Ernst Niekisch e la “volontà di povertà”. Il pensiero anti-borghese di un filosofo incompreso

Definito dal filosofo Alain de Benoist «l’ultimo grande prussiano», Ernst Niekisch è senza dubbio una delle figure meno conosciute ma più originali della storia tedesca. Egli può essere infatti considerato il pioniere di quella dottrina politico-filosofica che, a partire dalla seconda metà degli anni ’20, in Germania, tentò di coniugare insieme aspirazioni leniniste, spirito prussiano e postulati nazionali, prendendo il nome di “nazional-bolscevismo”.

Il suo merito – se può definirsi tale – è stato quello di aver varcato i tradizionali “confini politici” dell’epoca, ostentando una nuova forma di meta-politica visionaria e quasi mistica, incentrata soprattutto sul «ritorno alla barbarie e alla primitività contadina» e sul superamento della vecchia dicotomia destra-sinistra, considerata dannosa per il destino della Germania e del popolo tedesco.

Ma Niekisch non è come gli altri filosofi; attraverso «una forte riduzione dell’industria, una decisa volontà di povertà» e una «disposizione al primitivo e al barbaro», egli si propose non solo di abbattere la società borghese (rappresentata in Germania dalla famigerata Repubblica di Weimar, detta anche Judenrepublik), ma anche di sradicare completamente il sistema capitalistico, colpevole ai suoi occhi «di tutte le situazioni disperate […] che sconvolgevano il mondo».

La sua fu soprattutto una presa di coscienza, che, per quanto concerne il concetto di povertà, si rivelò profondamente radicale, in quanto indirizzata al ripudio di «ogni lusso inutile» e all’instaurazione di «un’economia riportata allo stretto livello dei bisogni elementari reali (Bedarfswirtschaft)». Scrive Niekisch:

Chi è ricco […] ha più problemi; si vive quindi più tranquilli rimanendo poveri. Si fa, allora, di necessità virtù e della povertà un emblema […]. La povertà poi conferisce valore; essa permette di concentrarsi su ciò che si ha, i beni dello spirito e dell’anima. Con l’aiuto di questa concentrazione interiore si giunge più vicino a Dio; tanto è vero che il povero va più facilmente nel “regno dei cieli” del ricco. Dio stesso appare alla fine, tutte le volte che si mischia fra gli uomini, nelle sembianze di un povero, come vagabondo o mendicante. Si sfama e si disseta Dio tutte le volte che si sostenta un bisognoso, dice il Vangelo. Si conferisce al mendicante, sia esso un monaco o un pellegrino, una sorta di considerazione divina.

Dunque, per Niekisch, spiritualità e povertà sono intrinsecamente e intimamente connesse, inscindibili l’una dall’altra e fondamentali nella loro essenza cristiana. Credere in Dio è quindi «il minimo di irrazionalità di cui il mantenimento della vita ha bisogno, e che a tal fine deve essere accettato». Prosegue il filosofo:

D’altra parte, l’esperienza insegna che nessuna società, nessuna forma di vita in comune può esistere senza poggiare sopra una ragione, una causa. La mancanza di motivazioni, cioè il nichilismo, conduce sempre al disfacimento e alla distruzione. Così, il credere in una ragion d’essere delle cose, in fondo, corrisponde all’istinto di conservazione.

Secondo Niekisch, la povertà è quindi inautentica, se priva di un sentimento spirituale di fede in Dio; essa deve innalzare l’uomo al divino, portandolo a vivere un’esistenza sì povera, ma ricca spiritualmente, seppur barbara e primitiva.

Tale visione, però, non venne mai accettata appieno dai membri e dai simpatizzanti della corrente nazional-bolscevica degli anni ’20 e ‘30, ma rimase piuttosto ai margini del pensiero intellettuale che Niekisch, dopo la Seconda guerra mondiale, delineò in seno alla DDR (periodo in cui il filosofo cambierà molte delle proprie opinioni politiche).

Tuttavia, è molto probabile che essa, essendo configurata all’interno di un contesto fortemente russofilo e, in parte, filo-sovietico, abbia tratto origine dalla concezione della povertà di matrice russa, ben espressa dal filosofo e scrittore Fëdor Dostoevskij quando asserì: «Nella povertà voi conservate ancora la nobiltà dei vostri sentimenti innati…».


Di Sergio De Rensis


Bibliografia:

Alain de Benoist, Quattro figure della Rivoluzione conservatrice tedesca, Controcorrente Edizioni, 2016, Napoli.

Stefen Breuer, La rivoluzione conservatrice. Il pensiero di destra nella Germania di Weimar, Donzelli Editore, 1995, Roma.

Ernst Niekisch, Est e Ovest. Considerazioni in ordine sparso, Società Editrice Barbarossa, 2000, Milano.

3 commenti

  • Un grande filosofo purtroppo dimenticato e non compreso. Le sue parole, seppur radicali, hanno qualcosa di illuminante e divino, che non tutti possono comprendere nel profondo, perché troppo sottomessi al potere del grande Capitale e dalla smania di denaro, senza alcun occhio di riguardo verso la spiritualita e la religione. Lo stesso nazional-bolscevismo, dottrina oggi sminuita e molto sottovalutata, potrebbe ancora essere feconda, se si facesse riferimento al superamento del concetto di destra e sinistra, ormai obsoleto.

  • Bello interessante !😉

  • Il grande Ernst Niekitsch è stato un essere illuminato. Aveva capito sin da subito che la ricchezza, fine a sé stessa, portava l’Uomo ad incattivirsi, a renderlo meno spirituale e dedito ad adagiarsi sugli allori. Detto questo, credo che Egli sia esistito per dare tutti una grande lezione di Vita: “Chi è ricco […] ha più problemi; si vive quindi più tranquilli rimanendo poveri. Si fa, allora, di necessità virtù e della povertà un emblema […]. La povertà poi conferisce valore; essa permette di concentrarsi su ciò che si ha, i beni dello spirito e dell’anima. Con l’aiuto di questa concentrazione interiore si giunge più vicino a Dio; tanto è vero che il povero va più facilmente nel “regno dei cieli” del ricco. Dio stesso appare alla fine, tutte le volte che si mischia fra gli uomini, nelle sembianze di un povero, come vagabondo o mendicante. Si sfama e si disseta Dio tutte le volte che si sostenta un bisognoso, dice il Vangelo. Si conferisce al mendicante, sia esso un monaco o un pellegrino, una sorta di considerazione divina”.

    Chi comprende questo, ha compreso tutto.

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