La loggia P2 e la connessione sudamericana. I documenti inediti dei servizi segreti brasiliani

Contrariamente a quanto si possa pensare oggi, la potente loggia P2 di Licio Gelli non esercitava potere e influenza soltanto in Italia, ma anche e soprattutto in Sud America, in particolar modo in Brasile, Paraguay e Colombia, dove si occupava anche di traffico di droga

Aveva un unico scopo, «il raggiungimento del potere politico-economico a livello transnazionale». Faceva affari con tutti, «terroristi, comunisti, capitalisti, autorità pubbliche, politici, imprenditori, religiosi o innocenti utili». E per raggiungere il proprio obiettivo aveva creato una vera e propria holding, che spaziava «dalla pura e semplice gestione di immobili fino al commercio delle droghe, passando per il ricatto, il traffico di influenza, il contrabbando di armi e la vendita di segreti militari».

È la loggia P2 di Licio Gelli, analizzata in profondità dal Servizio Nazionale di Informazioni (SNI, l’agenzia di intelligence della presidenza della Repubblica brasiliana) in un report fino a oggi inedito di 53 pagine, datato 21 luglio 1983, che il giornale Millennium ha potuto leggere. Il Gran Maestro era visto come un pericolo per la fragile riapertura democratica, che, in quel momento, stava portando il Brasile fuori dalla dittatura militare. Era un’epoca di fermento per il principale paese latinoamericano, pieno di insidie. Da quattro anni governava João Figueiredo, ultimo militare in carica, che aveva promosso il ritorno al voto e alla democrazia. Due anni prima, tra il 1980 e il 1981, le vie delle principali città erano state scosse da attentati dinamitardi, diretti soprattutto alle edicole che vendevano la stampa non di regime. Più di cinquanta attentati. A Rio de Janeiro si era sfiorata una strage senza precedenti, solo per un caso: una bomba era esplosa in un’automobile uccidendo il militare che la trasportava, a pochi metri da un concerto con 20mila persone. L’obiettivo era il palco, dove si stavano esibendo i principali esponenti della musica popolare brasiliana per festeggiare il primo maggio.

João Figueiredo, atto dopo atto, aveva firmato un’amnistia per i detenuti politici, permettendo il rientro il patria di tanti esuli. Le elezioni dirette erano ormai alle porte, primo passo verso la normalizzazione del Brasile, dove la dittatura sanguinaria aveva preso il potere nel 1964. Pur essendo un militare, il presidente era visto come un nemico dalla parte più dura dell’esercito, che non tollerava il ritorno alla democrazia. Quelle bombe – in un parallelo con la strategia della tensione in Italia e con l’attentato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna – rappresentavano il tentativo di bloccare il ritorno alla democrazia da parte dell’ala dura dell’esercito, dei torturatori, dei golpisti, delle divise nostalgiche del “piano Condor“.


Un gruppo pericoloso

In questo scenario, il Servizio nazionale di informazioni brasiliano – che dipendeva dal presidente João Figueiredo – elabora la lunga nota interamente dedicata alla loggia P2. Un interesse ritenuto strategico: «Il documento presenta dei suggerimenti per evitare che il gruppo possa diventare un impedimento per il conseguimento dei nostri obiettivi nazionali».

L’organizzazione di Licio Gelli, in altre parole, avrebbe potuto ostacolare il progetto di apertura democratica. La loggia massonica – colpita in Italia dall’inchiesta dei magistrati milanesi Colombo e Turone e sotto il faro della commissione parlamentare d’inchiesta – come un’araba felice si stava riorganizzando. Con un nuovo baricentro, il Brasile, potendo contare sull’alleanza delle classi militari dell’intero continente, dall’Argentina all’Uruguay. La rete, messa in piedi da Gelli probabilmente già dagli anni ’50, anche grazie ai contatti finanziari di Umberto Ortolani, era definita un vero e proprio «sistema», diviso in «sotto-sistemi che si incrociano e si completano, per raggiungere i propri obiettivi».

Facciamo un passo indietro. La Seconda guerra mondiale stava per finire. I pezzi grossi del fascismo – come molti ufficiali delle SS – non avevano nessuna intenzione di finire davanti ai tribunali per i crimini di guerra. Meglio abbandonare la nave: «Le prime connessioni del capitalismo fascista con l’America del Sud», scrivono gli analisti dell’intelligence brasiliana, «risalgono agli anni finali della Seconda guerra mondiale (1944), quando arrivano a Buenos Aires Vittorio Mussolini, figlio del dittatore fascista Benito, l’industriale Agostino Rocca, l’ex segretario del partito fascista Carlo Scorza e in Uruguay l’ex ministro delle finanze di Mussolini, Giancarlo Pellegrini, tra gli altri». Insieme a loro arrivarono capitali e rapidamente quel nucleo fascista creerà una ramificata presenza imprenditoriale.

Con l’arrivo delle dittature militari – stagione inaugurata nel 1954 con il colpo di Stato in Paraguay – l’America Latina diventa il nuovo Eldorado per l’internazionale nera nata dalle ceneri del fascismo e del nazismo. Un terreno fertile questo, secondo l’SNI, per l’organizzazione di Licio Gelli.

Nel maggio 1981, due mesi dopo il sequestro degli elenchi degli iscritti alla P2, i magistrati milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone – che indagavano sul finto rapimento di Michele Sindona – fanno perquisire Villa Wanda, la residenza di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi. Pochi mesi dopo, in Uruguay, centro degli affari più riservati della loggia, grazie alla copertura del regime, c’è un cambio della guardia alla presidenza della repubblica, con la nomina di Gregorio Alvarez, ostile a Gelli. L’atmosfera era cambiata anche in Argentina e, dunque, per l’organizzazione era necessario trovare nuovi appoggi.


Stampa addomesticata

«Con l’ambiente sfavorevole in Uruguay e il suo indebolimento in Argentina», si legge nella nota del 1983 firmata dai vertici dell’intelligence brasiliana, «il sistema P2 e i suoi sotto-sistemi starebbero consolidando le proprie attività nel nostro paese». L’allarme scatta anche perché la società brasiliana non sembrava avere i giusti anticorpi in grado di resistere alla variante Gelli del virus massonico: «Per quanto sembri paradossale, la stampa brasiliana non ha commentato le attività della P2 e dei suoi membri nel territorio nazionale, riferendo appena i fatti occorsi in altri paesi e dando, come conseguenza, la falsa impressione che siamo in una “isola di tranquillità, non toccata o desiderata dalla P2». L’SNI cita il caso dell’unico giornalista che si stava occupando di Licio Gelli e della sua penetrazione in Brasile, il reporter di Istoé (settimanale storico d’inchiesta) Nunzio Briguglio. Ma il sistema Gelli era già in azione: «Era nel pieno delle sue ricerche, quando il presidente del gruppo editoriale Fernando Moreira Salles gli ha proibito di proseguire». Fernando era il figlio di Walter Moreira Salles, che era a capo della cordata che controllava il gruppo bancario Unibanco Sa, una holding legata a sua volta a un altro istituto tramite dei flussi finanziari del Banco Ambrosiano verso il Brasile.

L’analisi dell’intelligence elenca nel dettaglio «alcuni degli interessi e affari che il gruppo ha in Brasile». Una lista probabilmente ancora incompleta, ma che descrive una ramificazione profonda e una rete di complicità estremamente pericolosa per la fragile democrazia. Liccio Gelli aveva messo in piedi uno schema finanziario in grado di penetrare il sistema politico brasiliano, senza eguali: «C’era nella legislatura passata uno schema di finanziamento esterno ai municipi, con il fine di penetrare i leader delle nostre unità politico-amministrative. Il grande promotore e difensore di questi prestiti nel Senato federale era l’allora senatore Orestes Quercia». Un nome di peso all’epoca. Nato nel 1938 e deceduto nel 2010, Quercia era l’esponente di punta del PMDB, l’unica sigla di opposizione all’Arena, partito ufficiale della dittatura militare. L’ennesima prova della capacità di Gelli di trattare su tutti i fronti.

L’editoria

Il Venerabile controllava anche il Giornale d’Italia, foglio distribuito all’epoca nell’enorme colonia italiana in Brasile. Per il Gran Maestro della P2 i periodici erano un vero pallino. E anche qui l’interesse era prima di tutto economico, come spiegano gli analisti di Brasilia, descrivendo la figura di Umberto Ortolani: «Negli anni ’50 ha comprato l’agenzia di notizie Italia e insieme con Mattei (presidente dell’Eni) contrabbandavano e vendevano armi ai leader algerini Ferhat Abbas e Ben Bella (guerra d’indipendenza dell’Algeria verso la Francia) in cambio di privilegiate concessioni di estrazione del petrolio, dopo l’indipendenza del paese». Informazione e petrolio, il vero asset del gruppo. Prosegue la nota: «Negli anni ’60 è nominato presidente della stampa italiana all’estero, con l’incarico di distribuire finanziamenti. Questa è stata la ragione dell’acquisizione di giornali di lingua italiana in Brasile, Uruguay e Argentina, poiché questi organi ricevono ricche sovvenzioni dal Consiglio dei Ministri italiano, ma non arrivano mai alle loro redazioni». Anche il Giornale d’Italia edito in Brasile riceveva fondi dal nostro governo.

Il sistema P2 possedeva poi una serie di società immobiliari, tutte con sede nella prestigiosa Avenida Paulista, nel cuore finanziario di San Paolo, zona che diventa, dopo il 1981, il centro della holding di Licio Gelli. Una delle principali aziende, la Companhia Brasileira de Participação, era gestita direttamente dal figlio Raffaelo, sposato all’epoca con Marta Sanarelli. Sempre in Avenida Paulista c’erano gli uffici amministrativi delle varie imprese del gruppo e la Ambrosiano Re-presentaçoes e serviços Ltda, gestita dall’uomo della banca di Calvi Lucio Azzoni.

Non mancavano le fazendas, enormi latifondi nel nord del Brasile, destinati soprattutto all’allevamento. Nello Stato del Mato Grosso, nella zona sud dell’Amazzonia, controllava 30mila ettari della Agropecuaria Lirio Branco Ltda, gestita da tale Francesco Garatti, che – annota l’SNI – «risulta essere evaso da uno stabilimento penale italiano, dove stava scontando una pena». L’avvocato italo-brasiliano di fiducia di Gelli, Francesco Motta, gestiva a sua volta altri 10mila ettari, nel municipio di Diamantino (Mato Grosso).


Quadri in fuga

Il vero snodo, però, dell’impero di Gelli era la banca Bafisud. L’SNI ricostruisce nel dettaglio la storia dell’istituto finanziario nato in Uruguay e i delicati passaggi societari avviati dopo la scoperta delle liste della P2 a Castiglion Fibocchi. Il Banco Financiero Sudamericano era la prima banca straniera in Uruguay e la quinta in assoluto. Nel 1972, Umberto Ortolani ne acquisisce il controllo attraverso la società Santa Marcella Sa, comprando le quote da Giancarlo Pellegrini, l’ex ministro delle finanze di Benito Mussolini, fuggito a Montevideo nel 1944 seguendo la ODESSA dei gerarchi fascisti. L’SNI getta un’ombra sull’operazione: «Pellegrini decise di vendere perché suo figlio era stato sequestrato dai Tupamaros. Oggi ci sono forti sospetti che in quel sequestro ci fosse una connessione della P2 per motivare la vendita di un’impresa lucrativa e stabile». Nel 1975 entrano tra i soci il Banco di Sicilia e la BNL, attraverso The Italian Economic Corporation di New York. L’anno successivo la Bafisud apre le succursali a Roma e a San Paolo. Nel 1978, tra i soci appaiono anche alcuni gruppi spagnoli, «strettamente legati alle braccia finanziarie del Vaticano, l’Opus Dei e lo Ior».

Dal 1982 iniziano i guai per la banca uruguaiana. Un imprenditore, Carmelo D’Amore, quando scoppia il caso P2 cita in giudizio la Bafisud chiedendo un risarcimento di 6milioni di dollari. La notizia diventa pubblica e molti correntisti si precipitano a ritirare i risparmi, temendo un crac. Scatta l’allarme rosso, la cassaforte del “sistema” andava preservata. Il 14 aprile 1983, sui giornali di Montevideo esce il comunicato che annuncia la vendita della Bafisud alla banca olandese NMB (Nederlandsche Middetansbank) con sede ad Amsterdam, con un valore dichiarato dell’operazione di 45milioni di dollari. E qui c’è la sorpresa.


Ambrosiano e le altre

L’analisi dell’SNI offre una versione ben differente dell’operazione e dimostra come l’asse centrale dell’impero di Gelli si fosse trasferito discretamente in Brasile: «Questa transazione», scrivono gli analisti, «ha tutte le caratteristiche di un’operazione fittizia, poiché la NMB di Amsterdam, con il Banco Ambrosiano, attraverso la Banco Ambrosiano Holding Sa del Lussemburgo, sono i veri padroni del capitale della Kertietbank Sa del Lussemburgo». Esisteva ancora, dunque, una connessione tra l’Ambrosiano e la banca che aveva acquistato la Bafisud. E attenzione agli indirizzi e ai nomi: «In Brasile tutte queste entità finanziarie hanno una rappresentanza allo stesso indirizzo, ovvero Avenida Paulista 807, 22° piano, il cui gestore è Francesco Motta». L’uomo di massima fiducia di Gelli a San Paolo. Prosegue la nota: «In realtà non c’è stato un “acquisto per vendita”, c’è stato solo un cambio di posizioni di alleati nel quadro della composizione societaria». Un’operazione tipica dei paradisi fiscali, dove «molte volte le transazioni si traducono appena in cambi formali di persone giuridiche, quando in realtà le persone fisiche detentrici del capitale rimangono le stesse». E nel gioco delle tre carte, la filiale di San Paolo diventa la più importante del gruppo.

Mentre tra l’Olanda, Montevideo e Lussemburgo avviene l’operazione riservata, Gelli e Ortolani trovano il tempo per il loro hobby preferito, i quadri. Nell’edificio della filiale della Bafisud a San Paolo, il “sistema P2” apre una galleria d’arte. Le opere arrivano dall’Uruguay e dall’Italia. Paesi divenuti scomodi per Gelli. E per non dare nell’occhio alla dogana, arriva un aiuto inaspettato: «Attualmente le opere d’arte sono portate da Carlo Calia, Console generale dell’Italia a San Paolo». Un diplomatico di lungo corso, andato in pensione nel 2004. I servizi brasiliani non aggiungono elementi su di lui, né si conoscono ulteriori sviluppi di questa accusa.

Oltre al Brasile, il servizio di informazioni della presidenza della Repubblica brasiliana analizza l’estensione della P2 negli altri paesi del continente. E un vero e proprio alert scatta su due nazioni, il Paraguay e la Colombia. Nel primo, ancora governato all’epoca dal generale Alfredo Stroessner. Gelli possedeva diverse migliaia di ettari di terre; i servizi brasiliani evidenziano come in Paraguay si fossero rifugiati i latitanti di Ordine Nuovo, Clemente Graziani ed Elio Massagrande. Sulla Colombia la situazione era ancora più complessa e pericolosa: «L’azione dei sub-gruppi della P2 in questo paese», si legge nella nota, «non sono molte note. Tuttavia, risulta che questo paese sia la connessione sudamericana dell’esperienza pilota che il gruppo esegue in relazione al traffico di droga, legata al Paraguay».


Tutti assolti

In Italia, in quel 1983, ancora si discuteva sulla reale pericolosità della P2. I lavori della commissione Anselmi erano in corso, mentre Gelli, catturato a Ginevra, si preparava a evadere clamorosamente dalle carceri svizzere. La sentenza di primo grado del Tribunale di Roma arriverà solo nel 1994, e manderà assolti tutti gli imputati delle principali accuse, ovvero il sovvertimento dello Stato. Licio Gelli verrà condannato solo per reati minori, mentre i membri della loggia continueranno a operare senza grandi problemi. Uno di loro, Silvio Berlusconi, arriverà ai giorni nostri a candidarsi alla presidenza della Repubblica. Intanto a Bologna Gelli e Ortolani, da morti, siedono virtualmente sul banco degli imputati, accusati di aver finanziato la bomba del 1980. Erano un vero pericolo? Il Brasile, con i suoi servizi segreti, lo aveva capito da tempo.


Di Andrea Palladino

Un commento

  • Alla fine hanno assolto tutti? Ma come si può definire questa Società ancora “civile”? Non possiamo permetterci di lasciare passare crimini del genere. Se si vuole vivere in modo civile, la Magistratura deve usare man forte per ripulire la Società “civile” da cima a fondo. Il troppo potere dà alla testa e può avere effetti impensabili da un capo all’altro del Mondo. Licio Gelli, con la sua P2, ha esercitato un potere veramente grande, a discapito di chi è caduto nella sua rete.
    Questa Società cosiddetta “civile”, è rimasta in mano a uomini senza scrupoli.. in Italia, Mafia e Massoneria comanderanno sempre.

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