«La gente chiede rassicurazioni e riceve insulti». Intervista all’ex presidente RAI, Marcello Foa

Alla luce dei nuovi sviluppi politici e delle misure anti-pandemiche adottate il 6 dicembre, abbiamo ritenuto opportuno pubblicare la coraggiosa intervista di Giorgio Gandola a Marcello Foa, apparsa sul quotidiano La Verità il 15 novembre 2021 e non ancora presente nel web. Buona lettura!


Da presidente della RAI a politologo, opinionista e docente. Marcello Foa, che Italia vede dopo tre anni trascorsi al settimo piano di viale Mazzini?

Vedo un’Italia litigiosa, disunita, proprio quando sarebbe fondamentale unità d’intenti e coesione sociale per uscire definitivamente dalla pandemia. Un paese civile e maturo dovrebbe riuscire a conciliare la lotta al virus con le garanzie costituzionali.

Come si fa?

Basta non rinunciare alle libertà fondamentali, ai pilastri che hanno sempre fatto la differenza rispetto ai regimi non democratici. Non bisogna escludere o ghettizzare chi non è d’accordo, ma trovare il modo di includere e ottenere il consenso dentro la società.

Opinione sufficiente per far dire ai guardiani del vaccino che lei è un “no green pass”.

Sorrido. Indro Montanelli ci ha lasciato una lezione straordinaria. Partendo da posizioni liberali, moderate, ragionevoli, ebbe il coraggio di andare contro il rumore assordante del pensiero unico.

Il concetto va approfondito.

Da grande giornalista qual era, riteneva suo dovere interrogarsi e trovare risposte non convenzionali alle problematiche politiche del suo tempo, dal terrorismo al crollo del muro di Berlino, dalle trappole della prima repubblica agli scandali della politica. Il contrario di ciò che accade oggi, allorché dobbiamo fare i conti con un approccio fideistico su vaccini e green pass.

Perché monta la diffidenza nei confronti delle istituzioni?

Perché le persone diffidano da chi si sottrae al confronto. Ci sono domande che il pubblico no green pass pone e vorrebbe ottenere risposte. Ma questo non accade. Quando emergono domande fondate, equilibrate e oggettive, chi le fa merita risposte. Invece in Italia chi solleva dubbi viene domonizzato come nemico della scienza. Si esasperano tensioni che minano la convivenza civile.

Passando dalla teoria alla pratica, servono esempi.

Il più recente riguarda il cosiddetto Pfizergate, rivelato dal British Medical Journal, secondo cui una società incaricata di testare il vaccino avrebbe commesso diverse gravi irregolarità. Vogliamo approfondire questi aspetti? Invece zero. Pochi giornali ne hanno parlato. Eppure, chi si vaccina ha il diritto di essere certo che tutto venga fatto a regola d’arte e senza rischi per la sua salute.

Secondo lei, questa cappa di conformismo è alla base della diffidenza?

La gente chiede rassicurazioni e riceve insulti. Così, una società sempre più polarizzata, basata sulla diffidenza reciproca, si contrappone, invece che cercare punti di contatto oggettivi. Questo è contagio culturale e sociale, invece serve una conciliazione nazionale.

Il sistema mediatico è governista come non mai. Non è sorprendente?

La stampa dovrebbe svolgere il suo ruolo naturale di verifica responsabile. Su Pfizer e altro, le rivelazioni ci devono preoccupare oppure no? Io non ho risposta, ma da giornalista so per certo che l’unica cosa da non fare è ignorare la domanda.

Lei ha scritto un saggio sulle manipolazioni dei media dal titolo Gli stregoni della notizia. Ci si ritrova?

In questo scenario la responsabilità dei media è grande e le analisi fatte a suo tempo trovano conferma. I giornali tendono a verificare le notizie con le istituzioni; quando queste prendono certe posizioni, i giornali le riflettono, soprattutto se si crea un frame collettivo basato sulla paura.

Praticamente un cortocircuito. Come si ottiene?

La letalità iniziale del Covid-19, più le bare sui camion in tv, più i drammi famigliari o degli amici, più l’angoscia sociale. Difficile nella prima fase della pandemia evitare che l’emotività avesse un ruolo significativo. Ma oggi è fondamentale che istituzioni e media si impegnino su basi più riflessive, ponderate. Invece siamo rimasti alla suddivisione della società in buoni e cattivi.

Stato d’emergenza e green pass possono essere prorogati senza colpo ferire?

In democrazia, uno stato d’emergenza non può essere rinnovato automaticamente come una carta d’identità, nelle redazioni lo sanno. La stampa ha la funzione primaria da cane da guardia della democrazia, non del potere. Questo non significa assumere atteggiamenti complottistici, ma saper porre domande anche scomode, svolgere correttamente, ma coraggiosamente il ruolo di coscienza critica.

L’obiezione è sempre la stessa: così fan tutti.

Non è vero. La Corte costituzionale spagnola ha ritenuto incompatibile il certificato verde con la Carta dei diritti e dei doveri. Negli Stati Uniti i giudici hanno fermato Joe Biden sull’obbligo vaccinale per le aziende che ricevono commesse pubbliche e molti Stati americani hanno fatto ricorso contro il green pass per difendere le libertà individuali. In Gran Bretagna non c’è certificato. La faccenda non è così scontata.

Da noi c’è un unanimismo preventivo…

Davanti a temi così delicati, un governo che rappresenta quasi tutte le forze politiche rappresenta un’anomalia che priva il paese di un forte confronto maggioranza-opposizione. Proprio per questo la stampa dovrebbe avere un ruolo costruttivo, ma terzo, non ancillare. Vedere i media schierati acriticamente su un’unica posizione non è normale e non fa parte di quello spirito democratico in cui credo fermamente.

Da ex presidente del servizio pubblico, come se ne esce?

Ci vorrebbe una riflessione da parte della categoria. La tutela del pluralismo è necessaria. Il servizio pubblico, ad esempio, deve essere messo al riparo dalle pressioni della politica. In genere, ci rendiamo conto che una parte importante dell’opinione pubblica diffida sempre di più dei media? Vogliamo chiederci perché, con onestà intellettuale, e tentare di riconquistare la fiducia? Sono domande da porre a tutti noi, dai direttori ai praticanti.

I cittadini sono anche elettori, e puniscono il sistema voltando le spalle alle urne.

Concordo. Queste distorsioni stanno minando il rapporto fra politica e società civile. Alle ultime amministrative la partecipazione è stata del 54%. Di questa fetta, il 60% ha votato liste civiche e solo il 21% del corpo elettorale ha scelto i partiti. Uno su cinque… Allarme rosso.

Alcuni partiti, come il PD, tendono a rappresentarsi senza il simbolo. Un paradosso…

Se fossi un leader politico al tempo del Covid-19 sarei molto preoccupato, anche se è vero che le amministrative rispondono a logiche diverse dalle politiche. Questi numeri sono un segnale di profonda disaffezione.

Secondo lei chi ha disertato le urne in ottobre?

Gli elettori di centro-destra e del Movimento 5 Stelle. Coloro che credono nella necessità di un miglioramento della politica dentro la società, ma che non si sentono rappresentati. Questo elettorato è smarrito. Se non recupera la sua gente, c’è il rischio che l’elettore di centro-destra non vada alle urne alle prossime politiche. E la sinistra, che storicamente ha un elettorato più fedele, vinca per mancanza di avversari.

Come possono politici di esperienza perdere il contatto con la gente?

Quando osservi l’Italia da Roma hai una visione distorta del paese. Dentro i palazzi del potere vieni travolto da logiche squisitamente romane: lotte per le poltrone, giochi di alleanze, sotterfugi. Stiamo cominciando a vederlo per l’elezione del Capo dello Stato. Si mettono in moto macchine infernali, si stringono patti del Nazareno, della crostatina o della lasagna. Ma il cittadino è lontano anni luce da tutto questo. Anche qui valgono gli esempi.

Scendiamo nel dettaglio…

Silvio Berlusconi vince perché, arrivando dal mondo reale dell’imprenditoria, entra in sintonia con il paese e la gente lo percepisce. Poi a Palazzo Chigi perde il controllo. Matteo Renzi ha un’ascesa formidabile quando è sindaco di Firenze, giocoforza vicino alla gente. Sfrutta lo slancio alle europee, ma da premier tracolla. Matteo Salvini costruisce i suoi successi da uomo del popolo, al Viminale fa ciò che aveva promesso, quindi stravince le europee. Poi, nell’estate 2019 si perde nel palazzo. Poi c’è il Movimento 5 Stelle…

Sembra l’esempio più clamoroso.

I pentastellati hanno una crescita esponenziale quando Beppe Grillo incendia le piazze e Gianroberto Casaleggio non mette mai piede a Roma. Sono estranei ai giochi di potere e la gente li premia. Oggi scelgono di essere organici al potere tradizionale alleandosi con partiti che avevano fortemente combattuto. Il risultato è lì da vedere… Si perde credibilità.

Quindi che lezione si può trarre?

Il punto fondamentale è che il centro-destra, oggi forza maggioritaria nel paese, trovi il modo di ristabilire questo contatto con il suo elettore. È un punto di svolta. Se lo recupera vola, altrimenti sarà costretto ad un’altra lunga traversata del deserto. All’opposizione.


Di Giorgio Gandola

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