La prima memorabile trasfusione di sangue della storia raccontata da chi c’era

Il presente resoconto, pubblicato negli anni ’60 in alcune riviste americane e straniere, concerne il racconto della prima trasfusione di sangue umano della storia, effettuata dal dottor George Washington Crile nel 1906 con l’aiuto del giovane Frank Corrigan, che, fra l’altro, è anche l’autore del seguente scritto. La Redazione di Ardire, dopo un’attenta e prolungata analisi, ha tuttavia optato per una sua nuova traduzione, al fine di conoscere meglio il nostro passato e il mondo che ci circonda.

Il chirurgo George Washington Crile è ricordato per molte opere insigni nel campo della medicina, ma ciò che non me lo farà mai dimenticare è la straordinaria operazione che egli compì in un’afosa notte dell’agosto 1906.

Fu un intervento che aprì un nuovo capitolo nella storia della chirurgia, dimostrando che la trasfusione di sangue era possibile. Ed avvenne quasi per caso.

Ero medico di guardia all’Ospedale St. Alexis di Cleveland, nell’Ohio, quando di notte mi chiamò l’infermiera del primo piano. Il paziente della camera 106 peggiorava a vista d’occhio, mi disse. Appena fui al suo capezzale vidi che l’infermiera non aveva esagerato. L’ammalato, Joseph Miller, che era stato ricoverato in mattinata con una grave emorragia al rene, stava morendo.

Gli sentii il polso: debole e filiforme; respirazione rapida e superficiale, labbra cianotiche. Ordinai subito uno stimolante e una fleboclisi salina, e avvertii il primario del St. Alexis, il dottor Crile, che arrivò all’ospedale senza ritardo.

Quando arrivò era in abito da sera, e capii di aver interrotto un pranzo. Il dottor Crile aveva una tale personalità da galvanizzare ogni ambiente con la sua presenza, e quella sera era di ottimo umore. Esaminò l’ammalato e lo trovò un po’ meglio grazie allo stimolante che gli avevo somministrato; ma era evidente che Joseph Miller aveva le ore contate. Il dottor Crile si volse verso di me e disse: «Corrigan, gli farò una trasfusione!».

Restai allibito. Malgrado sapessi di cosa parlasse, avevo appena una vaga idea di quel che intendesse fare e di come pensasse di farlo.

Era da molti secoli che i medici cercavano un mezzo sicuro per rimettere in circolazione il sangue umano. Nel ‘600, Jean Denis, in Francia, aveva iniettato il sangue di un agnello nelle vene di un ragazzo, che miracolosamente non morì, malgrado oggi si dica che le trasfusioni fra specie diverse sono inefficaci e pericolose.

Altri tentativi erano stati fatti nel 1800, tra cui quello d’iniettare sangue nelle cavità addominali di partorienti colpite da emorragie. Ma tali esperimenti avevano avuto pochi risultati pratici ed erano spesso finiti in maniera tragica. Uno dei più grandi ostacoli, come s’imparò ben presto, era la coagulazione del sangue del donatore quando era raccolto in un recipiente, con il conseguente pericolo di introdurre un grumo nel circuito sanguigno di chi riceveva la trasfusione.

Durante i primi anni del nostro secolo molti progressi erano stati compiuti dal grande chirurgo e fisiologo francese Alexis Carrel, a cui fu in seguito conferito il Premio Nobel per la sua opera precorritrice sulla chirurgia dei vasi sanguigni. Unendo la conoscenza teorica del sistema circolatorio alla sua grande abilità di chirurgo, Carrel era riuscito a congiungere i vasi sanguigni di cani vivi.

Ma ora Crile si proponeva si eseguire l’ardita operazione su un essere umano. Avrebbe praticato una trasfusione a Joseph Miller unendone i vasi sanguigni a quelli del fratello, Sam.

Sam Miller era al capezzale del fratello morente. Il dottor Crile si volse verso di lui e disse: «Dareste un po’ del vostro sangue per salvare la vita a Joseph?».

Sam rispose senza esitare: «Certamente».

«Bene», disse Crile all”infermiera. «Avvertite in sala operatoria di tenersi pronti. Preparate il braccio del paziente dalla spalla in giù».

Poi, rivolto al fratello sano: «Venite con me, Sam».

Nella sala operatoria, Sam e Joseph furono stesi su due tavoli contigui, con la testa dell’uno in corrispondenza dei piedi dell’altro. Fu fatta a tutti e due un’anestesia locale. Ormai Joseph era rapidamente avviato alla fine.

Sembrò, comunque, che l’operazione non potesse neppure cominciare; il dottor Crile disse che tutti gli aghi chirurgici di cui disponevamo erano troppo grossi per il delicato lavoro di cucire insieme i piccoli vasi destinati a unire i due sistemi circolatori. Allora una delle suore tirò fuori uno dei minuscoli aghi, sottili quasi quanto un cappello, che adoperava per la biancheria fine.

Un’altra complicazione sorse quando capimmo che il normale filo chirurgico era troppo grosso. Per ottenere un filo abbastanza sottile separammo i tre capi del filo di seta più fine che riuscimmo a trovare nell’ospedale e ne adoperammo uno solo.

Accostammo allora i polsi dei due uomini, e il dottor Crile li incise, esponendo nel polso di Sam l’arteria prossima alla superficie ed una vena nel polso dell’ammalato. Ognuno dei due vasi fu serrato con pinze di gomma e poi tagliato. Subito dopo furono inseriti dei fili in tre punti all’imboccatura dei vasi e poi tirati per mutare la normale sezione circolare dei vasi in sezione triangolare. Le imboccature dei due vasi, così preparate, furono allora avvicinate, con la tonaca interna di ciascun vaso in diretto contatto con quella dell’altro. Se il contatto non fosse stato perfetto, il sangue si sarebbe coagulato anziché passare liberamente attraverso la congiunzione.

Il dottor Crile poteva adesso cominciare a cucire insieme i due vasi per ottenere un giunto a perfetta tenuta. La forma triangolare gli consentiva di lavorare su tre superfici piatte. Ma erano minuscole: ciascuna era infatti larga un terzo della circonferenza di un vaso sanguigno, il quale aveva appena tre millimetri di diametro. E, su ognuna delle piccolissime superfici, il chirurgo doveva far passare una dozzina di punti.

L’afoso caldo estivo era caduto come una cappa sulla sala operatorio intensamente illuminata. Ognuno dei presenti si rendeva conto che, da un momento all’altro, poteva avvenire un errore fatale nella delicata operazione. Munito del minuscolo ago e del filo sottile come quello di una ragnatela, Crile cominciò il suo essenziale lavoro di cucito…

Dio concede a pochi uomini il dono della vera chirurgia; ed ancora meno sono quelli che lo sviluppano al massimo. Joseph Miller, quella notte, ebbe la fortuna di essere operato da uno di questi eletti.

Quando i due vasi furono interamente uniti dalla cucitura, allentammo le pinze emostatiche e il sangue cominciò a passare dall’arteria di Sam alla vena di Joseph. Ogni nuovo getto di sangue ci rassicurava sulla tenuta del giunto.

L’effetto del sangue fresco che fluiva nell’organismo del morente fu come un miracolo. L’uomo riprese conoscenza e la pelle riacquistò un bel colorito roseo; l’ammalato aprì gli occhi, sorrise e cominciò a rendersi conto di quanto stava accadendo. Eravamo stupefatti e ammirati nel vedere un uomo sulla soglia della morte che stava tornando alla vita, quando la prima infermiera disse: «Dottore, il fratello è svenuto!».

Nessuno si era minimamente occupato di Sam, ed egli aveva perduto conoscenza. Sembrava pallido quasi quanto lo era stato il fratello poco prima!

Finimmo immediatamente l’operazione. I vasi furono di nuovo stretti per arrestare l’afflusso del sangue, il giunto fu tagliato e i monconi dell’arteria di Sam e della vena di Joseph riallacciati. Poi si suturò la pelle. Benchè il sangue fosse passato dal corpo di Sam a quello di Joseph soltanto per pochi minuti, l’intera operazione aveva richiesto più di tre ore. Eravamo esausti, ma esultanti, convinti di aver varcato un’altra frontiera della medicina.

Grazie ai perfezionamenti successivi, la trasfusione del sangue non richiede più un intervento del genere. Oggi si fa colare il sangue del donatore in un vaso che contiene una sostanza anticoagulante, e la trasfusione si esegue con una diretta iniezione endovenosa, in modo così facile da costituire un procedimento medico abituale.

Ma, nel 1906, non sapevamo nulla dei gruppi sanguigni, del fattore Rh e di molte altre cose che abbiamo imparato in seguito. Il dottor Crile si era servito del sangue del fratello di Joseph Miller, ritenendo che il sangue di un fratello avesse molte probabilità di somigliare, nelle sue caratteristiche generale, a quello dell’ammalato.

Nel caso di Miller, furono necessarie altre due trasfusione prima che egli fosse decisamente avviato verso la guarigione; per esse, il dottor Crile si servì del sangue di un altro fratello e di una sorella.

Dopo la guarigione di Miller, il dottor Crile pubblicò i dati che aveva raccolto per dimostrare la possibilità di eseguire senza pericolo trasfusioni di sangue umano. La relazione fece epoca nel mondo medico e, suscitando un rinnovato interesse per le trasfusioni, rese possibile i progressi che oggi sono considerati normali.


Di Frank Corrigan

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