Uno Stato ebraico in Polonia? Le (vere) origini della “Soluzione finale della questione ebraica”. Rivelazioni politicamente scorrette di Adolf Eichmann

Secondo la narrativa dominante, Adolf Eichmann – definito dai media di tutto l’Occidente come «il contabile dello sterminio» – era un uomo «spietato» e dedito al male che, nei primi anni ’40, rese possibile l’Olocausto, ossia lo sterminio di milioni di ebrei. Ma è davvero così, o siamo dinanzi alle solite menzogne della vile e ripugnante propaganda sionista-americana? Ce lo spiega il diretto interessato…

Con la rapida sconfitta della Polonia da un lato e le crescenti difficoltà nell’offrire possibilità migratorie agli ebrei dall’altro, nacque in me l’idea di creare una sorta di “Stato Ebraico” in territorio polacco. In quel periodo non avevo a che fare con Berlino, ma lavoravo per l’ufficiale comandante della SiPo e dell’SD, il dottor Stahlecker, Lo ritenevo un superiore incredibilmente energico e attivo, seppur ambizioso, ma sempre alla ricerca di idee creative. In un ambiente in cui tutti gli incarichi erano svolti seguendo le regole “alla lettera”, solo due destini potevano attendere un uomo burocratico: essere trasferito oppure rimanere nello stesso luogo fino alla pensione o alla morte. In questo senso, lui non era affatto un uomo burocratico. Le idee innovative non nascono dai burocrati; se qualcuno tentasse di proporre soluzioni diplomatiche innovative ad un burocrate, verrebbe semplicemente ignorato. Stahlecker non era così e grazie a lui potei immediatamente portare avanti il progetto per la creazione dell’Ufficio Centrale per l’Emigrazione Ebraica. Come sempre, anche per lo “Stato Ebraico in Polonia”, venni ispirato dal libro Lo Stato Ebraico di Adolf Böhm. Questo libro mi convinse a trovare una soluzione al problema attraverso la creazione di una patria per gli ebrei, “liberandone” allo stesso tempo la Germania. “Patria” era per altro un termine molto utilizzato nella “Dichiarazione Balfour”.

Stahlecker accettò con entusiasmo la mia idea di ritagliare un territorio, grande come un distretto tedesco, al fine di istituirvi una sorta di Stato Ebraico. Là avremmo fatto insediare tutti gli ebrei, i quali avrebbero avuto una propria amministrazione e le loro scuole. Il capo della SiPo e dell’SD sarebbe stato solo un’autorità di supervisione. Ovviamente Stahlecker informò il Gruppenführer Reinhard Heydrich e io ricevetti l’autorizzazione per iniziare il progetto. Stahlecker fu molto persuasivo con Heydrich, poiché sapeva che avevo visto delle possibilità concrete per la realizzazione di questo piano. Stahlecker non era un pedante fastidioso che voleva sapere tutto in anticipo e nei dettagli. Gli piaceva essere presente un po’ ovunque e ci “volteggiava” sopra, dirigendo il tutto da una posizione di controllo. Heydrich gli somigliava in questo. Io e Stahlecker avremmo potuto essere fratelli. Stahlecker aveva fiducia nei miei progetti e nel mio lavoro, poiché dimostrai, con “l’Ufficio Centrale” di Vienna, che le mie non erano solo chiacchiere. Tra l’altro, lo “Stato Ebraico in Polonia” rappresentava la perfetta soluzione diplomatica che tanto agognavamo.

Una volta ottenuta l’approvazione, mi misi alla ricerca di un luogo adatto sul territorio polacco. Giunsi al fiume San, vidi un ponte ferroviario distrutto e un paesaggio vasto, infinito, estendersi da un orizzonte all’altro come una pianura. Il San era una massiccia fonte d’acqua. Come punto di supporto, per i primi giorni, mi appoggiai a Nisko, un villaggio piuttosto grande vicino alla linea di demarcazione [tedesco-russa del 1939]. L’area pareva ideale. Tornai a casa e preparai delle bozze e delle descrizioni dell’area per Stahlecker. In preda all’entusiasmo, decise di accompagnarmi a vedere il luogo di persona. Sarà successo verso la metà di ottobre del 1939, due o tre settimane dopo il cessate il fuoco con la Polonia. Guidammo fino alla linea di confine tedesco-russo e conversammo con un commissario della GPU. Riesco ancora a ricordarmi la sua figura alta, dalle spalle ampie, e la sua giacca in pelle marrone. Si comportò come se fossimo stati ad un punto di controllo. Ci accompagnò per un po’ e rimase sulla pediera del veicolo finché non raggiungemmo il punto di controllo di un reggimento siberiano stazionato lungo la linea di demarcazione. Ci disse poi che potevamo passare liberamente e senza pericoli. Alcuni soldati ci accompagnarono lungo il corridoio sovietico, così da evitare situazioni spiacevoli, visto che eravamo in uniforme.

Il corridoio sarà stato lungo una ventina di chilometri. Anche il dottor Stahlecker si emozionò quando vide l’area da me scelta: ottenni l’approvazione a iniziare immediatamente i lavori. Il mio intento era quello di organizzare l’operazione su larga scala e realizzarla nel minor tempo possibile. Calcolai che sarebbero stati necessari all’incirca duemila operai ebrei, più il personale di supervisione corrispondente. In passato, avevo spesso delegato il lavoro amministrativo ad un rabbino, il dottor Murmelstein; così lo incaricai di formare i gruppi di lavoro. Scegliemmo i migliori operai di Ostrava, e i massimi esperti e lavoratori di Praga e Vienna vennero prelevati da Terezìn, dove avevamo molte baracche, e organizzai la raccolta dei materiali necessari ad iniziare. Inoltre, trovai alcuni treni per trasportare le duemila persone e i materiali. Tra i membri del personale vi era anche un dottore veterinario, che mi chiese qualora potesse portare con sé un figlio come assistente. Glielo concessi.

Gli ebrei non lavoravano sotto la nostra direzione, ma sotto la guida dei vari consulenti ed esperti ebraici. Naturalmente, dissi al dottor Murmelstein quali fossero le mie idee per la colonia. Gli feci fare un giro dell’area e gli spiegai cosa avevo in mente. Il villaggio di Nisko sul San era il primo avamposto del distretto che speravo di ottenere per il mio progetto. Numerosi treni merci avrebbero dovuto trasportare persone e materiali per realizzare la colonia nell’avamposto di Nisko. Il San sarebbe stato il confine del territorio ebraico. Il territorio che avevamo in mente era sconfinato. Non vi era praticamente nulla entro cinquanta chilometri da Nisko. Poco più in là, vi era la città da Radom, nel distretto di Lublino. Io desideravo sfruttare l’intero distretto e rendere la città di Radom la prima capitale dello Stato Ebraico, ma in pratica feci i primi calcoli con la sola Nisko, poiché in quel periodo sarebbero state necessarie delle ordinanze amministrative più ampie per trasferire la popolazione polacca di Radom. Preferii iniziare su bassa scala e operare su una regione dove non fossero necessari decreti o ordinanze. Era già iniziato l’inverno e aveva portato molta neve. Ciononostante, i lavori di costruzione proseguivano a ritmi serrati e finirono in poche settimane.

Il dottor Murmelstein ne era entusiasta e persino gli altri ebrei capirono che a Nisko stava nascendo un piccolo Stato Ebraico. Inizialmente, era disponibile solo un territorio di dieci chilometri quadrati, che ottenni senza problemi. Vi erano anche dei cavalli. Dissi a Murmelstein: «Rabbino, dovrai imparare a cavalcare; non basta stare seduto ad una scrivania». Murmelstein si arrampicò su un cavallo per la prima volta e si sedette, chiaramente poco convinto. Le macchine erano poche, ma il territorio era talmente ampio che i cavalli erano necessari.

Era solamente un piccolo germoglio, ma io ero sicuro che un giorno sarebbe fiorito in uno Stato Ebraico autonomo nel distretto di Lublino, sotto al Protettorato del Reich tedesco. Ad un certo punto mi chiesi se fosse effettivamente un progetto fattibile, essendo composto solo da ebrei. Non era una cosa che si sarebbe conclusa nel giro di una notte e non potevo trasportarvi cinquecentomila ebrei in una volta sola, né tanto meno uno o due milioni. Sarebbero morti come moschea causa dei rischi concreti di un’epidemia. Per questo motivo, portai subito degli specialisti. Il loro compito fu quello di costruire delle baracche, trasformare Nisko in un avamposto e sviluppare le industrie necessarie. Oltre agli esperti, servivano quanti più operai possibili. Anche i nostri campi di concentramento stavano crescendo in territori inizialmente nuovi, divenendo strutture capaci di ospitare centomila o più detenuti. Ma qui non sarebbe sorto un campo di concentramento, bensì uno Stato Ebraico autonomo.

Ovviamente, in questo periodo ero spesso al confine, che non rappresentava una vera e propria barriera chiusa ermeticamente. Agli incroci principali vi erano dei punti di controllo, ma solo per i primi dieci o venti chilometri. Non si vedevano né sovietici, né tedeschi. Molti ebrei si erano trasferiti dalla Polonia verso est già durante le negoziazioni di guerra. Dalla fine del settembre 1941, migliaia di ebrei avevano attraversato il confine, poiché la Polonia stava diventando un territorio di deportazione e ghettizzazione. «Nei tempi peggiori, quando i sovietici avevano eretto un punto di controllo, emigrare costava al massimo come un orologio», mi disse una volta Murmelstein. Se devo tirare a indovinare, immagino che il numero di ebrei polacchi trasferitisi ad est ammontasse a un quarto di milione. Questi attraversarono il confine lungo tutta la linea di demarcazione, sulla quale non avevamo nessun controllo. Quando le misure anti-ebraiche presero piede nel Governatorato Generale, gli ebrei si spostarono ovviamente verso i territori sovietici. All’epoca stimai che questi emigranti fossero all’incirca un quarto di milione. Credo che includemmo questi numeri nelle nostre statistiche, ma come centomila, perché volevamo essere più accurati. Quando, agli inizi del 1940, i duemila esperti ebrei di Murmelstein arrivarono a Nisko, l’astio contro gli ebrei crebbe e l’emigrazione aumentò nuovamente. Ecco perché non posso affermare con certezza quanti ebrei attraversarono effettivamente il confine.

In quel periodo condussi diverse ispezioni a Nisko sul San. Durante una notte a Cracovia, l’ufficiale comandante della SiPo e dell’SD, il Gruppenführer Streckenbach, mi informò ridendo che il Ministro del Reich per la Polonia, Hans Frank, aveva dato ordine al capo della polizia e delle SS in Polonia, Friedrich Krüger, di arrestarmi una volta entrato in Polonia. Lo “Stato Ebraico”, dopo le iniziali difficoltà, stava procedendo bene e questa mossa del Governatore Generale Hans Frank ci mise veramente i bastoni fra le ruote. La mattina seguente tornai a Praga e preparai un rapporto in merito. A quanto pare, il Governatore Generale aveva protestato, con Göring o non so chi, contro il mio “Stato Ebraico” e le sue lamentele erano state ascoltate. Mi venne quindi impedito di visitare ulteriormente Nisko sul San, dovetti far smantellare il campo entro la fine dell’anno e riportare gli ebrei nel loro luogo d’origine o a Terezìn.

A differenza di Konrad Heinlein in Boemia e Moravia, che era un uomo straordinariamente umile, Hans Frank era maledettamente arrogante. Era rumoroso e cercava sempre le luci della ribalta. Una volta, Streckenbach mi riportò che quando Hans Frank gli faceva visita nel suo ufficio o a casa sua, era sempre accompagnato da un enorme contingente di veicoli della polizia a sirene spiegate, manco fosse un principe orientale. Apparentemente, Frank mi considerava suo rivale e voleva prendere per sé tutte le iniziative. A onor del vero, mi duole affermare che se Frank avesse permesso l’operato e l’amministrazione dell’RSHA nel distretto di Nisko sul San dalla fine del 1939 al 1941 e non avesse intralciato il mio lavoro, per il quale avevo ricevuto l’approvazione dei miei superiori, non sarebbe stato poi coinvolto nello sterminio degli ebrei e l’intera questione del Governatorato Generale si sarebbe risolta senza spargimenti di sangue. Egli doveva solamente consegnarmi il distretto di Lublino; io, infatti, sarei voluto arrivare a Lublino, ma non prima di aver finito con Nisko e Radom.

La soluzione finale delle questione ebraica avrebbe dovuto essere lo “Stato Ebraico in Polonia”, una soluzione diplomatica e senza spargimenti di sangue; per me era “un ultimo raggruppamento decisivo”, una forza penetrante e creativa. Non ero ancora legato alla polizia, Né avevo prestato alcun tipo di giuramento ad essa, ero libero. Ero un membro delle SS e in quanto tale ero riuscito ad interessare l’ufficiale comandante dell’SD, il dottor Stahlecker, con la mia idea. Potevo avere le mie opinioni, offrirmi come promotore di un’iniziativa ed essere creativo nei miei tentativi di trovare una soluzione [alla questione ebraica]. Questo mi venne in seguito negato; non potei più farlo perché non era più nelle mie competenze; se ci avessi provato, avrei valicato le mie responsabilità e mi si sarebbe ritorto tutto contro perché sarei stato considerato un pazzo. È in effetti un paradosso che io avessi più potere come capo dell’Ufficio Centrale per l’Emigrazione Ebraica, rispetto a quando divenni capo dipartimento e capo divisione dell’RSHA.

Quando il mio piano di uno “Stato ebraico in Polonia” venne boicottato da forze che impedirono lo sviluppo, caddi in una rete dalla quale non riuscii più a liberarmi. Tuttavia, non posso evitare di accusare Hans Frank del Governatorato Generale, poiché lui – forse per ottusità, forse per ansie da prestazione – rese impossibile un soluzione pacifica quale era lo “Stato Ebraico”. Dal mio punto di vista, questo sviluppo fu un’amara delusione. Tuttavia, continuai a cercare una soluzione diplomatica alla questione ebraica e qualche tempo dopo ideai il “Piano Madagascar“.

Per quanto riguarda i duemila lavoratori e commercianti ebrei di Nisko sul San, ovviamente non potevano essere considerati deportati. Erano una forza lavoro nel vero senso della parola. In quei tempi non ebbi nulla a che fare con le deportazioni, dal momento che venni trasferito nel IV-B4 solo nel 1940. Naturalmente, dopo la sconfitta della Polonia, anche gli uffici polacchi ricevettero l’ordine di escludere gli ebrei, ad esempio nel Warthegau, e di trasferirli nel Governatorato Generale per permettere l’insediamento dei tedeschi etnici della Volinia, della Bessarabia e nelle altre regioni orientali. Quello era il lavoro di Hermann Krumey, membro dell’Ufficio Centrale per l’Insediamento fino al 1944. Se si sostiene ora che, di quel gruppo di lavoratori ebrei a Nisko sul San, rimasero solo pochi sopravvissuti, questa è una spregevole bugia.


Di Adolf Eichmann

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