L’utopia dell’eguaglianza. Pensieri di un “fascista di destra”

Nel 1923, Vincenzo Fani Ciotti, in arte Volt, diede alle stampe Programma della destra fascista (La Voce Edizioni), un libro oggi ormai dimenticato, ma non per questo privo di valore storico e intellettuale; anzi, esso godette all’epoca di una grande popolarità, specialmente negli ambienti legati alla cosiddetta “destra fascista”, di cui Volt fu un accesso e accanito rappresentante. L’articolo che segue, estratto dal suddetto libro, configura quindi il pensiero di Volt circa la dottrina socialista, mettendone in luce soprattutto le contraddizioni derivanti dal concetto di eguaglianza.

La dottrina socialista, tirata alle sue ultime conseguenze dal bolscevismo, non è nuova. Essa non è che una trasposizione della democrazia nel campo economico. La rivoluzione russa fu un’edizione peggiorata e scorretta dell’‘89. Eguale fu il metodo e gli stessi protagonisti si assomigliano stranamente. Bolscevichi e giacobini hanno una sola mentalità. Lenin si proclama discepolo di Marx, come Robespierre, il macellaio-filosofo, si vantava apostolo di Jean-Jacques Rousseau: le formule del loro catechismo sono diverse, ma la sostanza spirituale è la stessa. Per comprendere Il Capitale, bisogna aver letto Il contratto sociale. Etica, e non economica, è la base del comunismo. Quando Rousseau propugna «l’alienazione totale di ciascun individuo alla comunità», egli pone le fondamenta della dottrina marxista..

Leggiamo pure Il Capitale, esaminiamo la teoria del plus-valore ed in questa pesante impalcatura economica, sotto una fastidiosa e pedantesca computisteria a base di libbre di coton filato e di ore lavorative, noi finiremo per scoprire una serie di pretesti pseudoscientifici per introdurre anche nel mondo dell’economia il grande principio dell’eguaglianza sociale. Ora, il principio dell’eguaglianza non ha nulla a che vedere con la scienza. Scientificamente, non è né vero né falso: non si discute. Perché esso non rappresenta la conclusione di un lavorio intellettuale, ma la formulazione dottrinaria di un sentimento, di un istinto, di uno di quegli impulsi profondi e originari che, all’infuori di ogni considerazione logica, guidano l’azione degli uomini. Il bisogno di uniformità si rivela più forte mano mano che noi discendiamo fra gli strati più incolti della società: ed è fortissimo poi fra le bestie. L’animale è un perfetto egualitario. Le formiche, le api, ci offrono l’esempio di perfette società comuniste. Introducete nel pollaio una gallina dipinta di rosso ed essa verrà assalita a furiosi colpi di becco dalle compagne. Così nel pollaio sociale, chiunque si elevi per ingegno, ricchezza, nobiltà al disopra della massa verrebbe assalito, oppresso, sommerso dalla forza bruta del numero, se istituzioni secolari non difendessero le élites di già formate, accogliendo poi in sé i nuovi elementi di aristocrazia che rampollano su dal seno inesauribile della stirpe. Il progresso è fonte di sempre nuove diseguaglianze. Le scoperte, le invenzioni applicate alle industrie e ai trasporti hanno creato una serie infinita di diseguaglianze individuali, che, localizzandosi in determinati paesi e trasmettendosi per via di eredità, dànno luogo a ineguaglianze di famiglia, di nazione, di classe. Si organizzarono così storicamente quei grandi focolari di energie, centri di dominio, agglomerati di potenza che costituiscono il fenomeno dell’imperialismo.

L’imperialismo è il prodotto naturale del progresso umano. Contro di esso, la democrazia, sua figlia, rappresenta la reazione di istinti primitivi, antisociali, che tendono a ricondurre l’uomo allo “stato di natura”. Il perfetto democratico si identifica con il perfetto reazionario. Il “ritorno alla natura”, predicato dal genio isterico di Ginevra, rappresenta la più grande delle reazioni. Questa reazione, la rivoluzione francese ha cercato di tradurre parzialmente in atto. Poiché se la rivoluzione fu borghese e liberale nei suoi esordi e nel suo finale risultato, il periodo centrale del Terrore ebbe un carattere nettamente socialista. Ci troviamo di fronte a una vera e propria espropriazione di classe. Confiscato il patrimonio del clero, degli emigrati, dei sospetti, cioè di quasi tutti i cittadini facoltosi; decurtato il capitale superstite con multe enormi; annullata la rendita dalla svalutazione degli assegnati; il patrimonio privato assorbito dal prestito forzoso, falciato da un’imposta ferocemente progressiva; i prezzi massimi delle derrate fissati dalle autorità; i commercianti costretti a vendere in perdita; i cittadini obbligati ad esercitare le cariche pubbliche; la centralizzazione statale spinta all’estremo; la requisizione applicata a tutti i beni dell’economia nazionale; tre quinti del suolo divenuti proprietà dello Stato; ogni francese trasformato in impiegato. Se questo non è comunismo, poco ci manca. Poco ci manca che Robespierre fosse vissuto oltre, che Babeuf avesse trionfato e la Francia avesse anticipato di un secolo l’esperimento del bolscevismo. Così non fu. Termidoro suonò. Bonaparte mozzò di un colpo le cento teste dell’idra giacobina. La Francia fu salva. L’Europa poté respirare. Ma il fuoco seguitò a covare sotto le ceneri. La barbarie secolare, accumulata come una polveriera alle fondamenta dello splendido edificio della civiltà, non aspettava che una scintilla per esplodere. Alla barbarie, il socialismo offrì un’arma, un’insegna, un vessillo. Marx fu la reincarnazione di Rousseau. Il calice avvelenato che questi aveva offerto alle labbra della nazione francese, il disgraziato popolo russo l’ha vuotato fino alla feccia. La società borghese è abbattuta, lo “stato di natura” regna fra gli uomini. L’umanità si riduce allo stato degli animali che vivono in branco. L’urbe si risolve nell’orda.


di Volt

Un commento

  • Davvero interessante quando parla dell’animale egualitario… Inoltre, fa ben capire che l’eguaglianza, nella società umana, è un’utopia.
    VOLT: un genio forse scomparso troppo presto..

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