«Il fascismo è socialismo». Pensieri eretici di un fascista di sinistra. Di Pierre Drieu La Rochelle

Discostandosi dal paradigma dominante che vede il fascismo come un fenomeno sostanzialmente di destra, l’intellettuale francese Pierre Drieu La Rochelle pubblicò nel 1934 Socialisme fasciste, un breve saggio in cui la dottrina fascista viene messa a nudo e infine interpretata come una sorta di nuovo «socialismo riformista», nel quale non vi è più posto per l’«invidia». Esso, spiega La Rochelle, «non è certo il socialismo che desideravano fino a ieri i socialisti», ma, anzi, è un «socialismo vivo, volontario, elastico, pragmatico», la cui dottrina assume «un aspetto completamente differente: un aspetto di consolidamento, di conservazione, di restaurazione dello spirituale». Il tutto, in antitesi al quel capitalismo sfrenato e a quella “mistica della materia” tipica dei socialismi marxisti. Buona lettura!


In ogni fascismo esiste, come base di ogni energia morale, un’attitudine al sacrificio, una volontà di combattere che sarebbe pericoloso negare. E sarebbe altrettanto pericoloso supporre che queste qualità siano state distrutte dalle vittorie conseguite. Quando un movimento ottiene il trionfo, sono molto pochi coloro che ne traggono vantaggio. La massa rimane a bocca asciutta e quindi, almeno per un certo periodo di tempo, è nervosa e tesa.

D’altra parte, nel fascismo la forza morale si basa anche su un altro fatto essenziale nella nostra civiltà delle grandi metropoli: sul socialismo che ha fatto proprio. Lo si voglio a no, nel fascismo di Berlino si è trasferita gran parte della genuinità del sindacalismo dell’anteguerra e la maggior parte dell’energia morale che si trovava nel marxismo dell’Europa occidentale e centrale nei primi anni di questo secolo. Dirò anche di più: il fascismo ha approfittato della crisi morale provocata nel mondo dagli avvenimenti del 1917. Ne ha approfittato molto di più dei vecchi partiti socialisti, chiusi nella prudenza e nella diffidenza, e molto di più dei partiti comunisti, costituitisi sotto il segno di una stretta imitazione e di un conformismo assoluto.

Le marce su Roma e su Berlino non si spiegano semplicemente come reazione alle ondate dell’ottobre 1917.

Sono derivazioni più che controcorrenti.

È d’altronde sorprendente notare che questa interpretazione viene negata nello stesso tempo da certi uomini di destra che si uniscono al fascismo per i peggiori motivi e dagli uomini della più vecchia sinistra liberale o libertaria, camuffati da socialisti o da comunisti (non parlo qui dei comunisti di Mosca, che invece comprendono molto bene il Fascismo e giustamente si guardano dal sottovalutarlo): gli uni e gli altri sorpresi dalla novità politica, incapaci di guardare in faccia la realtà storica, pronti semplicemente alla negazione pura e semplice.

Eppure, dalla Storia non possiamo aspettarci che delle sorprese. Sorprese sordide e nello stesso tempo magnifiche. Magnifiche perché l’imprevisto arricchisce spiritualmente. Sordide perché, per ottenere novità, la Storia crea legami illeciti, scandalosi (che in un’altra prospettiva umilierebbero lo spirito umano) fra elementi che in principio sembravano inconciliabili. Lo spirito aveva fatto alcuni piani che adesso vengono mandati all’aria nella misura in cui si sono realizzati su strade impreviste e un po’ complesse.

Lascio agli pseudo-rivoluzionari la vergogna di considerarmi un paradossale, ma io sostengo che la mia fiducia nel socialismo nasce dallo spettacolo che offrono oggi i paesi fascisti. Se non ci fosse questo spettacolo complesso ma ricco di segni indicativi, sarei senza speranza, poiché avrei sotto gli occhi solo la triste agonia del socialismo ufficiale delle vecchie democrazie.

Si, c’è molto socialismo in fermentazione nel mondo fascista. E non si tratta solo di quel socialismo che è fatale ed è previsto dal fatalismo di Marx, dalla lenta discesa al socialismo che avviene col cambiamento graduale delle strutture capitaliste, secondo quella legge forgiata dal determinismo perentorio dei dottori marxisti del secolo scorso. Ma si tratta soprattutto del socialismo vivo, volontario, elastico, pragmatico che era quello di Owen in Inghilterra, di Proudhon in Francia, di Lassalle in Germania, di Bakunin in Russia, di Labriola in Italia: esso è sempre stato tenuto a freno dai successi apparenti di un marxismo che rivela forse l’acutezza e la lucidità mostrata da Marx negli istanti di maggiore genialità, ma che in generale è dominato da un’opacità e da una pesantezza senza rimedio.

Attraverso il fascismo, invece, si sta risvegliando, sia a Berlino che a Roma, il socialismo non marxista.

Marx aveva tentato di abbeverare il suo genio alle sorgenti fluide dello spirito del XVIII secolo. C’è in Marx un tentativo di raggiungere Heine. Ma è un tentativo ed uno sforzo che quasi sempre fallisce. Marx non è riuscito a superare la corrente epica, che si è formata in Europa alla fine del ‘700 e che durante tutto il secolo successivo ha trascinato con sé la maggior parte degli animi, e fra questi i più grandi, verso teorie enormi, gigantesche, insomma non è riuscito a sfuggire al romanticismo. In Marx c’é anche una personalità viva, accorta, liberale, ma quasi sempre viene dominata dal temperamento romantico che si esprime in tesi e postulati pseudoscientifici, astrusi, colmi di passione emotiva. Il marxismo è uno dei momenti più caratteristici della seconda ondata romantica, quella del naturalismo e del positivismo.

Per questo motivo la sua opera ha avuto un maggior successo in Russia, paese candido e ingenuo, piuttosto che in Germania o in Francia o in Inghilterra. E nella stessa Russia ha avuto un’applicazione pratica solo grazie all’intervento di un genio astuto come Lenin, che l’ha manipolata e adattata ai tempi.

Ma fino a che punto l’energia socialista del fascismo, che è davanti ai nostri occhi, può svilupparsi? Quali obiettivi può raggiungere? A mio parere, i progressi del socialismo a Berlino e a Roma saranno proporzionali alla persistenza del nazionalismo in Europa e al progressivo aumento dei suoi misfatti. Ancora un paradosso della Storia! Due movimenti, che sembravano irrimediabilmente ostili per una mente di fine ‘800, si avvicinano e si aiutano a vicenda: socialismo e nazionalismo.

Marx aveva dimenticato che esisteva non solo il materialismo delle forze di produzione, ma anche un altro, quello della geografia. Alla base del nazionalismo c’è un materialismo che, come ci hanno insegnato questi ultimi anni, non ha ancora finito di produrre i suoi effetti: il materialismo del clima che ha foggiato le patrie e che non ha ancora finito di foggiarle. Il relativo internazionalismo della Francia e dell’Inghilterra, da lungo tempo unificate e sature di nazionalismo, è di molto in anticipo sul processo di unificazione dell’Italia, della Germania, delle nazioni slave, della Russia. Ma per il momento è inutilizzabile.

Quindi dobbiamo lucidamente constatare che, dall’Europa orientale a quella occidentale, dal sud-est al nord-est, i nazionalismi sono riusciti in quest’ultimo anno a vincere le forze di espansione internazionalista, cioè il grande capitalismo e il socialismo della II Internazionale. I grandi capitalisti internazionali delle banche e dei trusts hanno dovuto cedere di fronte al nazionalismo dei piccoli borghesi francesi, come ha dovuto fare il socialismo di fronte alle masse di operai e di impiegati dominati dalle banche e dai trusts. Ma si è prodotta una contro-reazione inattesa: le patrie fasciste sono costrette, per mantenersi in vita, a fare del socialismo dietro alle loro dogane. Ne devono fare molto e ne dovranno fare ancora di più in futuro.

Non è certo il socialismo che desideravano fino a ieri i socialisti. Sono pronto ad ammetterlo. Ma anche il socialismo di Stalin non è quello che sognavano codesti intellettuali.

Nel frattempo, questo socialismo ha compiuto un passo molto importante: ha per sempre incrinato il meccanismo del capitalismo mercantile che ha avuto il suo maggior rigoglio sino all’inizio della Grande guerra. Certo, in Italia e in Germania ci sono ancora molti signori che si riposano e si divertono nei loro castelli e palazzi e che divorano il plusvalore. Ma questo è l’ultimo dei miei pensieri. Infatti, il mio socialismo non è basato sull’invidia. E poi a me interessa non tanto quel che succede nei castelli, ma ciò che avviene negli uffici. In Germania e in Italia il signor Thyssen o un qualunque industriale di Milano si trovano di fronte a qualcuno che è più forte di loro. In Francia e Inghilterra, invece, non possiamo dire la stessa cosa.

I comunisti e anche i nostri buoni socialisti che, malgrado il loro riformismo parlamentare immobilista, sono molto esigenti nei confronti degli altri, negano queste mie osservazioni. Ma esse sono facilmente verificabili. Ormai è trascorso il tempo in cui il capitalista guardava il fascismo con un sorriso di compiacimento, considerandolo un poliziotto e un tutore dell’ordine insperato. Oggi il capitalismo sa di essere colpito in due modi differenti: in primo luogo per gli effetti inattesi del suo sviluppo interno (sa infatti che la forza del sistema, la concorrenza, è ormai distrutta e con essa la pretesa liberale con cui si mascherava); in secondo luogo per l’invasione via via maggiore di questa nuova forza che è nata, il fascismo, il quale sfrutta contro di esso l’enorme debolezza nata dalla progressiva distruzione della concorrenza dal sorgere di monopoli sempre più vasti.

Il capitalismo è diventato una forza greve, inerte, conservatrice. È un organismo che ha solo riflessi di autodifesa, ma non quelli di attacco. Le stesse energie di difesa si rivoltano in ultima istanza contro di esso, perché giungono a consegnarlo ad una forza estranea e nemica. Il capitalismo, sfinito, ha bisogno dello Stato per risollevarsi; quindi si dà anima e corpo allo Stato fascista. Il meccanismo interno del capitalismo conduce dritto alla sua statalizzazione.

Mi direte: «Voi cambiate le carte in tavola: la statalizzazione del capitalismo non è altro che il capitalismo di Stato. Che rapporti può avere tutto ciò con il socialismo? A parer nostro è addirittura il contrario».

Anzi. Il capitalismo di Stato è anche la riconquista del capitalismo da parte dello Stato. E questa riconquista dello Stato è un vero e proprio cambiamento di direzione dell’economia. Dal momento in cui il capitalismo non lavora più per fini individuali, lavora ipso facto per fini comunitari e in un certo senso limitati. Gli uomini che lavorano in un tale sistema non possono più comportarsi secondo la legge del massimo profitto, ma secondo la legge del massimo prestigio, dove sarà presente un minimo di spiritualità.

Fini comunitari, fini limitati, fini spirituali.

In Russia, la sostituzione dell’individuale con il collettivo negli impulsi del comportamento umano non pare, a prima vista, aver portato un cambiamento spirituale. Ma la Russia è la Russia e l’Europa è l’Europa. La Russia non aveva un materialismo: deve conquistarselo. Per essa il culto della macchina è una fede necessaria, il lirismo più conveniente al suo attuale sforzo. Essa ha iniettato i suoi tesori spirituali in una mistica della materia. A noi tutto ciò appare eccessivo, smisurato, poiché in Europa siamo saturi di materia, di materialismo. La costruzione socialista assume da noi un aspetto completamente differente: un aspetto di consolidamento, di conservazione, di restaurazione dello spirituale.

Il socialismo si è inserito nell’edificio capitalista senza rovesciarlo. In Russia, invece, è stata distrutta la fragile impalcatura capitalista, appoggiata all’edificio medioevale dello zarismo: la distruzione è stata minima. In Europa non è possibile rovesciare un edificio complesso, ricco, che ha radici e ramificazioni su tutti i piani e in ogni classe. Bisogna, invece, rinforzare la costruzione, arricchirla, modularla secondo un ritmo nuovo.

Questo è il concetto centrale del fascismo. Chi è che non coglie in esso la dottrina dello stesso socialismo riformista? Il fascismo è un socialismo riformista, ma un socialismo riformista che, a parer mio, ha maggior ricchezza ed energia di quello dei vecchi partiti classici.


Di Pierre Drieu La Rochelle

Un commento

  • Un grande personaggio ormai dimenticato a causa di stupidi preconcetti.. W La Rochelle! W il socialismo fascista!

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