È iniziato il boicottaggio globale delle merci “made in USA”

Malgrado la totale indifferenza della stampa occidentale, impegnata da sempre a lustrare le scarpe sporche ai capi delle multinazionali straniere, è cominciato nel marzo di quest’anno il “boicottaggio globale” delle merci made in USA, in particolar modo dei prodotti del colosso Apple. Ad annunciarlo è stata l’attivista libanese Mona Issa, portavoce del Movimento Internazionale per il Boicottaggio dei Prodotti Statunitensi (BUP), che ha sede a Beirut, in Libano.

«Uno dei nostri obiettivi primari», ha spiegato Mona Issa all’agenzia iraniana PressTV, «è diffondere la consapevolezza sui crimini degli Stati Uniti d’America in un modo educativo, che spinga le persone a boicottare i loro prodotti». Il BUP sta infatti «boicottando l’acquisto di marchi di proprietà statunitense, in particolare quelli che hanno un eccessivo monopolio sui mercati globali e che sono i principali sostenitori della guerra e della violenza globale e i cui prezzi risultano, senza una ragione, costosi e insostenibili».

Un gruppo di militanti del BUP, con base a Beirut, ha tuttavia inviato alcune e-mail ai leader politici di tutto il mondo con l’obiettivo di limitare l’importazione e la registrazione di nuovi dispositivi Apple nei loro paesi. «Questa campagna», ha spiegato Mona Issa, «prevista per i prossimi due mesi, mira a diffondere la consapevolezza sui difetti del modello di smartphone iPhone: la sua marca troppo costosa, il marketing esagerato, la fragilità, il suo legame con Israele e la sua violazione della privacy».

Ma, secondo Mona Issa, «il boicottaggio non è solo una forma di protesta, ma anche un mezzo per sostenere i prodotti autoctoni e valorizzare le economie locali». Durante i primi anni del 2000, infatti, in seguito alla martellante campagna di boicottaggio popolare promossa dai pionieri del BUP a danno delle società statunitensi, la perdita effettiva di tali società nei paesi arabo-islamici è ammontata a circa 250 milioni di dollari, gran parte dei quali, tuttavia, è finita invece per essere utilizzata per supportare le economie e i mercati locali, a danno della ricca piovra a “stelle e strisce”, i cui tentacoli schiacciano e opprimono da oltre un secolo gran parte del mondo islamico (e non).

Il BUP è inoltre animato da un profondo senso di identità, inteso sostanzialmente in ottica arabo-islamica, e da un fervido impulso antisionistico che, molto spesso, si traduce in veri e propri atti di militanza e di solidarietà in favore del popolo palestinese, sempre più oppresso e perseguitato dalle politiche di Israele.

Obiettivo dichiarato del movimento, ha spiegato Mona Issa, è quello di «portare un cambiamento nel mondo», poiché «non importa quanto “grandi” siano gli Stati Uniti: ognuno di noi può fare la differenza fintanto che abbiamo la volontà di combattere l’oppressione».

Ad oggi, il BUP può vantare numerosi gruppi di attivisti sparsi in quasi tutti i paesi musulmani e, seppur in numero limitato, è presente anche in Svezia e in alcune zone della Russia.


di Javier André Ziosi

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