che, per suo oggetto immediato, ha il popolo cosciente della propria razza; e, ora, il Popolo cosciente della propria razza è quello che, nella nostra terminologia, si dice Volkstum. Da tutto questo risulta chiaramente che noi dobbiamo essere contro gli elementi estranei all’unità del nostro popolo. Uno Stato esige, anzi, postula una Nazione, e questa Nazione, per noi, è il popolo tedesco, cosciente della sua origine, che è ariana, nordica, europea. Popolo, Nazione e Stato è il triplice periodo del processo genetico della nostra realtà spirituale, politica e sociale. Il popolo ne è il presupposto, la base e la conditio sine qua non, lo Stato è l’organizzazione di questo presupposto e la Nazione è il legamento di tutt’e due. Come la Nazione è l’espressione politica del popolo, la concezione del mondo, la Weltanschauung, come noi diciamo, ne è l’espressione ideale. La Weltanschauung è il legame fra il popolo, inteso come unità psicofisica, e lo Stato, inteso come unità politico-sociale. Essa è, in fin dei conti, una categoria politica e morale e una categoria spirituale. La Weltanschauung è il centro vitale di tutte le manifestazioni del nostro paese, di quelle strettamente spirituali e intellettuali e di quelle strettamente politiche e sociali. Essa scaturiscono da questo centro e, in esso, hanno la loro ragione d’essere e verso di esso convergono come verso la loro destinazione ultima e definitiva. La Weltanschauung trae tutta la sua forza dall’origine nazionale del popolo; essa dà l’impulso alla vita politica del paese, il vero senso alla vita interiore e religiosa della comunità popolare, ed è l’unica e valevole tendenza all’attività spirituale, artistica e scientifica della Nazione. La Weltanschauung Viene quindi chiarita la nostra […]

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