La Russia fra i tentacoli di Giuda. Critica antigiudaica di Aleksej Šmakov

Lo scritto che segue, pubblicato nel 1999 in Russia dall’intellettuale Alexsej Šmakov col titolo “Il governo occulto degli ebrei”, è una sorta di esposizione commentata di un’ode di Anatoly Burnakin apparsa sul giornale Novoe Vremja nel 1912, la quale mostra come gli ebrei – a detta di Šmakov si siano impossessati dell’intera nazione russa, prendendo possesso della stampa, del commercio e dell’intera cultura slava. Data l’importanza storica del presente scritto, abbiamo quindi deciso – dopo vari tentennamenti – di ripubblicarlo a titolo di studio, dando la possibilità a tutti di conoscere una realtà che, di certo, non si legge sui libri di scuola, né tantomeno sui giornali mainstream. Buona lettura!

La Russia è divenuta la “terra promessa” per gli ebrei e noi russi siamo caduti nella condizione dei cananei. Il “popolo eletto” c’afferra senza colpo ferire [per gettarci] in prigionia, ci sottrae senza difficoltà e senza lotta la nostra terra, le nostre ricchezze, il nostro credito. Ti guardi attorno, nella Russia di oggi, ed è come se leggessi il Libro di Josuè: la stessa incomprensibile rassegnazione negli assediati, la stessa trionfante insolenza dei vincitori e lo stesso fragore all’unisono con cui cadono le mura di Gerico.

Dov’è la “linea di confine”? Dov’é la “quota del 5%”? Dove stanno i limiti? Tutto dissipato come fumo sotto l’aggressività degli ebrei; di fronte allo strapotere degli ebrei, le nostre leggi e i nostri divieti si sono rivelati una vuota bizzarria cartacea. La “zona di residenza”, la “quota” e in genere le “limitazioni” prescritte agli ebrei esistono solo sulla carta, mentre in realtà tutta la Russia è in balia dei giudei; per gli ebrei è come la Palestina benedetta, destinata a Israele.

L’ebraismo si è gettato sulle ricchezze russe come una cavalletta vorace, e una “tenebra d’Egitto” ha coperto la Russia da un estremo all’altro. Il cupo Dio di Israele, il Dio dell’attività predatoria, dell’estorsione, del profitto, il Dio dell’inganno, del tradimento, del cinismo, di ogni menzogna e falsità, questo oscuro Dio della violenza, del rancore e della vendetta procede davanti al suo popolo “prediletto”, ci consegna all’esorcismo giudaico e ci infonde un sonno senza risveglio, un terrore inaudito.

«E il sole si fermò, e la luna rimase al suo posto, finché la nazione si fu vendicata dei suoi nemici», riportò Josuè. «La Russia si è bloccata». Ha allargato docilmente le braccia davanti al “Dio del signorsì”, si irrigidisce senza vita né moto; tutti gli elementi dell’organismo russo sono rimasti di stucco di fronte all’aggressione degli ebrei, sotto il tallone di Israele divenuto sfacciato. E non è davvero un’esagerazione una circonlocuzione ampollosa, ma l’amara verità della realtà russa, della verità di tutta la Russia di tutti i giorni. Oggi in Russia non c’è altra “questione” che quella “ebraica”, e non c’è altra cultura che quella del nostro asservimento da parte degli ebrei: asservimento economico, politico, spirituale, della vita quotidiana. I giudici e i profeti giudei già si muovono contro di noi; Israele schiera già i suoi condottieri e i suoi re; sono gli Azef, i Dejč, i Geršuni a giudicarci; sono i Marx, i Lassalle, i Bernstein, i Lafargue a farci profezie; sono i Rothschild, gli Hirsch, i Mendelssohn, a imperare su di noi.

È un pezzo che i giudeuzzi da comizio si sono messi a gridare: «Gli abbiamo dato Dio: vi daremo anche lo Zar!». E, di fatto, Israele è assurto al trono in Russia e continua ad allungare le sue lunghe e avide mani: sul denaro, sulla religione, sulla lingua, su tutto ciò per cui era bella, forte e ricca la nostra patria. Per questi parassiti che si intrufolano dappertutto, a che serve la “zona di residenza”, la “quota”, il divieto? «E perché seguir la legge? L’aggireremo, la legge!».

Furbi, adulatori, servili, ipocriti, si sottomettono senza colpo ferire; noi pigri, sbadati, arrendevoli, creduloni. Per vie oblique, per i cantoni di ogni falsità, gli ebrei si intrufolano nei tesori della nazione e se ne impossessano. E la natura degli slavi retrocede docilmente davanti agli incantesimi del demonio di Sion. Ah, questi incantesimi di Sion! C’è corruzione e dissolutezza, adulazione e vizio, menzogne e superbia, tutto ciò che fa potente il nemico del genere umano, tutto ciò con cui sottomette i pusillanimi, gli indecisi, i buoni, i sinceri. Il forte col servilismo, il debole con la sfrontatezza, il pusillanime con il rublo, il sognatore con la promessa, il sensuale con la lussuria: così il bellicoso Israele avanza attraverso la Russia, così sottomette gli “empi goym“.

Ed ecco i frutti dell’incanto giudaico. Il credito, il commercio, la produzione, i mestieri, le scienze, la letteratura, le arti, tutta l’economia nazionale, tutto il capitale spirituale – il corpo e la mente del popolo – stanno nella Cabala, nella corruzione, sotto l’esorcismo degli ebrei. Stanno in mano loro la borsa, le banche, i negozi, le fabbriche, le officine; in mano loro sono i giornali, i teatri, le case editrici; hanno in pugno pane e denari, giustizia e istruzione; tutto si appiccica a loro, tutto è da loro profanato!

L’ebreo, se è usuraio è un corruttore, o un traditore, o un sobillatore, o un oppressore; la sua strada è l’inganno, la rapina; la sua arma, la depravazione e il delitto. Nel commercio è un ricattatore, in borsa un avvoltoio, nel lavoro un truffatore, in politica un sovversivo e un traditore, in tribunale un falso testimone; nella stampa e nella cultura è un corruttore, un negatore, un misantropo; nelle arti, un banalizzatore, un profanatore, un meschino; nella vita quotidiana è uno sfrontato, nei rapporti umani un ruffiano, nella società è un fariseo col sorriso sulle labbra e la pietra celata in seno. Come se il Signore avesse raccolto tutta la sporcizia, tutte le cose impure, tutta la porcheria dell’universo e ne avesse fatto il “prediletto” Israele. E questa sporcizia universale si sparge sul volto della terra russa, sporca e imbratta l’anima della nazione.

L’ebraismo è per la Russia come una “brutta malattia”, che spezza le ossa e le giunture, che fiacca la volontà e i movimenti, che intossica il cervello col veleno dell’angoscia e della follia. La rivoluzione, lo sfacelo della vita quotidiana, la devastazione spirituale: tutto opera degli ebrei, suggestione ebraica.

Sta avvenendo un grande “assassinio rituale” del popolo russo, una crudele molatura del suo sangue, delle sue forze, dei suoi sentimenti, un esaurimento estremo dell’organismo della nazione. La sanguisuga parassita dell’universo si è infiltrata affondo in Russia. Essa mina la nostra compagine statale e sociale, indebolisce la nostra potenza politica ed economica, succhia le nostre energie spirituali.

L’infelice ragazzo Juščinskij [ragazzo trovato ucciso nel 1911, il quale innescò il “caso Bejlis”] è il simbolo della Russia intera, il segno del suo essere in balia dei giudei, della sua sorte cananea.

Il mio tema è l’intrusione degli ebrei nella cultura russa; la parola russa e l’idea russa prigioniere dei giudei.

Sul piano storico, questa invasione è iniziata relativamente da poco, dai tempi delle riforme liberali di Alessandro II. Gli ebrei si sono avidamente attaccati a quelle riforme e hanno ben presto occupato università, giornali e riviste. La stampa, che fino a quel momento era stata prevalentemente russa, cominciò rapidamente a passare in mano agli ebrei; i nipotini di M. Berdičevskij [uno dei primi e più influenti intellettuali ebrei russi], armatisi di diplomi, non hanno tardato a presentarsi come guide e maestri della società colta e l’hanno subito tirata fuori dalle nebbie delle astrazioni germanico-slave [per condurla] sulla via del liberalismo militante e dell’azione civilizzatrice. In cambio delle buone maniere e della lealtà nobiliare, sono così subentrati: borbottio indiavolato, piagnucolio, immancabile opposizione, spirito di malcontento e di negazione. I più influenzabili ed entusiasti furono gettati dagli ebrei ancora più in là, nel sottosuolo, nel terrorismo, nelle tenebre delle chimere rivoluzionarie.

Ma la mano pesante di Alessandro III si fece sentire, e i mormoratori ebrei lo intuirono in tempo, di soppiatto, e istigarono [odio e caos] dall’irraggiungibile Ginevra. E benché le loro trame giudaiche non avessero ancora attuazione, già i chimici ebrei facevano preparativi per la rivoluzione, mentre i sovversivi e gli arruffapopoli ginevrini stuzzicavano la fantasia degli studenti russi con chimere sanguinarie, col miraggio di un rivolgimento sociale; già i “ragni” ginevrini ricoprivano la Russia di una tela cospirativa fitta e appiccicosa, già rimbombavano le macchine tipografiche del sottosuolo, e il pathos dei proclami ebraici già eccitava la gioventù del paese. Le idee russe vennero presto escluse dal nostro quotidiano culturale [e rimpiazzate] da idee di produzione ebraica; il nobile amore per la libertà di Herzen fu sostituito dal crudele sibilo serpentino del Kahal [il Gran Sinedrio Ebraico]. Apparvero i “punzecchiatori mensili” di origine ebraica, cominciò per lunghi anni la letteratura sul “malvagio poliziotto”…

Il modo di pensare comune russo fu sottoposto ad una circoncisione completa secondo il modulo ebraico: venne su una visione intellettuale arcitriviale, la psicologia della folla idolatrata, l’immancabile libertà di pensiero, l’irreligiosità obbligatoria, lo stereotipo disperato del marcio liberalismo. Cresceva l’assalto ebraico alla stampa e alla cultura; l’infezione del giudaismo penetrò nei giornali e nelle riviste, nella pubblicistica, nella critica, nella storia della letteratura, nella poesia e nella narrativa, nella drammaturgia, nelle enciclopedie.

Verso il 1890, la parola “stampa” presentava ormai un predominio giudaico quasi totale. Ormai i Vejnberg e i Vengerov la facevano da padroni; ormai i corruttori quotidiani – i Notovič, i Lipskerov, i Propper, i Fejgin – diventavano sempre più insolenti; ormai si moltiplicavano gli Slonimskij, i Gercenštejn, gli Iollos; i Minskij e i Volynskij assediavano ormai la letteratura russa; ormai la lingua russa era infetta, le idee russe si erano snaturate; si diffondevano irreligiosità e negazione, attecchiva la grettezza; l’anima russa era soggiogata, il sogno russo si era immiserito, i cuori russi si riempivano di vendetta e di rancore; la società si contorceva nelle convulsioni dell’auto-denigrazione, il patriottismo veniva mischiato alla lordura, la dignità nazionale era bollata di infamia.

Le riviste Novosti, Novisti Dnja, Kur’er, Severnyj Vestnik facevano il loro tetro, sporco mestiere e dietro di loro veniva il gregge obbediente degli shabbes-goym, dei deficienti giudaizzanti che tappavano la bocca a chiunque osasse protestare contro il codice [di comportamento] ebraico. Era iniziata la giudaizzazione generale; si instaurò, e dura tuttora, il bon ton della giudeofilia; divenne di moda e di uso comune la supplica dei russi all’autorità dei figli di Israele. Il giornale Russkoe Bogatstvo di Michajlovskij, la rivista Russkaja Mysl’d di Gol’cev, il giornale Vestnik Evropy di Stasjulevič, erano tutti in preda al “terrore giudaico”. L’opposizione all’ebraismo prese ad essere considerata un peccato mortale, ed ogni imbecille che si accostasse con venerazione ad Israele veniva immancabilmente ascritto al novero dei “progressisti”.

Ma naturalmente la tempesta e la furia degli ebrei suscitarono resistenza…

L’antisemitismo non nasce oggi da noi; nella nostra letteratura c’è dai tempi di Dostoevskij e di Leskov. Gli intellettuali del 1870 furono i primi a provare tutta la delizia dell’intrusione degli ebrei nella letteratura russa, e Dostoevskij esclamò terrorizzato, da profeta: «I giudei rovineranno la Russia!». Il suo articolo (dal titolo Il problema ebraico) delinea abbastanza chiaramente le malevoli intenzioni dell’ebraismo. Molti fiutavano la minaccia della violenza prossima ventura e l’antisemitismo fu la risposta immediata ai primi passi di conquista degli ebrei. L’ebraismo, è vero, continuava la sua offensiva; ampi ambienti dell’intelligencija, è vero, passavano dalla sua parte; gli ebrei, è vero, stringevano nelle loro zampe l’opinione pubblica, ma l’antisemitismo si rafforzava, si ampliò e si irrobustì, e verso la fine del secolo scorso si organizzò in una fede intransigente, ebbe i suoi teorici e i suoi apostoli. In trenta, quarant’anni di aggressione giudaica, gli ebrei si erano procurati un buon numero di nemici, e nemici di talento, incisivi, inflessibili, intransigenti. Non starò ad enumerarli; gli ebrei li tengono bene a mente e li conoscono.

Ma anche gli ebrei non sonnecchiavano. Non solo si erano appropriati di giornali e riviste in cui a poco a poco preparavano la rivoluzione, nella letteratura incoraggiavano in tutti i modi una tendenza dinamica, si appellavano senza requie alla società progressista, lamentavano ad alta voce la loro triste sorte, incoraggiavano con gioia l’auto-negazione russa, insegnavano apertamente a calpestare la storia e la tradizione, a disprezzare i padri e gli avi; non solo questi volgarizzatori transnazionali ci portavano dall’Occidente ogni marciume intellettuale, i logori rifiuti di una cultura estranea (il nichilismo, il nietzscheianesimo) pur di disabituare all’originalità, pur di farci uscire dalla via maestra della storia. Non basta tutto questo! Per bocca dei loro servi russi, di ogni sorta di teorici sconsiderati, gli ebrei imposero un cherem [voto di sterminio] su chiunque si permettesse di dubitare della buona fede dell’attività civilizzatrice giudaica. I signori Michajlovskij e Gol’cev hanno costretto “gente siffatta” [a stare] nell’angolo sputacchiato dell’oscurantismo e dell’arretratezza, con la benedizione ebraica; hanno dichiarato “gente siffatta” fuori dell’ambito della cultura patria; hanno bollato “gente siffatta” di infamia ed estraneità.

La furia ebraica ha diviso la letteratura russa in due campi ostili. La “parità del diritti” degli ebrei è divenuta di colpo la pietra di paragone delle “convinzioni oneste”, il Rubicone dell’etica politica, il criterio discriminante dei meriti personali, il biglietto per una felicità paradisiaca, il passaporto per il mondo letterario e artistico.

Ed è così ancora oggi… Quanti sono ingiustamente misconosciuti e dimenticati nella nostra letteratura, e sempre a causa del giudeo?! Quanta ostilità di partiti, di indirizzi, ma il risvolto è sempre quello: il giudeo! A causa sua, la cultura si è spaccata e conduce una lotta intestina mortale. Essa ha introdotto di tutto: inconciliabilità, esacerbamento, calunnie velenose, vendette indiscriminate.

Prima non era così. Herzen e Chomjakov discutevano amichevolmente nello stesso salotto: non avevano forse opinioni diversi?! Belinskij e Aksakov si volevano un gran bene reciproco: erano forse delle stesse idee?! Ma adesso provate a far convergere “opinioni diverse”: si cavano gli occhi l’un l’altro, semplicemente si prendono a schiaffi. Basta solo ricordare il volume “Vechi” e la cagnara che hanno sollevato gli scribacchini ebrei. Scrittori e giornalisti si sono azzannati come cani a causa di quel volume, e perché?! Sentite un po’: perché in essa Struve e Bulgakov avevano messo in dubbio la probità morale dei rivoluzionari, cioè di individui di origine giudaica. Gli Azef divennero offensivi per i loro connazionali; di qui la cagnare e la rissa…

La cattività definitiva in cui gli ebrei hanno costretto la cultura russa risale all’inizio del nuovo secolo. La vittoria dei marxisti sui populisti è stata anche la vittoria degli ebrei sugli scrittori russi… Già le riviste social-democratiche – il Načalo, la Pravda, la Žizn’ – erano costellate di pseudonimi giudaici e anche la “vittoria” del decadentismo va addebitata ad Israele. Capostipite del decadentismo è il giornale Severnyj Vestnik, fondato da Volynskij-Flekser di concerto con Minskij-Vilenkin e Ljubov’ Gurevič. Non stupisce che i dentisti e i farmacisti della capitale abbiano accolto con tanto entusiasmo i “modernisti” («Sono dei nostri», dissero). Nel frattempo, di nascosto le ebreucce si entusiasmavano e applaudivano.

Così, del resto, sempre per un senso di affinità, applaudivano alla rivoluzione. Sfido io! Deič, Jeršuni, Goc, Rutenberg, Azef, Chrustalëv-Nosar, Trockij-Vronštejn, Parvus, Rubinovič… Altro che rivoluzione “russa”!

Oppure, si veda anche la scultura “russa”: chi sono i suoi creatori? Antokol, Skij, Ginzburg, Aronson, Bernštam, Sinaev-Bernštejn… Tutti cognomi che un russo butterebbe in acqua giù dal ponte!

Al tempo della guerra russo-giapponese e della sommossa che è seguita, la cultura si è distribuita tutta tra le Dodici Tribù di Israele. Naturalmente la pubblicistica era tutta in mano agli ebrei, ma la cosa non andava meglio con la critica, con la filosofia, con la letteratura.

Metti pure che fosse un periodo particolare, quando ci minacciavano addirittura di un “re” Giudeo. Ma adesso che la rivoluzione sembra sia passata, gli ebrei sono praticamente raddoppiati! Stanno in tutti i buchi, in tutte le tane della cultura; adesso il loro nome è “legione”. Nella critica… Nella critica teatrale… Nella pubblicistica… Nelle belle lettere… Nella poesia…

Ma questa lista ebraica non esaurisce affatto lo sciame ebraico di cavallette “della penna”. Quanti ce ne sono nelle redazioni che “regolano l’accesso”? Quanti in provincia, a Kiev, a Odessa? Quanti ancora i reporter (è la loro vocazione) e i vari signori Keguliches e Reder?

Questi signori dirigono le sorti della cultura; da loro viene l’istruzione, da loro il sapere, da loro la parola russa!

Le case editrici delle capitali [Pietroburgo e Mosca] in mani ebraiche sono: la Moskovskoe izdatel’stvo di Palizen, la Pol’za di Antik, la Universal’noe k-vo di Stoljar, la Sovremennye problemy di Kadišč, la Prosveščenie di Cejtlin, l’Osbovoždenie e la Šipovniik di Kopel’man. Inoltre anche il Granat di Levenson e il dizionario enciclopedico Brokgauz-Efron sono del tutto ebraicizzati.

Tra i giornali e le riviste delle capitali, invece, sono specificatamente di matrice ebraica: il Reč dei Gessen, il Sovremennyj mir di Iordanskij, il Satirikon e il Sinij Žurnaldi di Konfel’d, la Birževye Vedomosti e la Oganëk di Propper, la Zaprosy žizni di Blank, la Solnce Rossii, la Kopejka di Gorodeckij, la Moscovskaja Gazeta di Beskin… E questo solo nelle capitali.

Come si può notare, non serve andar lontano. Macché stampa a letteratura! Qua è una sinagoga piena zeppa, e trionfa l’yiddish! Il goy sta nell’atrio come un mendicante. Sull’altare si compie impunemente il macello e lo squartamento di tutto ciò che è russo, si maltratta la lingua russa, si involgarisce l’intelletto russo, si sputacchia sulla storia russa, si insulta il popolo russo. La cosa più terribile e pericolosa è che gli ebrei, assumendo la nostra lingua, le nostre forme letterarie, fingendosi tenacemente russi nell’esteriorità, cercando in ogni modo di russificarsi esteriormente, rimangono sempre gli stessi ebrei: ricoprono di forme russe il loro contenuto ebraico, il loro spirito, soppiantano i nostri valori spirituali russi, la nostra psicologia, la nostra morale, i nostri ideali. La cosa pericolosa sta anzitutto nel fatto che gli ebrei ci danneggiano linguisticamente (come hanno già svaligiato i tedeschi), senza fondersi interiormente con noi, senza assimilarsi psicologicamente. Se gli ebrei scrivessero nella loro lingua, non sarebbe per noi un danno, ma il loro pensiero ebraico acquista espressione russa e quindi si intrufola nel nostro quotidiano russo.

Come potrà cavarsela il grande pubblico con le finezze stilistiche? E così pseudonimi sonanti si insinuano nella massa dei lettori per vie notoriamente false. Tra gli ebrei che scrivono in russo naturalmente ci sono persone che hanno competenza e amore per la letteratura e la storia. Così, Volynskij ha studiato Dostoevskij, Vengerov è uno storico della letteratura, Lerner si è dedicato a Puškin, Ajchenval’d nutre un tenero amore per i nostri classici, Geršenzon è innamorato dalla slavofilia, e molti altri. Ma, non sarebbe meglio per loro non conoscere o disprezzare apertamente il nostro tesoro spirituale? Certo, amano e apprezzano solo nel modo ebraico.

Il Dostoevskij di Valynskij risulta avere un naso lungo, e K. Akasov di Vengerov assomiglia a un tsadik [massima autorità fra gli ebrei chassidici]; inoltre, i nostri classici, come sono mostrati da Ajchenval’d, hanno una specie di parlata gutturale e di sensibilità semitica.

Io stesso non so ancora che cosa sia peggio per la Russia, per la nostra letteratura, se l’odio o l’amore per gli ebrei. Non ardeva forse la piovra Israele di un amore appassionato per Canaan, e non ha forse risucchiato in sé tutti i suoi tesori? In quaranta secoli, gli ebrei hanno mutato lingue e abiti, paesi e costumi, ma sono rimasti ebrei. Essi forse se ne andranno da noi, ma rimarrà il loro spirito. Uno spirito di negazione e di volgarità. Può darsi che sia proprio questo l’obiettivo della piovra universale: innamorarsi, adattarsi, logorare, succhiare, devastare tutto, lasciare l’immondezza dell’abbandono e andarsene.

Naturalmente, per gli ebrei la nostra letteratura è una Palestina promessa. Che gioia agghindare la propria meschinità spirituale, conferire alla propria bassezza slancio e ardimento, bellezza alla lascivia, grandiosità e giustificazione morale alla cupidigia e coinvolgere nella propria sporcizia sgargiante un’altra anima incorrotta! State attenti all’amore giudaico, temete le sue manifestazioni affettuose: i lupi vengono in veste d’agnelli. Ma bisogna scrutare i denti, cercare di capire gli istinti del lupo, fare attenzione al bagliore degli occhi del lupo.

Bisogna volgersi alla psicologia e alla creatività giudaica, all’essenza dei disegni del Kahal, per arrivare fino al retroscena giudaico.


Di Aleksej Šmakov

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