Borghesia e barbarie. Pensieri di un intellettuale antiborghese. Di Piero Pellicano

Apparso per la prima volta sul periodico La Vita italiana nel febbraio 1939, il seguente scritto mette a nudo lo spirito capitalistico e antipatriottico della borghesia al fine di denunciarne, partendo dalla massima mussoliniana «Il credo del fascista è l’eroismo, quello del borghese l’egoismo», la sua azione distruttrice nella Storia, nonché il suo rapporto intimo con l’ebraismo, configurato dall’autore con la borghesia stessa. Ciò che ne esce è una parabola ribelle e politicamente scorretta che, malgrado il passare degli anni e il succedersi dei governi, rimane sempre valevole e di grande attualità. Buona lettura!


1.

Si parla adesso di borghesia e di antiborghesia come se fosse una novità.

Anche quando si parlò di ebraismo, a certa gente sembrava che si annunciasse una dottrina nuova. Eppure, il fascismo è nato sotto il segno dell’antiborghesia e dell’antiebraismo; basta leggere gli scritti di Benito Mussolini per convincersi di questa semplice verità. E che altro si può leggere per conoscere l’essenza spirituale del fascismo?

Io mi domando se tutti sanno che “borghese” significa “abitatore di borgo” (uomo non militare e non rurale), essendo il borgo una riunione di case con pretesa di lusso urbanistico, dove i cittadini, tra plebei e nobili, passano il tempo nelle inutili ciarle. L’uomo borghese è nemico della natura, oppresso dal femminile desiderio di distinguersi (cultus sui), a differenza degli agricoltori, degli operai e dei guerrieri. Si può credere che i borghesi siano uomini ragionevoli impregnati di civiltà, ed è possibile pensare che il progresso dipenda dai loro ragionamenti. Ma è meglio respingere questi pensieri senza intelligenza.

La gente che vive in mezzo alle cose vane non crea nulla, benché intorno ai borghesi, come aureola di santità, si veda luccicare l’oro. È forse “borghesia” sinonimo di “ebraismo”? Il pigro usuraio è certamente valorizzato negli ambienti borghesi, dove l’egoismo impedisce all’uomo di scomodarsi al profitto altrui, se non quanto è necessario o quanto giova a sé stesso. Anche i mercanti cittadini, abituati al facile guadagno, amano la gente borghese.

Per conoscere la differenza che intercorre tra le attuali democrazie e il fascismo, basta considerare il fatto che le democrazie sono dominate dagli ebrei e dai borghesi.

I ragionamenti dei borghesi sono sempre inutili, anche quando deplorano la conversione in titoli di rendita delle proprietà immobiliari degli ebrei. I borghesi non hanno sempre affermato che la proprietà immobiliare era incomoda e difficile da amministrare, e che meglio valeva il titolo di rendita al portatore? Gli ebrei non hanno creato il titolo di rendita e aborrito sempre la proprietà fondiaria?

A Giacomo Leopardi la ragione sembra così barbara che ovunque essa occupa il primo posto e diventa regola assoluta, da qualunque principio parta e sopra qualunque base sia fondata, tutto diventa barbaro. Fortunatamente le nazioni sono composte da borghesi ragionatori; nei campi e nelle officine non si ragiona, si lavora. I discorsi dei borghesi non soltanto portano all’ozio e alla pigrizia, ma trasformano gli uomini più attivi in creature inclinate all’inazione.

Il meccanismo della trasformazione è questo: ai borghesi mancano le illusioni, le idee di gloria, di grandezza, di virtù, di eroismo, tolte le quali sottentra quella di non far nulla, lasciare correre le cose e godere del presente. Per questo è necessario vietare a uomini dotati di virtù naturali, e che hanno dato prova delle buone disposizioni dell’animo, di morire civilmente nella palude delle vuote parole.


2.

Tutte le classi sociali sono armonicamente fuse insieme per uno scopo comune, la grandezza della patria e il suo benessere: 1) aristocrazia, ossia classe dirigente; 2) militari; 3) agricoltori; 4) operai.

Una categoria di cittadini si esclude volontariamente da questa grande famiglia: i parassiti, i quali possono anche chiamarsi “pappagalli”, poiché ogni loro pensiero o gesto è imitazione o plagio.

Le riunioni aristocratiche, quelle degli artigiani e dei militari, hanno la funzione di creare lo stato d’animo nazionale; sono necessarie per discutere i problemi spirituali che interessano la nazione; favoriscono lo scambio dei pensieri utili, poiché i convenuti passano attraverso il vaglio dei valori morali e non si tiene conto della loro ricchezza materiale. Invece, le adunanze borghesi, che vogliono imitare le altre adunanze, profanandole, rappresentano il cimitero delle illusioni; non soltanto mancano le illusioni in presenza della mostruosa realtà delle cose borghesi, ma il principio di esse; non solo manca la vita dell’animo, ma la vita stessa delle cose che realizzano e fomentano le illusioni. Avviene allo stesso modo di un quadro di Michelangelo imitato da un pittore banale e maldestro. Inutile ripetere ciò che tutti sanno: è possibile fondere aristocratici e popolani, guerrieri e operai, ma nessuno conosce il segreto di armonizzare i consumatori borghesi con gli elementi creativi di una nazione. I borghesi formano una casta a sé, una specie di “confraternita della vanità”.

Il mondo deve ai francesi il malcostume delle cerimonie, che, portate dal campo militare nella vita civile, assumono l’aspetto di grotteschi riti. I francesi sono essenzialmente un popolo borghese, e Leopardi giudicava ridicolo che essi aggiungessero monsieur a tutti i nomi di persone, che gli autori lo aggiungessero ai loro nomi sui frontespizi delle loro opere, che esso si conservasse perpetuamente o si ponesse anche quando gli autori erano morti.

Questa ampollosità, che invade tutte le categorie sociali della nazione, deve essere bandita dai popoli che vogliono risorgere; essa non si addice a coloro che rivestono funzioni statali. Io penso che i funzionari imborghesiti non soltanto portano lo Stato alla rovina, ma sono di cattivo esempio agli altri Stati, essendo lo spirito borghese fermento della distruzione.

“Borghese” è antitesi di “militare”, di quella classe che è il nerbo della guerra, cioè dei buoni soldati di cui parla Macchiavelli. È vero che la borghesia non esiste senza oro, ma è anche vero che la borghesia non ha mai conquistato l’oro.

Non tutti oggi ricordano le parole di Macchiavelli: «L’oro non è sufficiente a trovare i buoni soldati, ma i buoni soldati sono sufficienti a trovare l’oro».

Insomma, chi sarebbero i borghesi? Gli oziosi che vivono consumando l’oro conquistato dai soldati, i divoratori della ricchezza collettiva di una nazione.

Un paese che imborghesisce è un paese che va a grandi passi verso la povertà.


3.

Il romanticismo, identificandosi nella falsa sensibilità di chi, non avendone, vuole simularla, è la mistica dello spirito borghese. Tale romanticismo, che si esprime nella falsa arte, è affettazione in tutto ciò che spetta agli affetti dell’animo e del cuore, è una sorta di infermità che colpisce gli uomini quando si allontanano dalla natura con la vana e superba idea di diventare civili. In una società borghese, dove essere artisti non risponde ad un interiore bisogno dell’animo, ma è un mezzo per mettersi in vista e appiccicare un’altra etichetta a quelle che già, borghesemente, infiorano il proprio nome, la vera arte intristisce.

La malattia borghese fa gli uomini tutti simili gli uni agli altri, togliendo e perseguitando le singolarità; distribuisce i lumi e le qualità buone, non accresce la massa, ma la separa, affinché, ridotta in piccole proporzioni, fa piccolo effetto.

Non c’è dubbio che i progressi della ragione borghese producono la barbarie; un popolo eccessivamente “illuminato” dai principi borghesi – AVARIZIA, LUSSURIA, IGNAVIA – non diventa civilissimo, ma barbaro. Non c’è maggiore barbarie di quella che l’uomo ben pensante riconosce presso le chincaglierie delle case ove sovrasta lo spirito borghese, quando la femminile frivolezza e il sentimento di imitazione fanno ritornare uomini e donne alle farse scimmiesche delle primitive foreste. Infatti, la più grande nemica della barbarie, come dice Leopardi, non è la ragione, ma la natura. Certo, nessuno chiamerà “barbari” i romani che combatterono i cartaginesi, né i greci alle Termopili, benché quel tempo fosse pieno di ardentissime illusioni e privo di ragionamenti. Le illusioni, in natura, sono inerenti al sistema del mondo. La ragione è un bene. La natura vuole essere illuminata dalla ragione, non incendiata. L’errore borghese è precisamente quello di voler dare forme schematiche alle illusioni, nella speranza di generalizzarle e farne oggetto di uso comune, come la moda femminile o le frasi abituali. Questa meccanizzazione dei sogni, come il mercato della bellezza e lo sfarzo dei negozi di oggetti inutili, fa sparire del tutto le illusioni dal mondo.

Quando a Roma lo spirito borghese cominciò a diffondersi tra i gerarchi, non c’erano più le illusioni di una volta: era venuta la ragione. Non importava nulla la patria, la gloria, il vantaggio degli altri e dei posteri. Allora i romani divennero egoisti; pesavano il proprio utile; consideravano quello che nel caso poteva succedere; non avevano più ardore, impeto, grandezza di animo; l’esempio dei maggiori era una frivolezza in quei tempi; così essi perderono la libertà, crebbe la lussuria e l’ignavia e, poco tempo dopo, con tanta più filosofia, libri, scienza, esperienza, storia, erano barbari.

Questo è il periodo romano, di Roma imbastardita dagli ebrei; è questa la Roma che molte volte gli storici imborghesiti citano ad esempio di grandezza romana.

Ma Leopardi è di altro avviso. Leopardi pensa che la ragione, facendoci amici dell’utile proprio e togliendoci le illusioni che ci legano gli uni agli altri, scioglie la società e inferocisce le persone. Leopardi non aveva cappa, né spada d’onore.


4.

I latini con le piume sul cappello non furono più latini, poiché, una volta imborghesiti, divennero stupidi. Latini erano Tito, Livio, Cesare, Cicerone, Tacito, Svetonio, Virgilio, Ovidio, Tibullo e Catullo. Anche Dante è latino. Sentire e vivere latinamente significa: 1) sdegno per la piccineria; 2) antipatia per chi si ritrae dalla lotta; 3) disprezzo e orrore per le sciagurate anime di coloro che non sono né vivi, né morti.

È assai opportuno ricordare il disprezzo di Dante per il capo democratico Pier Soderini, che, invece di difendere la costituzione della Repubblica, si lasciò spodestare dai Medici per far la figura dell’uomo legale e bonario. Dante spinse il borghese gerarca fiorentino non nell’Inferno, nel Purgatorio o nel Paradiso, ma nel Limbo degli inconsapevoli. E Prezzolini, discorrendo di Macchiavelli, osservava giustamente che la sua vera patria era Roma e che i suoi veri concittadini erano i romani. Macchiavelli li vedeva grandi, più forti, più sani, più virtuosi dei fiorentini, dei francesi, degli spagnoli; li vedeva più alti, più vegeti, più gagliardi. Traversavano i fiumi gelati. Portavano pesi. Facevano la guerra. E tutto seriamente. Erano romani, prima che la borghesia diventasse strumento di distruzione della civiltà al pari dell’ebraismo. E furono romani fino al tempo dei Gracchi.

Anche a Leopardi piacevano questi romani. Prezzolini, scrivendo di Macchiavelli, li vide come gente decisa e spicciativa: a casi gravi, opponevano cose gravi; ai nuovi accidenti, nuovi partiti. Tutto mettevano sotto i piedi per la patria, anche la cortesia, la quale non è il sentimento di umanità dell’uomo forte verso l’uomo debole, del vincitore verso il vinto, ma è la sorella dell’effeminatezza e del torpore.

C’è una differenza tra cortesia inglese e cortesia francese, secondo Leopardi: l’Inghilterra ha abbastanza amenità e fecondità di immaginazione senza avere l’inclinazione all’ozio o all’inerte voluttà, la mollezza, la vile corruzione sibaritica francese. E si può dire che la cortesia inglese è di origine romana, forse derivante da Giulio Cesare, forse importata dai guerrieri normanni ammaestrati dalla cortesia romana nella nostra Italia, là dove la Sila conserva i ricordi della prima gente.

Poco importa se qualcuno pensa che le nazioni imborghesite possono dirsi civili, perché non somigliano ad altri popoli barbari. Sembrano civili i francesi moderni, perché non somigliano agli africani? Leopardi dice che varie sorte di barbarie si trovano nel mondo, laddove la natura è una sola. Perché la natura ha leggi immutabili e fisse, ma la corruttela varia infinitamente secondo le cagioni e le circostanze, vale a dire i costumi, le opinioni, i climi, i caratteri nazionali.

Non è facile distinguere immediatamente tra “civile” e “sociale”, ma con un po’ di attenzione si comprende che l’uomo civile è più vicino alla natura che l’uomo sociale. La società è corruzione della natura. Attraverso un processo di tempo e di circostanze, l’uomo deve cercare di ravvicinarsi a quella natura dalla quale si è allontanato. Quindi appare chiaro che la civiltà è un ravvicinamento alla natura; e lo spirito borghese è antinaturale per eccellenza.
Non vi è dubbio che i vinti dalla malattia borghese siano nell’impossibilità di recuperare lo stato primitivo e naturale; quindi bisogna escludere gli irreducibili borghesi da ogni attività nazionale se si vuole salvare la nazione, la civiltà. Allontanare gli ebrei e tenersi in casa i borghesi è come se, in una legione di traditori, fossero imprigionati i sergenti e si affidasse il comando ai caporali.


5.

Quando si parla e si scrive di ebraismo, s’intende parlare e scrivere di spirito ebraico; parlando o scrivendo di borghesia, s’intende parlare o scrivere di spirito borghese. Il fatto è che è molto più facile riconoscere un ebreo dal suo spirito, piuttosto che dal suo atto di nascita . Anche per quanto riguarda la borghesia, lo spirito rivela ciò che lo Stato civile a volte nasconde. E questo lo dico con speciale riferimento a quei razzisti arrabbiati che spulciano atti di nascita allo scopo di fingere di non vedere il vero maleficio sociale: lo spirito ebraico.

L’amore dell’oro, in sintesi, è la caratteristica principale degli ebrei. La vanità stupida è la nota dominante dei borghesi. Il comune denominatore, ossia il fermento comune, è la superstizione sotto forma di metafisica. E io credo che questa metafisica, comune ad ebrei e borghesi, sia di origine religiosa.

Superstizione vuole quindi dire ignoranza, ma due sono le ignoranze: una aperta, chiara, materiale, senza misteri, ossia quella del paganesimo, e l’altra lugubre, cupa, oscura, ossia quella dei libri astratti, sacri ai mercanti sedentari. Aggiuntasi alla malvagità degli uomini la superstizione ebraica e lo spirito cupo di quella gente, il vizio prese il carattere di metafisica; cosa ben diversa dagli antichi vizi, che generalmente erano più naturali, benché gravi e dannosi.

La nascita dello spirito borghese coincide tuttavia con la nascita della barbarie tenebrosa. La malvagità divenne scellerataggine profonda. Scomparve la libertà degli uomini, poiché tale libertà consiste nel far risorgere l’antica e unica libertà del tempo di Adamo. Le moderne massime liberali non sono inventate, né moderne, ma rappresentano la barbarie borghese, in cui inevitabilmente vanno a cadere i tempi civili delle società democratiche. È per questo che gli Stati imborghesiti (democratici ebraicizzati), dove la frivolezza e il parassitismo invadono le più intime fibre dell’anima popolare, sembrano, agli occhi nostri, l’espressione più genuina della barbarie.

Ciò appare ancora più chiaro considerando che, tra i tanti orpelli della borghesia, c’è il mistico paludamento orientale, che, agli oziosi e agli approfittatori, permette di nascondere tutti i peccati commessi contro Dio, contro la patria e contro gli uomini.


Di Piero Pellicano

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