«La grande razzia». Come la borsa ebraica ha portato al crollo dell’Impero tedesco. Di Otto Bangert

Il presente scritto, estratto da un’opera dell’intellettuale tedesco Otto Bangert del 1927 dal titolo Oro o sangue. La via di uscita dal caos, mostra il ruolo che la Borsa e l’alta finanza ebraica, durante il periodo della Grande guerra e anche dopo, ebbero nella caduta dell’impero tedesco (1871-1918). Le parole di Bangert – la cui importanza storica è indiscutibile – rappresentano a tutti gli effetti il pensiero generale del popolo tedesco dell’epoca, con tutte le sue ragioni e contraddizioni, ma sempre coerente e leale anche nella sconfitta. Buona lettura!

Nelle democrazie occidentali, la dittatura dell’oro ebraico sull’economia e sullo Stato era quasi completa già prima della Guerra mondiale. La plutocrazia ebraica governava da molto tempo dietro le quinte parlamentari. A parte la Russia, nonché alcuni Stati di seconda e terza categoria, solo in Germania esisteva un potente Stato nazionale capace non soltanto di resistere ai desideri dittatoriali del capitale finanziario ebraico, ma sotto la cui protezione permetteva a una fiorente economia nazionale di affermarsi ancora in modo relativamente indipendente.

Fare di questa fiorente economia nazionale una provincia di sfruttamento del capitale finanziario internazionale divenne quindi l’idea alla base di tutte le ulteriori aspirazioni della Borsa ebraica. Per realizzarla, l’alta finanza ebraica ideò un piano tanto grandioso quanto criminale. Lo Stato tedesco, che proteggeva la propria economia dagli artigli della finanza ebraica, doveva cadere per rendere possibile la grande razzia. Una simile caduta, però, non poteva che essere causata da una rivoluzione o da una schiacciante sconfitta in guerra. L’ebreo, valutando correttamente il potere di resistenza dello Stato tedesco, si adoperò allo stesso tempo per entrambe le cose.

Cominciò a rivoluzionare la Germania secondo i piani. Fu lui a far avanzare le idee liberali e democratiche nel popolo tedesco, scatenando così tendenze destinate a portare alla dissoluzione dell’essenza nordica e, infine, dello Stato tedesco. Da tempo anche nel panorama tedesco, con i suoi villaggi e le sue cittadine, erano venuti a depositarsi gli inorganici cumuli di pietra delle metropoli, e lì si era formata un’umanità di infima razza che aveva perso il legame con la pura fonte del sangue nordico. Sopra il contadinato e la borghesia del Medioevo si era ammassata un’intellighenzia esangue, un proletariato senza razza. Qua, le tendenze rivoluzionarie furono rafforzate dagli impulsi di un sangue già corrotto; qui, lo spirito di eterna negazione, l’ebreo, issò la bandiera rossa della rivoluzione contro i sacri legami del sangue nordico.

Ovunque, nella scienza, nelle arti, nella religione e nella filosofia, l’ebraismo era impegnato nella decomposizione del nordico, nella dissoluzione della forma, nella svalutazione di tutti i valori. Emersero aspirazioni nichiliste che confusero le menti. Lo spiritismo e la teosofia falsificarono la religione, mentre le caricature e i balbettii espressionisti stravolsero l’arte. La scienza si perse completamente nelle questioni più banali e divenne una specie di passatempo per intellettuali, il diritto si ossificò in una saggezza mummificata e la filosofia costruì una vera e propria babele di concetti astratti, cui tutti i popoli e culture dovevano dare il loro contributo. Ogni visione organica del mondo fu così oscurata, e la vita stessa divenne problematica a causa della comparsa di nuove forze artificiali ed ostili alla vita, come il vegetarianismo (che è fondamentalmente un atteggiamento pacifista), l’emancipazione femminile e così via. L’ebreo, comunque, continuava ad essere l’elemento demoniaco trainante, la forza rivoluzionaria che fomentava la dissoluzione e la confusione. Sono stati gli ebrei a spingere il movimento delle donne in un terreno decisamente democratico, e sono stati gli ebrei ad impadronirsi del movimento giovanile tedesco – genuinamente nordico – e ad ammorbarlo con tendenze anarchiche, al fine di avvelenare alla radice anche questa potente forza. In tutti questi movimenti intellettualistici e materialisti emancipati, si manifestava tuttavia una forza essenzialmente unitaria, ovvero la volontà rivoluzionaria ebraica di distruzione del mondo nordico. L’ebreo riassunse tutte le correnti nichilistiche, conducendole insieme verso un attacco cosciente e coerente alle forme storiche. E così, demoralizzando e disorganizzando completamente il Volkstum tedesco (ossia l’anima tedesca del popolo), costui spinse allo stesso tempo i partiti politici nella guerra interna contro la costruzione del Reich tedesco, verso il quale – al contempo – stava già preparando la guerra esterna. In parlamento e nell’ebraicizzata stampa democratica delle grandi città, come il Berliner Tageblatt e la Frankfurter Zeitung, un diluvio infernale di critiche odiose e derisorie si riversò su tutte le istituzioni e i legami dello Stato tedesco, critiche che lentamente, ma con mortale precisione, minarono e consumarono le fondamenta della creazione di Bismarck. Questo “minamento rivoluzionario” era diretto soprattutto contro le fondamenta dello Stato prussiano, che, con il suo esercito e il suo corpo di funzionari, continuava ad offrire un’immagine magnificamente coesa di socialismo nordico. Proprio nel cuore dell’Europa capitalista si trovava l’archetipo di quello Stato che Federico l’Unico [Friedrich der Einzige, ossia Federico II di Prussia] aveva difeso in passato contro un mondo di nemici, il solo meritevole del nome di Volksstaat.

Questo prussianesimo, che nella sua essenza più profonda era socialismo, era perseguitato dall’ebreo e dal suo odio più estremo, giacché ne ostacolava le aspirazioni di rocher de bronze. Il movimento borghese, liberale e democratico, aveva fallito contro questa roccia al tempo del conflitto costituzionale; evidentemente non possedeva la grande forza rivoluzionaria per sconfiggerlo. Una tale forza rivoluzionaria risiedeva unicamente nel movimento operaio marxista, che dall’ebraismo era organizzato politicamente nella socialdemocrazia tedesca. Certo, il nome stesso di questo partito è di per sé un’assurdità, poiché la democrazia è sempre capitalista e mai sociale. L’operaio tedesco, però, non lo capiva. Marciava imperterrito nella densa foschia di frasi marxiste, combattendo per la democrazia del capitale ebraico contro il militarismo prussiano, il suo unico e migliore amico! E, minando così il muro di granito che da solo lo proteggeva dal capitalismo internazionale, si è scavato la propria fossa.

Tutte le frasi stantie della rivoluzione borghese del 1789 furono somministrate alle grandi masse operaie tedesche nella soluzione concentrata del marxismo, e le folli dottrine della libertà dell’individuo, dell’uguaglianza di tutti gli uomini, di tutti i popoli e razze, unitamente alla follia di una pace eterna, celebrarono ancora una volta la loro resurrezione nelle teste dei proletari tedeschi. La devastazione provocata dal veleno marxista concentrato in queste povere teste fu tale che non si insospettirono minimamente quando gli ebrei della Borsa apparvero ovunque come capi del movimento operaio tedesco. Ma dove gli ebrei non comandavano, vi erano schiavi pagati da costoro, mascalzoni senza convinzioni che vendevano i lavoratori tedeschi al capitalismo ebraico per trenta denari. Le stesse masse operaie non si accorsero del gioco diabolico ai loro danni; con L’Internazionale sulle labbra, andarono ignare verso la loro rovina.

Quando, all’inizio del XX secolo, le fatidiche nubi politiche si ammassarono sempre più minacciosamente sull’Europa, la socialdemocrazia tedesca era già diventata una potenza così schiacciante che la Borsa ebraica poteva legittimamente sperare che questo partito, in caso di guerra, avrebbe spezzato sul nascere ogni resistenza tedesca – seppur solo attraverso una resistenza passiva.

Nonostante tutti i colpi interni alla sua struttura, lo Stato tedesco continuava ad essere abbastanza forte da resistere ad un’eventuale rivoluzione tentata dalla socialdemocrazia. Pertanto, il Reich tedesco doveva essere abbattuto ricorrendo ad una guerra di vasta portata. Preparare e innescare tale conflitto fu il secondo compito della Borsa ebraica. L’ebreo, con la sua potente stampa mondiale e la massoneria internazionale, riuscì quindi ingegnosamente a incitare sempre più l’opinione pubblica di tutti i paesi contro il militarismo tedesco, contro la “disturbatrice della pace” dell’Europa, contrapponendo il progresso e l’umanismo dell’Occidente alla “barbarie” tedesca. Seppe far degenerare abilmente le contrapposizioni politiche in pericolose tensioni che prima o poi sarebbero scoppiate. La sua magistrale diplomazia riuscì a incanalare concentricamente contro la Germania il panslavismo russo, il revanscismo francese, l’irredentismo italiano e gli interessi commerciali britannici, finché non si strinse il minaccioso cappio dell’Intesa. E mentre in Germania la stampa ebraica diffondeva un generale rammollimento pacifista (procedendo così al disarmo morale), in Francia, in Russia e in Inghilterra, in Italia e nei Balcani, si incitava alla guerra contro il militarismo tedesco, che minacciava la pace del mondo, la “pace eterna”.

Così, la Borsa ebraica lavorò dall’interno e dall’esterno per distruggere l’ultimo Stato nazionale e indipendente sulla terra. Dopo aver sufficientemente corroso, attraverso il marxismo, questo Stato all’interno, condusse i popoli di mezzo mondo contro il suo tessuto martoriato e minato.

Ma le mura resistettero, e coloro che le avevano appena minate erano divenuti, come per magia, i suoi difensori sacrificali. Le menzogne del marxismo furono mostrate, si dissolsero nelle menti le parole d’ordine ebraiche, e in un grande tumulto di passione nazionale nacque nelle masse sedotte dei lavoratori il vero “socialismo del sangue”. Gli operai tedeschi si unirono ai compagni di sangue di tutti i ceti nel fronte grigio e sanguinante del socialismo nazionale, l’unico vero socialismo in questo mondo in lotta.

Quindi, poiché questo fronte aveva resistito incrollabilmente e con un ineguagliabile eroismo al tremendo assalto, l’ebraismo tornò a distruggere lo Stato tedesco all’interno. Dopo che i traditori marxisti degli operai, di primo acchito spaventati per la rivolta nazionalista della comunità tedesca dei lavoratori, finsero probità nazionale e impegno nella difesa della nazione, diedero nuovamente avvio, dietro il sicuro riparo della tregue interna, alla loro perfida opera di distruzione, dapprima con molta prudenza, poi ben presto con crescente sfrontatezza. Secondo i piani, la patria, che soffriva pesantemente a causa del blocco dei viveri, venne demoralizzata da una propaganda pacifista. Allevato nelle fabbriche, lo spirito disfattista si propagò in circoli sempre più vasti, conquistò le truppe di riserva nelle guarnigioni, che lo portarono nelle retrovie e, infine, pervase altresì l’esercito combattente. Allo stesso tempo, tuttavia, poiché la socialdemocrazia aveva fallito come potenza rivoluzionaria, si scatenò un movimento politico radicale, lo “spartachismo”, attraverso cui la Borsa ebraica creò una nuova forza composta dalla più vile marmaglia, per lo più disertori e galeotti.

Tuttavia, troppo vigliacchi per un atto veramente rivoluzionario, i furfanti ebrei non osarono realizzare i loro piani criminosi prima che la Germania imperiale non fosse collassata da sé, a causa della sua debolezza interna. Poi, infine, i criminali di novembre trovarono l’infelice coraggio di affondare il pugnale marxista nella schiena del socialismo tedesco, proprio quando la guerra era in bilico. Colpito a morte da questo infido pugnale, l’esercito tedesco crollò e con esso ogni resistenza. Il destino dello Stato tedesco, del popolo tedesco, del lavoro creativo tedesco, fu così segnato. Il militarismo prussiano, ossia il vero Stato, venne sostituito da una finta democrazia parlamentare di tipo occidentale, dietro la quale fu eretta la brutale dittatura dell’alta finanza ebraica. L’ultima roccaforte della libertà nazionale e della giustizia sociale era dunque nelle mani del capitalismo mondiale ebraico. L’era messianica del popolo eletto stava per iniziare.

La Germania nordica aveva cessate di essere. Infatti, ciò che il nemico trionfante ha consentito ancora di esistere sotto il nome canzonatorio di “Reich tedesco”, non è uno Stato indipendente, bensì una colonia, una provincia di sfruttamento da parte del capitale mondiale ebraico. Disordinato e indifeso, il popolo tedesco giace ai piedi dell’idolo Mammona, per servirlo in eterno. Il capitale d’impresa, da tempo reso mobile dall’ebreo attraverso i titoli azionari, è inestricabilmente imbrigliato nella schiavitù ebraica dell’interesse, ricevendo così la ricompensa per le sue tendenze liberali e antisociali. Anche i lavoratori manuali sono sprofondati nella miseria più nera e nella schiavitù più profonda, pagando così le giuste conseguenze della loro lotta di classe, che ha consegnato lo Stato nazionale e l’economia nazionale al nemico mortale del lavoro creativo. I partiti politici guidati dagli ebrei, peraltro, fanno in modo che sia impossibile un fronte comune della Germania creativa contro il famelico oro ebraico. Irrimediabilmente frammentato e quindi impotente, il popolo tedesco deve portare le catene che si è forgiato da solo. E mentre ampi settori del popolo, stremati dagli orrori e dalle privazioni della guerra e dal tracollo, dall’inflazione, sono già diventati ottusamente servi, come animali abituati al giogo, la feccia del popolo è aumentata ovunque, perché la strada è libera per i “capaci”, anzi, per tutti i mascalzoni e i delinquenti. Questi elementi inferiori, di solito tipi meticci con facce abbattute e smunte da volpe, si sono infiltrati in tutte le cariche pubbliche, fino alla più piccola organizzazione comunale. Qui servono il sistema ebraico-capitalista come ancelle e protettori della più brutale oppressione, in cambio del permesso di raccogliere avidamente le briciole che cadono dalla tavola dorata del padrone ebreo.

E come è in Germania, così è in tutta l’Europa e nel mondo intero. Ovunque, il capitale d’impresa nazionale è inghiottito dall’alta finanza ebraica e trasferito nell’economia mondiale capitalista, ossia nella schiavitù dell’oro. Gli Stati nazionali sono già scomparsi o sono in via di dissoluzione ovunque, e già l’ebraismo proclama gli “Stati Uniti d’Europa”, di cui la cosiddetta Società delle Nazioni può essere considerata la cellula germinale. Inoltre, l’ebraismo sostiene già l’uguaglianza dei diritti della razza nera, la cui mescolanza con la razza bianca è lodata come l’ultima vetta dell’umanità; in Francia e negli Stati Uniti, questo sviluppo verso un caos dei popoli, voluto dall’ebraismo, è già chiaramente in atto. L’impero messianico mondiale di Giuda è vicino al compimento.

La ragione mondiale ebraica, il cui antico travestimento religioso non sembra più appropriato, si è data da tempo una nuova veste “illuminata”; nascosta nell’organizzazione ampiamente ramificata della massoneria internazionale, essa – proprio come l’alta finanza – abbraccia tutta la terra. Velata da cerimonie mistiche e tenuta lontano dalla gente grazie a porte ben chiuse, era nata una cospirazione segreta che ha influenzato, anzi, determinato sempre più tutta la politica internazionale. Quasi tutte le persone pubbliche di una certa importanza appartengono alle logge massoniche, dove servono – consapevolmente o meno – la stella di David dell’ebreo. Sotto il motto dell’umanismo e del progresso liberale, l’ebreo ha saputo accecare e legare spiritualmente l’intelligenza nazionale dei popoli; ha saputo – come fece un tempo l’ordine dei Gesuiti – cancellare in essi l’essenza nazionale e trasformarli in cosmopoliti senza carattere. In un sentimento senza speranza di umanismo, accolgono ora l’idea di una repubblica mondiale democratica, un sogno irrealizzabile che naturalmente ha un significato reale solamente per le menti ebraiche che vi stanno dietro. Mentre i massoni propagano fra gli istruiti l’idea della repubblica mondiale ebraica, i cosiddetti “seri studiosi della Bibbia” – finanziati dalla Borsa ebraica – predicano il messianico regno mondiale di Giuda tra la gente comune, che ha perso il gusto della politica e che, per la miseria interiore ed esteriore dell’esistenza, torna ad avvicinarsi alla religione. Qui le promesse messianiche vengono proclamate nella loro antica forma biblica e l’inferno del mondo capitalista verso cui ci stiamo dirigendo è profetizzato ai poveri di spirito come il regno di Dio sulla terra. Così, l’ebreo ha posto la giusta rete per tutti.

In mezzo alla cultura occidentale che affonda lentamente, che da terreno fertile comincia a trasformarsi in un grande deserto desolato, si staglia l’idolo del vitello d’oro, intorno al quale – come millenni fa – l’umanità più depravata della terra esegue la sua desertica danza in cerchio.

La questione del destino si leva minacciosa. L’occidente si renderà conto della ragione più profonda del suo terribile declino?


Di Otto Bangert

3 commenti

  • Grazie per aver colmato una lacuna gigantesca… E pensare che alcuni sono convinti ancora che la cosiddetta ‘pugnalata alla schiena’ sia un complotto… Le parole di Bangert sono verità in un mare di tenebre…

  • Consiglio vivamente il libro di Otto Bangert, grande intellettuale, militante della prima ora e seguace del cristianesimo positivo. Il libro “Oro o sangue” è un vero gioiello, seppur poco conosciuto. Benché scritto nel 1927, é di una attualità sconcertante… Leggetelo, fidatevi.

    • Appena finito di leggere proprio ora l’opera completa del 1927. Libro straordinario. Da leggere e rileggere con calma e attenzione, e meditare… Molto affascinante la parte sul Cristo ariano e il capitolo dedicato all’imperialismo ebraico. Spero che in futuro verranno tradotte in italiano altre opere di Otto Bangert, perché è davvero un grande autore, forse ancora troppo sottovalutato. Libro per militanti.

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