Olocausto, arma del potere. Come l’ebraismo utilizza la Shoah per scopi politici, morali ed economici

Contrariamente a quanto si possa pensare oggi, l’Olocausto non rappresenta più un’immane tragedia, ma è divenuto un vero e proprio dogma, una “religione” che non permette critiche e alimenta la supremazia ebraica

Col presente articolo, non vogliamo certo mettere in dubbio la veridicità indiscutibile dell’Olocausto, né proporre una nuova e ridicola interpretazione “revisionista” di esso, né tantomeno discutere sull’autenticità delle tesi negazioniste, che – come ben sappiamo – in Italia (e in molti altri paesi europei) rappresentano da anni un vero e proprio illecito (Legge n. 115 del 2016). Ciò che ci preme realmente, dunque, è mostrare come l’Olocausto – in poco più di cinquant’anni – sia divenuto – come ha dichiarato coraggiosamente il professor Claudio Moffa – «un’arma ideologica indispensabile», grazie alla quale Israele «ha acquistato lo status di vittima», da cui «derivano dividendi considerevoli, in particolare l’immunità alle critiche», ma non solo.

Le origini di questo «dogma» (come l’ha definito Moffa), vanno rintracciate – secondo il politologo ebreo Norman Finkelstein – negli Stati Uniti, e non in Israele. Dopo la Seconda guerra mondiale – spiega Finkelstein – lo sterminio degli ebrei fra i sionisti americani «era un argomento tabù» e «le principali organizzazioni ebraiche avevano minimizzato l’importanza dell’Olocausto nazista per conformarsi alle priorità della Guerra Fredda dettate dal governo americano». Non soltanto «gli americani in generale, ma anche gli ebrei americani, intellettuali compresi, prestarono poca attenzione all’Olocausto nazista». Inoltre, «tra la fine della Seconda guerra mondiale e quella degli anni ’60, solo un esiguo numero di libri e di film toccò l’argomento, e in tutti gli Stati Uniti si teneva un unico corso universitario espressamente dedicato ad esso», mentre in Israele – spiega l’accademico ebreo Yakov Rabkin, «i sopravvissuti che arrivavano […] dopo la Shoah incontravano disprezzo, addirittura ostilità».

Ma – prosegue Finkelstein – «con la guerra arabo-israeliana del giugno 1967 tutto cambiò». Con l’obiettivo di relegare l’ebreo a vittima eterna, l’élite israeliana – con il supporto diretto degli Stati Uniti – innalzò l’Olocausto a dogma universale. «Fu qualcosa di studiato a tavolino», spiega Finkelstein. «Prima di allora» – prosegue il politologo – «l’Olocausto non aveva avuto quella rilevanza simbolica imprescindibile come ha avuto in seguito. […] Prima di quella svolta che ne ha cambiato la portata e il senso, la Shoah era un fatto, tragico e spaventoso, di una guerra costellata di carneficine in una storia umana che di genocidi e persecuzioni etniche non è mai stata avara. Dopo i conflitti israelo-palestinesi degli anni ’60 e ’70, grazie a un apparato mediatico e culturale orientato politicamente, l’Olocausto è nato come impresa politico-commerciale di matrice statunitense mirata sia a influenzare l’opinione pubblica mondiale per favorire la causa israeliana nel conflitto, sia ad appropriarsi della gestione dei risarcimenti [economici]».

In breve – prosegue Finkelstein – l’Olocausto divenne una «costruzione intrinsecamente coerente, i cui dogmi cardine sono alla base di rilevanti interessi politici e di classe. Per meglio dire, l’Olocausto ha dimostrato di essere un’arma ideologica indispensabile grazie alla quale una delle più formidabili potenze militari del mondo, con una fedina terrificante quanto a rispetto dei diritti umani, ha acquisito lo status di “vittima” […]. Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l’immunità alle critiche».

Dello stesso parere è lo scrittore israeliano Amos Oz, che, con parole rare e sincere, ha dichiarato: «Le nostre sofferenze ci hanno procurato delle indulgenze, una sorta di carta bianca morale. Dopo tutto quello che questi sporchi goym [i non ebrei] ci hanno fatto, nessuno di loro ha il diritto di venire a insegnarci la morale. Noi, d’altra parte, abbiamo carta bianca perché siamo stati vittime e abbiamo sofferto così tanto! Una volta vittima, si è sempre vittima, e questo stato di vittima procura a chi lo porta una esenzione morale».

Anche per il giornalista israeliano Boas Evron, l’Olocausto nasconde aspetti oscuri. «L’informazione sull’Olocausto» dichiara Evron, rappresenta in realtà una vera e propria «operazione d’indottrinamento e di propaganda, un ribollio di slogan e una falsa visione del mondo, il cui vero intendimento non è affatto la comprensione del passato, ma la manipolazione del presente». Pertanto, spiega Evron, l’olocausto non è altro che «un potente strumento nelle mani della dirigenza israeliana e degli ebrei della diaspora». In maniera analoga, l’accademico ebreo Moshe Zimmerman, noto per la sua obiettività storica, ha ribadito: «La Shoah è uno strumento molto utilizzato. In modo cinico, si può dire che la Shoah è uno degli argomenti che meglio si presta a manipolare il pubblico, in particolare il popolo ebraico, in Israele e al suo esterno. Nella politica israeliana, dalla Shoah si trae la lezione che un ebreo senz’armi conta quanto un ebreo morto».


Unicità della Shoah

Ma non è tutto. Come ha spiegato l’ebreo Jacob Neusner, «la prima e più importante convinzione che emerse dal conflitto del 1967 e che divenne l’emblema dell’ebraismo americano», fu che l’Olocausto «era qualcosa di unico, senza paragoni nella storia umana». Non a caso – rammenta lo storico americano Peter Baldwin – «l’unicità dell’Olocausto serve a Israele come alibi. La singolarità della sofferenza degli ebrei aumenta le rivendicazioni morali ed emotive che Israele può avanzare […] nei confronti di altre nazioni». Di conseguenza, secondo il sociologo ebreo Nathan Glazer, l’Olocausto, che ha messo in evidenza il «tratto distintivo peculiare degli ebrei», ha dato loro «il diritto di considerarsi particolarmente minacciati e particolarmente meritevoli di ogni sforzo possibile per la loro salvezza». In ultima analisi – spiega Finkelstein – «la loro sofferenza fu unica perché loro stessi sono unici».

Nel frattempo – riporta Rabkin – i sionisti si impegnarono a stabilire «un legame diretto fra la Shoah, evento di distruzione estrema, e lo Stato di Israele, presentato come la rinascita dopo la distruzione della Shoah». Venne così introdotto nello Stato ebraico lo Yom Ha-Shoah (“Giornata del ricordo dell’Olocausto“) «come giorno ufficiale di commemorazione della tragedia», con l’obiettivo – conclude Rabkin – di «incoraggiare nelle reclute [militari] il sentimento di appartenenza al popolo ebraico e la lealtà verso lo Stato». Negli Stati Uniti, invece, vennero introdotte dal governo – su pressione delle organizzazioni militanti sioniste – le “Giornate del ricordo delle vittime dell’Olocausto“; in Italia, venne inaugurato il “Giorno della Memoria“, mentre in Germania venne istituita la “Giornata della memoria delle vittime del nazionalsocialismo“. Lo stesso avvenne in quasi tutti gli altri paesi europei.


La tesi di Shamir

Trattando dei lati occulti dell’Olocausto, non possiamo però non menzionare il giornalista ebreo (oggi convertito al cristianesimo) Israel Adam Shamir, noto per essere uno degli intellettuali più coraggiosi e polemici dell’epoca attuale. Secondo Shamir, l’Olocausto «ha ben poco a che fare con la Seconda guerra mondiale e le sue atrocità. Ha invece tutto a che vedere con la pretesa ebraica di superiorità ed esclusività [razziale]». Per Shamir, l’Olocausto – divenuto dogma – rappresenta dunque la supremazia ebraica. Pertanto, negarlo significa negare in toto la supremazia di Yahweh. «C’è una preghiera ebraica che così recita: “Sii benedetto, o Signore, per avermi creato ebreo, per aver distinto gli ebrei dalle genti della terra, come hai distinto il Sacro dal Profano, per aver separato il nostro destino dal loro“», ha dichiarato Shamir. «Il concetto dell’Olocausto è solo un’altra forma di preghiera. Stabilisce che perfino la morte di un ebreo è differente dalla morte di chiunque altro. […] Coloro che sono impegnati nell’imposizione della legge dell’Olocausto vogliono che tutti noi ci inchiniamo all’idolo della superiorità ebraica, oppure che ci prepariamo a pagarne il prezzo! Certo non metteranno mai in prigione Deborah Lipstadt per aver negato l’Olocausto di Dresda, o Guenter Lewy per aver scritto un lungo saggio intitolato Gli indiani d’America furono vittime di un genocidio?, che nega il genocidio dei nativi americani. Gli ebrei hanno prodotto e pubblicato questi due scritti […] per enfatizzare la differenza tra un goym [ossia un non ebreo] ed un ebreo. Vogliono che si tenga ben presente che si possono profanare l’Islam e il cristianesimo, ma non il giudaismo. Si può sminuire la sofferenza di chiunque, ma non quella degli ebrei».


Resistenza eterna

Samuel Mandel, giovane ebreo convertito al cristianesimo, col quale avevamo già conversato in occasione dell’inchiesta sul potere ebraico in Europa, ci ha inoltre parlato, in relazione al “dogma olocaustico”, di «resistenza eterna». Secondo Mandel, gli ebrei, in sostanza, «mantengono aperta la ferita della Shoah per giustificare le proprie nefandezze, conservare lo status di vittime e mantenere sempre viva una costante resistenza al fascismo e all’antisemitismo, malgrado essi siano praticamente inesistenti. Da qui, nasce la resistenza eterna, che in pratica combatte uno spauracchio, ma serve ad Israele e agli ebrei della diaspora per mantenere costante la lotta antifascista al fine di rimanere eterne vittime e rammentare continuamente la tragedia della Shoah». «Noi abbiamo subito l’Olocausto: siamo vittime», rivelò un giorno un vecchio ebreo di Roma a Mandel. «Mantenendo lo status di vittime, abbiamo il diritto e il dovere di esplicare, in quanto vittime eterne, l’attività della resistenza eterna. Non vogliamo altri nazisti e antisemiti. La resistenza eterna, che nasce direttamente dalla tragedia dell’Olocausto, deve essere il nostro compito principale».

Come dimostra l’inchiesta sopra citata, questa «resistenza eterna» è stata adottata a livello istituzionale in tutta Europa sia in ottica nazionale che sovranazionale. Pertanto – spiega Mandel, «oggi le vittime sono divenute, come auspicava il conte Kalergi nella famigerata opera Idealismo pratico, la “nobiltà d’Europa“, e l’Olocausto – fino a prova contraria – è ormai il simbolo del potere ebraico, protetto – in ogni sua forma – dalla cosiddetta resistenza eterna».


Considerazioni finali

Per concludere, possiamo asserire con assoluta certezza che, come ha dichiarato il professor Moffa, «il cosiddetto Olocausto è un dogma ossessivamente ripetuto in tutti i suoi intoccabili e sacri tasselli», che «porta Israele ad assumere un potere di condizionamento su quasi tutte le potenze e i poteri forti del pianeta». Di conseguenza, Shamir giunge ad una soluzione tanto radicale quanto estrema, seppur coerente con la sua formazione politica antigiudaica. «Dobbiamo negare il concetto di Olocausto senza dubbi ed esitazioni, anche se tutte le storie dell’Olocausto, fino alla versione più assurda, quella di Wiesel, fossero assolutamente vere», ha dichiarato con coraggio l’intellettuale. «Ne consegue che le discussioni tecniche sulla mortalità ebraica sono perfettamente legittime, ma superflue, come superflua è per un ateo la diatriba se una balena abbia potuto o meno ingoiare Giona».


Di Javier André Ziosi e Dani Lvx

5 commenti

  • Parole come dinamite! Qua non si tratta assolutamente di negare la tragedia olocaustica, come spiega Adam Shamir, ma di negare la supremazia ebraica, che oggi è rappresentata anche dalla Shoah. Articolo da leggere con attenzione per poi meditare ed eventualmente approfondire con altre letture sul tema; ‘L’industria dell’Olocausto’ di Norman Finkelstein è un buon inizio (anche se è fuori catalogo ormai da tempo, su Google si trova il pdf integrale). Per comprendere l’antisionismo di matrice ebraica, invece, consiglio ‘Una minaccia interna’ di Yakov Rabkin, anch’esso citato nel suddetto articolo di Javier André Ziosi e Dani Lvx (le cui fonti, peraltro, sono al 90% ebraiche). Aprire gli occhi sulle origini di questa “dottrina olocaustica” è un dovere per tutti, e dico tutti. Ognuno, nel suo piccolo, deve prendere coscienza da chi siamo realmente governati.

    • D’accordissimo con te. Shamir non nega la Shoah in qu6anto tragedia; la nega perché essa è divenuta una sorta di “dogma religioso inattaccabile”, che non ha più niente a che vedere con la “tragedia” degli anni 40. Per lui, negare la Shoah significa negare la supremazia ebraica. Il suo pensiero perciò non rientra nel classico negazionismo.

      • Si, il suo non è certo classico negazionismo. Anzi, io lo definirei antisionismo ultra-radicale, perché non nega la Shoah in sé, ma la supremazia ebraica che la attornia. Anni fa ho letto il suo libro, che ti consiglio vivamente: si intitola ‘Per il sangue che avete sparso’… Shamir é un personaggio unico, coraggioso e degno di nota, anche se quasi sconosciuto in Occidente.

        • Grazie, sicuramente lo acquisterò. Tornando all’articolo, mi ha fatto molto pensare anche la questione della resistenza eterna, che in pratica é antifascismo militante. In effetti, l’Europa è sempre più filo-giudaica. Le sue politiche sono rivolte a ebraicizzare l’intero continente. Leggi l’inchiesta sul potere ebraico citata nel testo, poi mi dici…

  • Grazie grazie grazie grazie

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