Le origini nascoste dell’antisemitismo. Intervista allo storico “revisionista” Gian Pio Mattogno

Sfatando i miti che, da quasi un secolo, circondano la polemica antisemita, lo storico “revisionista” Gian Pio Mattogno espone le origini dell’antisemitismo da una prospettiva nuova e del tutto rivoluzionaria, attraverso la quale è possibile fare luce anche sulla vera natura dell’ebraismo, che è profondamente razzista ed esclusivista

Un sondaggio condotto dalla rivista ebraica Tablet, ha recentemente dimostrato che «le persone più istruite tendono ad avere una maggiore antipatia verso gli ebrei rispetto alle persone meno istruite», poiché essendo appunto istruite, conoscono più di ogni altro la “questione ebraica“. Ma, tuttavia, sorge una domanda: se l’antisemitismo non è generato dall’ignoranza o dal pregiudizio (come dichiara da sempre la storiografia accademica), allora da dove trae origine?

Per rispondere a tale domanda e fare luce sulla vera natura dell’antisemitismo, la redazione di Ardire ha deciso di riproporre una vecchia (ma preziosissima) intervista di Giovanna Canzano allo storico “revisionista” Gian Pio Mattogno, autore “politicamente scorretto” e fra i massimi esperti in Italia di ebraismo. In essa, vengono mostrate le vere ragioni dell’antisemitismo in maniera chiara ed esaustiva, sfatando una volta per tutte i miti e le false verità che, da quasi un secolo, attorniano la polemica antisemita. Buona lettura!


Quali sono le ragioni della universale inimicizia degli ebrei con le altre popolazioni del mondo e le altre religioni?

– La risposta è già implicita nella domanda, e segnatamente nell’aggettivo “universale”. Dobbiamo chiederci infatti per quale ragione, ovunque siano entrati in contatto con altri popoli, gli ebrei abbiano sempre suscitato sentimenti di diffidenza, di avversione e di aperta ostilità. Gli apologeti ebrei e i loro ausiliari attribuiscono questi sentimenti all’ignoranza, al pregiudizio, all’intolleranza. Qualcuno, scomodando la psicanalisi, ha definito l’antisemitismo (ma è più corretto parlare di “antigiudaismo”) «nevrosi individuale e collettiva», «psicosi di massa», «malattia atavica», «demonopatia» ed altre scemenze del genere. La verità è molto più semplice. Le cause reali dell’antigiudaismo sono state perfettamente individuate da uno scrittore ebreo, Bernard Lazare, autore di una storia dell’antisemitismo apparsa nel 1894 e recentemente tradotta anche in italiano. Si chiede Lazare: «Perché di volta in volta gli ebrei furono fatti segno di una universale inimicizia da parte degli alessandrini e dei romani, dei persiani e degli arabi, dei turchi e delle nazioni cristiane?» E ammette onestamente che, di fronte a una tale unanimità di atteggiamenti ostili, le cause dell’antigiudaismo non potevano che risiedere negli ebrei stessi, e precisamente nel loro «esclusivismo etnico-religioso», nella loro «asocialità» e «misantropia», nella loro «protervia imperialistica». L’antigiudaismo fu solo una conseguenza logica e inevitabile di tutto ciò.

Quando compaiono storicamente le prime manifestazioni di ostilità nei confronti degli ebrei e quando nasce una vera e propria “questione ebraica”?

– Il primo rapporto conflittuale tra ebrei e non-ebrei (in questo caso tra ebrei ed egizi) risale alla più remota antichità biblica ed è narrato all’inizio del libro della Genesi. Il patriarca Abramo scende in Egitto con la moglie Sara, ancora di bell’aspetto nonostante l’età. Nel timore di essere ucciso, la convince a spacciarsi per sua sorella e Sara diventa la concubina del Faraone. Abramo viene ben trattato in grazia di lei, «ricevendo greggi e armenti, asini, servi e serve, asine e cammelli». Allora interviene Jahvè, ma il Dio giudaico, invece di biasimare il lenocinio di Abramo, colpisce l’incolpevole Faraone con grandi piaghe. Questi, dopo aver rimproverato Abramo per aver mentito sulla moglie, lo caccia dal paese e il patriarca abbandona l’Egitto «molto ricco di bestiame, di argento e di oro». Un’altra manifestazione di ostilità nei confronti degli israeliti è descritta invece nel libro di Ester ed è ambientata nel V secolo a.C., all’epoca della dominazione persiana. Aman, visir di Assuero, sollecita dal monarca un editto contro i giudei. Nella lettera inviata ai satrapi e ai governatori, il re accusa i giudei di misantropia e di attività sediziosa ed ordina che vengano giustiziati. Ma grazie alle macchinazioni di Ester, la moglie ebrea di Assuero, e di Mardocheo, tutore di Ester, divenuto primo ministro, Aman viene impiccato e i nemici dei giudei sterminati. Tuttavia, una vera e propria questione ebraica nasce solo nell’età ellenistico-romana, quando già all’inizio della diaspora gli ebrei erano divenuti una temibile potenza internazionale. Fu proprio in questo periodo che, da parte di numerosi scrittori greco-romani, vennero formulate contro gli ebrei quelle accuse destinate a diventare un filo conduttore della polemica antigiudaica: esclusivismo etnico-religioso, asocialità, misantropia e perfino aspirazione al dominio mondiale. Per un approfondimento di tutte queste tematiche, mi permetto di rinviare al mio libro ‘L’antigiudaismo nell’antichità classica’ .

Su quali testi della tradizione giudaica i polemisti antigiudei fondano le loro accuse?

– Gli autori classici ignoravano totalmente le fonti coeve della tradizione rabbinica; le loro accuse si fondavano su conoscenze più o meno occasionali, su esperienze personali o su informazioni provenienti dalla Palestina e dalle comunità ebraiche della diaspora. Oggi i principali testi della tradizione rabbinica sono disponibili, soprattutto in inglese e in tedesco, e possono essere facilmente consultabili, ma per lungo tempo gli insegnamenti dei rabbini, tramandati dapprima oralmente e fissati poi per iscritto in ebraico e in aramaico, rimasero pressoché inaccessibili ai gentili. Successivamente, dopo le prime edizioni a stampa e grazie all’opera di autorevoli ebraisti cristiani, fu possibile conoscere la vera natura della religione giudaica attingendo direttamente alle fonti della tradizione rabbinica. Non a caso, uno dei più profondi conoscitori delle tradizioni giudaiche, Johann Andreas Eisenmenger, intitolò la sua opera ‘Entdecktes Judenthum’, cioè ‘Giudaismo svelato’. È proprio su queste fonti che i polemisti antigiudei fondano le loro accuse. Le fonti più autorevoli sono: la Torah, il Midrash, il Talmud; i codici, tra cui il Mishneh Torah di Maimonide, lo Shulhan Aruch di Joseph Caro, il Kizzur Shulhan Aruch di Salomon Ganzfried; i responsi, cioè le soluzioni date dai rabbini ai problemi di utilità pratica che si ponevano alle comunità della diaspora. Un esame critico di tali fonti consente di individuare la vera natura dello spirito giudaico e le cause reali dell’antigiudaismo. La religione giudaica si basa su alcuni principi fondamentali: la rivelazione di Jahvè a Israele, l’elezione di Israele da parte di Jahvè, il “patto” fra Jahvè e Israele. Le conseguenze logiche e inevitabili di questi principi furono (e sono tuttora) un rigido esclusivismo etnico-religioso, un’arrogante protervia, un odio viscerale e implacabile contro tutti i “goyim” (i non-ebrei), considerati idolatri, impuri e malvagi, una esplicita volontà di dominio universale. Tutto ciò non è il frutto del “pregiudizio” o dell’ “intolleranza”, ma è comprovato dagli stessi testi della tradizione rabbinica e riconosciuto fra gli altri da ebrei onesti e coraggiosi come Spinoza, Lazare, Shahak. La più seria polemica antigiudaica ha raccolto numerose citazioni tratte dal Talmud e da altre fonti, da cui apprendiamo che il non-ebreo è assimilato a un animale; verso di lui si deve nutrire odio e disprezzo; è permesso ingannarlo, derubarlo e all’occorrenza perfino ucciderlo. Quando verrà il Messia giudaico, tutti i goyim idolatri saranno sterminati o asserviti a Israele, cui spetta per diritto divino il dominio su tutti i popoli della terra. In un passo della Pesikta Rabbati, una raccolta di prediche scritta presumibilmente nel VI o VII secolo, leggiamo che allora ogni israelita avrà nientemeno che 2.800 servi gentili.

Come replicano gli ebrei a tali accuse?

– A partire dall’antichità classica il giudaismo ha mobilitato i suoi apologeti per replicare alle accuse degli autori greco-romani. Nel mio libro prima citato [‘L’antigiudaismo nell’antichità classica’] ho preso in esame la consistenza di queste apologie. Oggi gli apologeti giudei e i loro ausiliari hanno adottato una duplice strategia difensiva. Da un lato affermano che le citazioni in questione sono false; se si dimostra che sono autentiche, replicano che sono state «estrapolate dal contesto» e quindi ne è stato manipolato e falsificato il vero senso; se si dimostra che il senso è proprio quello, allora tagliano corto ammonendo gravemente che tutte queste polemiche antigiudaiche portano…ad Auschwitz! Dall’altro lato, gli apologeti giudei e i loro ausiliari esibiscono altre citazioni, che dimostrerebbero la grandezza e la nobiltà della morale giudaica. Ma in questo caso bisognerebbe richiamare il vecchio adagio latino medice, cura te ipsum (ossia “medico, cura prima te stesso”). Difatti, i nostri apologeti ricorrono proprio a quelle manipolazioni e falsificazioni che attribuiscono ai loro avversari. Cito solo un paio di esempi significativi. In una nota esplicativa contenuta nel ‘Cantico dei Cantici’, il pio esegeta giudeo scrive: «Il Talmùd Shabbat si domanda: perché il monte Sinai si chiama così? Perché fu in quel luogo che si manifestò nel mondo l’odio (in ebraico sinà) delle nazioni verso Israele». In realtà, il passo talmudico citato dice esattamente il contrario, ossia che il monte Sinai si chiama così perché «è sceso l’odio contro i popoli del mondo». Sono dunque gli ebrei ad odiare «i popoli del mondo» e non viceversa! Nel volume ‘I partiti religiosi ebrei nel tempo neotestamentario’, Kurt Schubert cita la «regola aurea» del rabbino Hillel: «Ciò che non desideri per te, non fare al tuo prossimo». Schubert precisa che dal contesto risulta che il concetto di “prossimo” comprendeva anche i non-ebrei. Questo dimostrerebbe che l’ebreo nutre sentimenti di filantropia indistintamente verso tutti gli uomini. Ma dal contesto della citazione risulta inequivocabilmente che Hillel si riferisce ad un non-ebreo convertito al giudaismo e che quindi il “prossimo” è unicamente l’ebreo.

La legge Mancino e gli ebrei: se sono vere queste accuse, anche gli ebrei possono essere legalmente perseguiti?

– Personalmente ritengo la legge Mancino un’aberrazione giuridica, poiché nessuno andrebbe perseguito per le sue idee. Ma, paradossalmente, questa legge dovrebbe perseguire per primi proprio gli ebrei. La legge infatti punisce ogni comportamento discriminatorio che comporti una distinzione, esclusione, preferenza basata sull’origine etnica e sulle convinzioni religiose. Ebbene, la religione giudaica è fondata proprio su questi principi discriminatori. Lo dimostra la normativa rabbinica, elaborata nei secoli e ai giorni nostri ancora valida; lo dimostra la liturgia, che trasuda odio contro i non-ebrei “idolatri”. Tanto per fare un esempio, ogni giorno il pio giudeo recita una “benedizione” (in realtà una maledizione) contro i “minim” (gli eretici, fra i quali vanno annoverati i cristiani) ed invoca Jahvè affinché essi siano distrutti al più presto. Ma qui mi limito a riportare quanto scrive Elia S. Artom, una delle più autorevoli figure dell’ebraismo italiano, autore del volume ‘La vita di Israele’, la cui prima edizione risale al 1937 e che è stata più volte ristampata. Nella prefazione alla terza edizione (1975), Menachem E. Artom, figlio dell’autore, precisa che «l’opera è ancora vitale ed è destinata ad indirizzare nella pratica la vita ebraica». Da questo libro apprendiamo tra l’altro che lo Stato di Israele è una «nazione consacrata», in quanto è collocato ad un grado più elevato delle altre genti; che gli ebrei, sacerdoti dell’umanità, debbono sempre costituire un’eletta minoranza in mezzo agli altri popoli; che il matrimonio con un non-ebreo è illegittimo; che nelle benedizioni quotidiane si deve ringraziare Jahvè per ciò che ha dato in più agli ebrei in confronto agli altri uomini. Alla fine del sabato, con la quarta benedizione si ringrazia Jahvè per aver distinto il sacro dal profano, la luce dalle tenebre, Israele dalle altre genti. Israel Shahak ha scritto che la legge religiosa ebraica è esplicitamente una «legge inumana», ma, a quanto pare, nessun magistrato, così solerte nel perseguire i reati di antigiudaismo, si è dato la pena di spedire qualche ebreo davanti ad un tribunale per rispondere del reato di odio etnico-religioso nei confronti dei non-ebrei.

La Corte Costituzionale spagnola ha stabilito che la «negazione dell’Olocausto» non potrà esser punita con il carcere, poiché rientra nel diritto alla libertà di parola. Pensi che sia stato fatto un passo avanti sulla libertà di ricerca storica?

– Credo che questo possa essere considerato un precedente giuridico importante, ma che debba essere esteso alla libertà di critica del giudaismo come alla critica di ogni altra fede religiosa. La repressione poliziesca non è solo un grave attentato alla libertà di critica e di ricerca, la cui sede naturale non è il tribunale, ma il confronto dialettico e il dibattito storiografico, ma ha anche una precisa valenza politica, in quanto mira a reprimere ogni voce dissonante e anticonformista.

Come vedi la polemica e la “chiusura” della comunità ebraica – sia italiana che quella di Gerusalemme – sulla questione dell’ “omicidio rituale”, ampiamente descritta da Ariel Toaff nel suo libro ‘Pasque di sangue’?

– Bisogna riconoscere che il professor Ariel Toaff (che, ricordiamolo, è il figlio del rabbino Elio Toaff) ha avuto un coraggio inusitato per aver tirato fuori dall’armadio qualche scheletro e per averlo esibito davanti agli occhi dei gentili. E questo non gli è stato perdonato dai suoi correligionari. Ma qui non intendo entrare nel merito delle polemiche seguite all’uscita (e all’autosequestro editoriale) del libro di Toaff. Mi limito ad osservare che, a mio avviso, l’accusa di omicidio rituale, così come viene generalmente recepita dalla polemica cristiana antigiudaica, è un’arma spuntata, in quanto le uniche prove sono costituite dagli atti giudiziari e si potrà sempre sostenere che le confessioni degli imputati furono estorte con la tortura o con altri mezzi coercitivi. Lo stesso lavoro di Toaff , che pure semina molti sospetti sulla veridicità di queste presunte pratiche omicide, è lungi dal fornire prove definitive. Dobbiamo dunque concludere che l’accusa di omicidio rituale è un altro frutto malefico della “giudeofobia”? Niente affatto. Dal Talmud, dal Midrash e da altri testi della tradizione rabbinica apprendiamo che l’assassinio del non-ebreo è non solo permesso, ma anche prescritto, e che questo omicidio può assumere i connotati di un vero e proprio sacrificio rituale offerto a Jahvè. È un argomento che meriterebbe di essere approfondito, a partire dal concetto di “cherem”, l’anatema, lo sterminio votivo dei nemici di Israele, l’annientamento dei goyim consacrato al Dio giudaico.


Di Giovanna Canzano

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